Secondo il presidente di sezione del Consiglio di Stato, già sottosegretario nel governo Draghi, il fatto che la normativa sui poteri speciali sia “volutamente lasca” è un bene. “La sicurezza nazionale è un tema in continua evoluzione”, spiega
Che gli investimenti esteri non entrino in contrapposizione con gli interessi strategici nazionali è questione di sicurezza nazionale. Ma lo è anche la stessa capacità di attirare investimenti esteri, in particolar modo per l’Italia, contraddistinta da un tessuto imprenditoriale particolare – si parla di “nanismo” per la forte presenza di piccole e medie imprese. A sottolinearlo è Roberto Garofoli, presidente di sezione al Consiglio di Stato, che di Golden Power si è occupato anche da sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Draghi occupandosi delle modifiche procedimentali come la pre-notifica.
L’evento a Torino
Garofoli ha parlato ieri sera all’Energy Center di Torino durante l’evento “Il ruolo dello Stato nella protezione degli asset strategici” organizzato dal centro Theseus del Politecnico di Torino. È stata l’occasione per la presentazione del rapporto “Conoscere per tutelare Spunti di metodo per una più efficace individuazione degli asset strategici in tema di sicurezza cibernetica”, un progetto della sezione Piemonte e Valle d’Aosta della Sioi, in partenariato con il Politecnico di Torino, finanziato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo.
La normativa “volutamente lasca”
Il rapporto presentato mette in evidenza come fattori geopolitici, la provenienza degli investitori e la composizione del governo influenzino le decisioni: l’approccio italiano appare meno strutturato rispetto ad altri ordinamenti, come quelli francese e spagnolo, che presentano moduli di notifica più dettagliati. La normativa, ha commentato Garofoli, è oggi “volutamente lasca”, in linea con la tipicità della normativa italiana (basti pensare all’antitrust). Questo, ha proseguito, è un bene perché “la sicurezza nazionale è un tema in continua evoluzione”.
L’utilizzo “cauto”
Garofoli ha fatto riferimento poi alle parole del suo successore a Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano. La scorsa settimana, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel corso di un dibattito sul Golden Power organizzato a Milano da Mediobanca, aveva tenuto a rassicurare che il governo è ben consapevole sia dei limiti sia dei costi dello strumento. Oggi l’utilizzo del Golden Power, anche grazie allo strumento della pre-notifica e all’organizzazione del dipartimento incaricato, è “cauto”, confermandone una caratteristica di eccezionalità, ha osservato Garofoli. Ecco i numeri, presentati da Mantovano la scorsa settimana, del 2024, in linea con quelli del 2023: al 31 ottobre di quest’anno 661 operazioni notificate, 27 casi di esercizio dei poteri speciali, di cui 25 con prescrizioni (soprattutto nei settori sicurezza e difesa) e due con veto.
In un mondo in subbuglio
“Confidando nel cosiddetto dividendo della pace” non ci eravamo attrezzati, “a livello europeo”, in settori che si sono rivelati asset per creare dipendenze strategiche, ha ricordato Garofoli. Basti pensare all’energia dalla Russia e alla sua weaponizzazione prima dell’invasione dell’Ucraina. In un mondo “in subbuglio, connotato da logico di competizione e non più di cooperazione,” il Golden Power “risponde e risponderà sempre più all’esigenza di protezione degli asset strategici”, ha spiegato l’ex sottosegretario. Che poi è tornato su un punto che evidenzia spesso: i poteri speciali “non hanno nulla e non dovrebbero avere nulla a che fare con la politica industriale”, “anche se ciò non esclude che ci sia un forte nesso tra esercizio poteri speciali e logiche di politica industriale”.
Il tema delle compensazioni
Uno dei temi più delicati in materia di poteri speciali è il futuro dell’azienda colpita da un veto. Garofoli ha evidenziato come il governo Meloni abbia mostrato consapevolezza del tema, tentando di intervenire poco dopo il suo insediamento con il decreto-legge 187 del 2022. La norma prevede che la società colpita da veto possa accedere prioritariamente a fondi e strumenti finanziari di agevolazione e sviluppo. Una risposta che è “probabilmente ancora parziale” secondo Garofoli, che individua il problema “a valle del veto” chiedendosi se non debbano definirsi “luoghi e modalità” con cui lo Stato possa dare “un seguito industriale inserendo l’azienda in linee di politica industriale” tramite le partecipate. La delicatezza, però, è evidente, avverte Garofoli: “Il rischio è che si confondano i piani, che il seguito condizioni l’esercizio del Golden Power”.