Possiamo cercare di cogliere una grande opportunità, che non è solamente quella di approfondire insieme alcune sfide prioritarie di questo tempo storico particolarmente complesso che affrontiamo, ma è ancora prima, forse, quella di fare un importante passo in avanti nella riflessione geopolitica e geostrategica sul ruolo del Mediterraneo e provare a dare corpo e sostanza insieme a una definizione nuova e molto più ambiziosa, che non è più quella di Mediterraneo allargato, ma è quella di Mediterraneo Globale
Buongiorno a tutti.
Grazie e desidero in primo luogo dare il mio personale benvenuto a Roma e ringraziare personalmente i Ministri, le autorità e i numerosi ospiti internazionali che hanno accettato l’invito della Farnesina, l’invito dell’ISPI e che hanno preso parte ai lavori di questa decima edizione dei Rome Dialogues.
Voglio ringraziare il Ministro Tajani, il Presidente Bruni per l’ospitalità, per l’organizzazione, per la determinazione con la quale si continua a organizzare questo evento che è tornato quest’anno a svolgersi dopo la pausa dello scorso anno e che nel tempo è diventato un fondamentale forum di riferimento per il confronto sulle sfide che ruotano attorno al Mediterraneo. Ed è – come diceva il Ministro – un confronto che l’Italia considera assolutamente prioritario, strategico, banalmente perché il Mediterraneo è la nostra casa, nell’accezione più nobile che possiamo dare alla parola casa.
Occuparsi del Mediterraneo per noi significa valorizzare la naturale proiezione geopolitica, geostrategica, geoeconomica dell’Italia. È un qualcosa che non nasce semplicemente da un input politico, da una scelta occasionale che può fare questo o quel governo. È qualcosa di molto di più. È qualcosa che trae origine dalla nostra stessa posizione geografica e quella posizione geografica chiaramente nel tempo ha contribuito a definire la nostra cultura, lo sviluppo della nostra civiltà, la nostra proiezione verso l’esterno.
E, come ho ricordato molte altre volte, l’Italia è una Nazione molto particolare, è una Nazione continentale e marittima allo stesso tempo, ha la sua testa che è un pezzo di Mitteleuropea e ha i suoi piedi immersi nel Mediterraneo. E questo ci rende naturalmente un ponte tra il nord e il sud dell’Europa, tra l’Europa continentale e l’Europa mediterranea, tra l’Europa nel suo complesso e il Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente. Ma non solo.
Il Mediterraneo è stato per millenni il cuore degli scambi politici, culturali e commerciali del mondo. Poi per secoli si è trasformato in una sorta di “vicolo cieco”, come se fosse un’appendice estrema dell’Oceano Atlantico. Poi ancora il progresso e l’ingegno umano, come spesso accade, hanno reso possibile l’impossibile, cioè una modifica della geografia con l’apertura del Canale di Suez. Così il Mediterraneo ha progressivamente riacquisito la sua centralità, segnatamente come mare di mezzo che collega i due grandi spazi marittimi del globo, che sono l’Oceano Atlantico da una parte e l’Indo-Pacifico dall’altro, attraverso il mare arabico e il Golfo Persico.
È una centralità che nel tempo ha portato a coniare questa definizione di Mediterraneo allargato, cioè un concetto che, come qui sanno in molti, nasce negli anni Ottanta, che è entrato via via nel nostro linguaggio, che identifica di fatto uno spazio geografico racchiuso tra lo stretto di Gibilterra e il Golfo di Aden, includendo al suo interno anche il Medio Oriente e l’Africa centrale.
In questi anni si è lavorato molto per dare profondità politica a questa nozione, però io voglio dire stamattina che ho personalmente maturato la convinzione che perimetrare il Mediterraneo con confini fissi sia alla fine dei conti una sorta di diminutio e che oggi sia molto più aderente alla realtà delle cose l’insegnamento che un grande storico che era Fernand Braudel aveva già espresso alla fine degli anni 40, quando diceva che “il Mediterraneo è quale lo fanno gli uomini”.
Ecco io ho fatto questa lunga premessa per spiegare che credo che, in questo decimo anniversario dei Rome Dialogues, noi possiamo cercare di cogliere una grande opportunità, che non è solamente quella di approfondire insieme alcune sfide prioritarie di questo tempo storico particolarmente complesso che affrontiamo, ma è ancora prima, forse, quella di fare un importante passo in avanti nella riflessione geopolitica e geostrategica sul ruolo del Mediterraneo e provare a dare corpo e sostanza insieme a una definizione nuova e molto più ambiziosa, che non è più quella di Mediterraneo allargato, ma è quella di “Mediterraneo Globale”.
Significa, cioè, pensare il Mediterraneo non come a un contesto circoscritto, definito da limiti fisici, definito da limiti politici, e neanche come a un mare regionale alla fine dei conti estraneo alle grandi sfide, ma significa pensare al Mediterraneo come a uno spazio che vuole allargarsi al mondo e diventare protagonista delle principali interconnessioni globali, perché è alla portata della nostra sfida.
Noi non dobbiamo dimenticare che il Mediterraneo è la via di comunicazione più breve tra Occidente e Oriente e non è un caso che, nonostante occupi solo l’1% delle acque del globo, venga attraversato dal 20% circa del traffico marittimo mondiale. Prima che gli UTI iniziassero i loro attacchi contro le navi mercantili nel Mar Rosso, il canale di Suez aveva superato ogni record di traffico, superando le 26.000 navi transitate nel 2023, perché è lo snodo di connessione del Mediterraneo con un altro spazio marittimo fondamentale dello scenario economico internazionale, sempre più importante, che è l’Indo-Pacifico. Basti pensare al fatto che il 40% del commercio estero dell’Unione europea passa attraverso il Mar Cinese Meridionale e molto di più transita attraverso l’Oceano Indiano.
Sono tutti elementi che chiaramente offrono all’Italia un vantaggio straordinario, perché se è vero che il Mediterraneo è tornato al centro del mondo e se è vero che noi siamo al centro del Mediterraneo, la conclusione balza agli occhi, presumo per tutti. E chiaramente la nostra Nazione comprende bene la responsabilità e il ruolo che questo comporta, comprende bene quanto abbia oggi l’occasione di essere centrale nelle dinamiche globali e, particolarmente con questo Governo – credo che lo abbiamo dimostrato -, intende fare la sua parte fino in fondo da questo punto di vista.
Mi riferisco in particolare alle enormi opportunità che arrivano dallo sviluppo delle interconnessioni economiche, che sono sempre più determinanti in un contesto economico globalizzato e ad alta spinta innovativa. Penso, ad esempio, allo sviluppo di IMEC, il progetto di corridoio infrastrutturale ed economico che punta a collegare Europa, Medio Oriente e India, un’iniziativa sulla quale l’Italia ha giocato un ruolo fondamentale per il lancio in ambito G20 e nella quale l’Italia intende giocare un ruolo da protagonista, perché chiaramente connettere le città portuali dell’India, del Medio Oriente, dell’Europa, inserendo tra gli snodi cardine di questa mappa anche l’Italia almeno con Trieste, cioè il porto più settentrionale del Mediterraneo, storico ingresso marittimo all’Europa centrale orientale, ci consentirebbe chiaramente di liberare un potenziale enorme per la nostra economia, per il nostro commercio, per le nostre imprese. Così come strategica è la connessione digitale. In un tempo nel quale chiaramente i dati sono e saranno sempre di più il motore delle nostre società, qui voglio ricordare il Blue-Raman, il sistema di cavi di comunicazione in fibra ottica che collegherà l’India alle economie europee, passando ancora una volta per il Mediterraneo.
Concepire il Mediterraneo come uno spazio globale diventa una straordinaria occasione per tutti, anche dal punto di vista energetico, dove chiaramente abbiamo già candidato la nostra Nazione a diventare lo snodo principale per i flussi energetici tra Mediterraneo, Africa e Europa. È un’ambizione alla quale il Governo sta dando voce, come si sa, anche attraverso il Piano Mattei per l’Africa, che ha tra i suoi pilastri proprio l’energia, in particolare le connessioni energetiche. Qui vale la pena di ricordare due progetti strategici fondamentali: l’interconnessione elettrica ELMED tra Italia e Tunisia, quindi tra Africa ed Europa, e il South H2 Corridor per il trasporto dell’idrogeno dal Nord Africa verso l’Europa, cioè due infrastrutture che faranno dell’Italia la porta europea per il gas e per l’idrogeno mediterranei.
Dopodiché, parlare di Mediterraneo globale vuol dire anche lavorare per costruire uno spazio geopolitico che deve essere sempre più sicuro e stabile, in un’ottica di cooperazione paritaria, non predatoria, non caritatevole. E’ questo il messaggio che il nostro Governo ha voluto imprimere, particolarmente nel rapporto con le Nazioni africane, dove la nostra sfida è soprattutto quella di consentire alle Nazioni africane di utilizzare al meglio le numerose risorse delle quali dispongono, vivere di ciò che hanno, con governi stabili, con società prospere, e garantire così anche – ne faceva un cenno sempre il Ministro Tajani – un diritto che finora non è stato garantito, che è il diritto a non dover emigrare, a poter trovare nella propria comunità, nella propria casa, senza recidere i propri legami, la possibilità di un futuro migliore, fatto di dignità, fatto di crescita, fatto di lavoro, fatto di opportunità. Perché la vera solidarietà e il vero rispetto sono questo ed è quello a cui il Governo italiano lavora fin dal suo insediamento.
Questa è, come dicevo, la filosofia di fondo del Piano Mattei per l’Africa, un piano condiviso con i Paesi nei quali opera, un piano concreto che è già partito in nove Nazioni del continente africano, ma ovviamente il nostro obiettivo è quello di coinvolgerne molte di più.
È un piano strategico di interesse internazionale, non è solo un piano strategico di interesse nazionale. Quello che noi stiamo cercando di fare è europeizzarlo, internazionalizzarlo sempre di più e quindi creare sempre maggiori sinergie tra strumenti diversi che operano con lo stesso obiettivo e quindi Piano Mattei per quello che riguarda l’Italia, il Global Gateway dell’Unione Europea, il progetto infrastrutturale del G7, il famoso PGII. Stiamo, cioé, cercando di accompagnare anche tanti altri nel comprendere l’attenzione a questo approccio e a un continente che diventerà sempre più strategico per il futuro a livello internazionale.
Credo che si debba anche al nostro impulso fondamentale l’apprezzabile decisione della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di introdurre nella nuova Commissione un portafoglio dedicato al Mediterraneo, di lavorare alla scrittura di un Piano per il Mediterraneo. L’Italia guarda a questa iniziativa con grandissima attenzione, è pronta ovviamente a fornire tutta la collaborazione che è necessaria. Ma questa scelta dimostra un cambio di postura, un cambio – se vogliamo – di attenzione verso il fianco sud che l’Europa ha assunto negli ultimi anni e, io credo, soprattutto grazie all’impulso italiano.
Quel cambiamento di postura è visibile particolarmente e anche nel Governo dei Flussi Migratori che citavo il sostegno dell’Europa al memorandum con la Tunisia, il sostegno dell’Europa al memorandum con l’Egitto, l’impegno sempre più marcato da una parte per creare sviluppo nei Paesi africani e dall’altra per combattere le reti di trafficanti di esseri umani con un approccio che è obiettivamente molto diverso da quello che abbiamo visto nel passato, ci fa ben sperare per il futuro. Chiaramente è un percorso che ora va consolidato per contrastare con sempre maggiore incisività l’immigrazione illegale di massa, rendere parallelamente sempre più efficaci i canali di migrazione legali. È un lavoro che noi abbiamo portato avanti come Italia, non solo a livello europeo, lo abbiamo fatto a livello mediterraneo.
Ricordo il processo di Roma, l’iniziativa che, sempre con il Ministero degli Esteri e al Ministero degli Esteri, abbiamo organizzato lo scorso anno, mettendo insieme i principali Paesi mediterranei per lavorare insieme sul tema della migrazione, di come contrastarne le cause, di come gestirle efficacemente, di come combattere le reti di trafficanti. Lo abbiamo fatto qui a Roma, dando vita a questa iniziativa che non a caso si chiama “Processo di Roma”. Adesso stiamo lavorando alla seconda edizione che dovrebbe svolgersi in Tunisia nel corso del 2025.
Dopodiché, guardare al Mediterraneo significa anche far sentire il peso e il ruolo dell’Europa nella guerra al caos che rischia di propagarsi con la moltiplicazione delle crisi in atto. Conosciamo tutti la drammatica situazione che sta vivendo il Sudan, Paese dilaniato da una devastante guerra civile con una situazione umanitaria che è al collasso, catastrofica: circa 25 milioni di persone malnutrite, 8 milioni di sfollati interni, oltre 2 milioni e mezzo di persone fuggite nei territori confinanti di Sud Sudan, Chad ed Egitto, le gravissime violazioni dei diritti umani, le violenze su base etnica complicano un quadro che è già estremamente precario, che può generare conseguenze non solo nella Regione. Lo dico per ricordarlo a me stessa e lo dico per ricordarlo a ciascuno di noi, rispetto a una crisi della quale forse non si sta parlando a sufficienza, perché significa essere consapevoli del ruolo che è possibile giocare – sempre – nel contesto globale.
E non dimentico ovviamente, non potrei, la principale crisi che scuote oggi il Mediterraneo, ovvero il conflitto in Medio Oriente, la drammatica situazione nella Striscia di Gaza, in Libano.
Non ricordo tutto il lavoro fatto dal Governo italiano, lo ha fatto molto efficacemente in pochi minuti il Ministro Tajani – dico efficacemente in pochi minuti perché è stato un lavoro enorme -, per il quale ringrazio non solo il Ministero degli Esteri ma tutto il sistema Italia, perché queste cose riescono efficacemente, soprattutto e quando esiste una filiera di persone che comprendono quanto queste dinamiche siano fondamentali complessivamente per il nostro sistema.
L’annuncio, ieri notte, di un cessato il fuoco in Libano è uno sviluppo molto importante e molto positivo. Ovviamente dobbiamo considerarlo un punto di partenza e non un punto di arrivo. Occorre cogliere questa opportunità, lavorare ora con convinzione a una stabilizzazione di lungo termine del confine israelo-libanese che permetta a tutti gli sfollati, sia israeliani, sia libanesi, di tornare alle proprie case in sicurezza. Per far questo, come anche l’accordo del cessato il fuoco prevede, è fondamentale dare finalmente piena applicazione alla Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, rafforzando le capacità di UNIFIL, rafforzando soprattutto le capacità delle forze armate libanesi.
E io sono orgogliosa del fatto che l’Italia, con il comando dell’iniziativa Military Technical Committee for Lebanon, abbia un ruolo centrale anche e soprattutto in questa sfida.
Lavorare insieme ai partner del G7, insieme ai partner del Golfo, insieme ai partner europei per rafforzare le capacità delle forze armate libanesi in modo che possano assumere le responsabilità previste dal mandato ONU è condizione imprescindibile per realizzare gli obiettivi previsti dall’accordo sul cessate il fuoco e dalle Risoluzioni delle Nazioni Unite.
E anche qui voglio ringraziare il Ministero degli Esteri, che in questi giorni è stato impegnato con i suoi omologhi del G7, che ha ribadito ancora una volta l’impegno italiano per arrivare a una de-escalation, a gettare le basi per una soluzione politica duratura dell’intera crisi medio orientale, basata chiaramente sulla prospettiva dei due Stati in cui Israele e Palestina possano finalmente coesistere fianco a fianco in pace e in sicurezza.
L’aumento della tensione e l’escalation militare hanno, tra le altre cose, aggravato anche la crisi dei rifugiati in tutta la Regione, particolarmente in Siria, in Giordania, chiaramente in Libano. Lo voglio dire perché è un’altra materia sulla quale l’Italia si è molto spesa in questi mesi. È fondamentale affrontare questa emergenza perché è una crisi che si aggrava sempre di più. Personalmente e con l’intero Governo ci siamo impegnati per riportare anche questa questione all’attenzione dell’agenda del Consiglio europeo.
Sono convinta che l’Europa debba lavorare per costruire le condizioni necessarie affinché i rifugiati possano tornare in patria, un ritorno che deve essere volontario, sicuro, dignitoso, sostenibile. È quello che vogliono e chiedono gli stessi rifugiati ed è un obiettivo che non può essere rimandato ad un lontano futuro. E questo è un altro degli impegni di larga scala su cui l’Italia sta lavorando in questi mesi.
E quindi – e concludo – si conclude qui la decima edizione dei Rome Dialogues. È l’occasione per fare un bilancio di quanto abbiamo fatto finora ma soprattutto è l’occasione per chiederci cosa manchi ancora da fare.
E quindi noi, mentre chiudiamo un’edizione dei Med Dialogues, cominciamo a organizzare la prossima e ci interroghiamo sulle sfide dell’anno prossimo, perché sappiamo che ci sono ancora molte, molte pagine da aggiungere alla millenaria storia del Mediterraneo, che è una storia molto più ampia dei suoi confini geografici, come molto più ampie dei suoi confini geografici sono le sue opportunità. Del resto, come qualcuno scriveva, e in particolare lo scriveva quello che era il maestro di Albert Camus, “il Mediterraneo è uno spazio breve che suggerisce l’infinito”.
Vi ringrazio.