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Il rilancio dell’economia Ue passa per la produttività e l’innovazione del terziario. L’analisi di Emilio Rossi

Di Emilio Rossi

L’obiettivo di ridurre il gap con gli Usa (e presto anche con la Cina che sta sfornando un numero di brevetti paragonabile agli Usa) richiede attenzione ai temi della formazione, dando priorità a un miglioramento significativo del legame tra imprese e sistema dell’istruzione. Il commento di Emilio Rossi, economista del Gruppo dei 20

Nel contesto dell’attuale economia globale caratterizzato da elevata complessità, l’ammodernamento e lo sviluppo di alcuni comparti del terziario, la diffusione estesa dell’innovazione digitale e la crescente adozione dell’Intelligenza Artificiale si collocano tra le principali sfide per policy europee che puntino a un sostanziale aumento della produttività del sistema economico europeo. Nel quarto di secolo pre-pandemico, il tasso di crescita annuo della produttività oraria dei maggiori Paesi europei è stato tra appena un quinto e un terzo di quello Usa. Per ottenere un cambio di marcia della crescita della produttività oraria dell’economia Ue occorre quindi focalizzarsi sui comparti del terziario che ne mostrano il ritardo maggiore.

L’Ue risulta perdente nel confronto con la produttività oraria degli Usa dal 2000 in poi in tre comparti knowledge-intensive chiave per lo sviluppo economico:

a) finanza e assicurazioni (con una minor crescita rispetto agli Usa del 17,2%), ossia il settore chiave per la canalizzazione del risparmio verso gli investimenti;

b) Attività professionali, tecniche e scientifiche (Apts, minor crescita rispetto agli Usa del 44,5%), ossia le attività che rappresentano un input produttivo decisivo per l’efficienza delle imprese;

c) Qui il confronto diventa impietoso. Il comparto Ict, ossia il settore chiave per i processi produttivi e la digitalizzazione di tutte le imprese: dal 2000 la produttività oraria del settore Ict nell’Ue è aumentata del 65%, negli Usa del 240%, nel Regno Unito del 290%. È importante prendere coscienza del fatto che queste crescite di produttività così importanti negli Usa e nel Regno Unito sono state ottenute grazie alla crescita del valore aggiunto e non a scapito dell’occupazione nel settore.

Appare necessario, quindi, individuare policy atte a rilanciare questi comparti, accomunati dall’essere settori knowledge intensive. La spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) in percentuale del Pil nell’Ue si è stabilizzata al 2,27% nel 2021 (con focus su settori a media tecnologia), rimanendo ben al di sotto di quella degli Stati Uniti (3,46%) e anche del Giappone (3,34%), focalizzata invece su settori ad alta tecnologia. La riallocazione e l’incremento delle spese Ue in R&S (di cui si discute molto ma purtroppo con scarsi risultati pratici) dovrebbero essere indirizzati verso i tre settori indicati (con priorità ai progetti high-tech e con impatto più rilevante in campo ambientale).

Le misure adottate nell’Ngeu sono state indirizzate maggiormente ad aree come energia e infrastrutture, dei cui impatti indiretti beneficia, in primis, la manifattura e solo in misura riflessa e molto ridotta i comparti chiave del terziario di mercato. L’Rrf prevede che solo il 20% delle risorse vengano spese in digitalizzazione della Pubblica amministrazione e nel settore corporate. Dato il ritardo non solo in R&S ma anche nell’adozione di processi digitali dei principali comparti del terziario di mercato, risorse aggiuntive andrebbero individuate e/o dirottate da altri capitoli di spesa verso la digitalizzazione e l’Intelligenza artificiale, ossia la dimensione della digitalizzazione rivolta al futuro.

In particolare, sarebbe opportuno che gli investimenti in infrastrutture finanziate con Rrf siano indirizzati – in misura significativamente maggiore di quanto previsto allo stato attuale – verso infrastrutture come 5G e fibra, tecnologie satellitari, data centers, micro-chip, semiconduttori e verso il rapido sviluppo di competenze/managerialità che sono un pre-requisito per lo sviluppo di servizi e applicazioni digitali e di Ia, quest’ultima essendo il campo globale su cui si giocherà la competitività nei prossimi anni e decenni.

Per questo occorre una decisa svolta europea verso la riduzione del crescente gap con gli Usa relativo all’innovazione e all’adozione dell’Ia da parte delle imprese, adozione che peraltro comporta la revisione dei processi produttivi. La capacità di operare tale revisione richiede in tutta evidenza competenze tecnologiche profonde sia all’interno delle aziende che dei fornitori. Per avere una dimensione del ritardo Ue, sia nella comprensione della rilevanza del fenomeno che della grave sottostima dell’urgenza di intervenire, basti considerare che i soli investimenti privati in IA negli Usa nel 2023 sono stati circa 67 miliardi di dollari, mentre il recente pacchetto di misure relativo all’Ia approvato dalla Ce prevede un investimento di un miliardo di euro all’anno fino al 2027 per l’intera Ue.

Parallelamente, l’obiettivo di ridurre il gap con gli Usa (e presto anche con la Cina che sta sfornando un numero di brevetti paragonabile agli Usa) richiede attenzione ai temi della formazione, dando priorità a un miglioramento significativo del legame tra imprese e sistema dell’istruzione, dell’Università e dei centri di ricerca, al fine di favorire l’attrazione di talenti dall’estero e la ritenzione di quelli europei, basandosi sulle esperienze di modelli di altre aree/paesi e investendo anche in grandi Campus universitari.



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