L’ex presidente finlandese Niinistö ha suggerito la creazione di un organismo di intelligence europeo per proteggere le istituzioni dalle minacce esterne. L’obiettivo è coordinare le risorse informative senza sostituirsi ai servizi nazionali, dice Niccolò Petrelli, esperto in studi strategici. Tuttavia, restano sfide significative, inclusi gli interessi nazionali e il rischio di burocratizzazione, che potrebbero limitarne l’efficacia
La Central Intelligence Agency “non c’entra nulla” con la proposta di Sauli Niinistö, ex presidente della Finlandia, di istituire un organismo di intelligence in grado di aiutare a proteggere le istituzioni europee dalle minacce esterne. Lo spiega Niccolò Petrelli, ricercatore in Studi strategici al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre, commentando il rapporto consegnato mercoledì a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, sul rafforzamento delle capacità di difesa dell’Europa in ambito civile e militare.
Perché il servizio americano non c’entra nulla?
Il rapporto parla di integrazione e coordinamento per produrre analisi d’intelligence a difesa delle istituzioni comunitarie. I compiti della Central Intelligence Agency come la conosciamo oggi sono molto diversi, essendo un servizio di raccolta informativa. La proposta di Niinistö non si avvicina neppure all’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale istituito negli Stati Uniti nel 2004. Questo organismo, infatti, ha anche poteri di pianificazione della raccolta informativa che, nel caso dell’idea dell’ex presidente finlandese, sarebbero nelle mani degli Stati membri.
C’è un organismo a cui potrebbe essere paragonato “il servizio di cooperazione in materia di intelligence completamente autonomo a livello di Unione europea” proposto da Niinistö?
Assomiglia per certi versi al Director of Central Intelligence, che dal 1947 al 2004 era il capo della Central Intelligence Agency ma aveva anche un ruolo di coordinamento e integrazione delle risorse informative, diventando il principale consigliere del presidente americano in materia di sicurezza nazionale. Tuttavia, quella figura non ha mai funzionato appieno, come dimostrato dalle difficoltà di coordinamento attorno agli attacchi dell’11 settembre. Per questo, come detto, nel 2004 è stata creata la figura del direttore dell’Intelligence nazionale.
Che cosa potrebbe cambiare?
Il rapporto suggerisce una nuova mentalità rispetto a quella degli organismi d’intelligence europea attuali, ovvero EU Intelligence and Situation Centre e EU Military Staff. Si tratta di strutture che si ispirano a un concetto di intelligence molto tradizionale, di diplomazia e sicurezza. Niinistö, invece, suggerisce di ampliare lo spettro superando questa mentalità da Guerra Fredda includendo anche, per esempio, questioni di sicurezza economica e minacce ibride.
Gli interessi nazionali potrebbero rappresentare un ostacolo?
Per quanto riguarda il rischio di condividere fonti e metodi di raccolta non credo ci sarebbero particolari ostacoli. Infatti, il sistema sarebbe probabilmente molto macchinoso e burocratizzato, come capita spesso nelle istituzioni europee, evitando così il rischio di compromettere fonti e metodi. Piuttosto, il rischio, se pensiamo che la macchinosità e la burocratizzazione tipica dell’Unione europea non può che essere accentuata in un settore tanto sensibile, è che l’output di un simile organismo sia di scarsa utilità per il processo decisionale europeo. Diversa è la questione se parliamo di tentativi da parte dei servizi degli Stati membri più capaci di plasmare l’informazione.
C’è il rischio di politicizzazione dell’intelligence?
Nel caso di un organismo con compiti di coordinamento, la politicizzazione può arrivare dai servizi nazionali. Ma quello che ha in mente Niinistö non è a rischio politicizzazione, non avendo la possibilità di definire le priorità della raccolta informativa.
Un’agenzia europea potrebbe avere un ruolo anche nella proiezione esterna?
La proposta di Niinistö, che ricalca l’esperienza dell’antiterrorismo, riguarda principalmente la difesa delle istituzioni europee e la protezione del sistema interno. Difficile ipotizzare un ruolo nella proiezione esterna considerate le difficoltà storiche della politica estera europea.
L’ex presidente finlandese parla anche di attribution e declassificazione strategica: “Rafforzare l’attribuzione politica come base per la risposta alle minacce ibride e considerare caso per caso l’uso pubblico delle valutazioni di intelligence (declassificate)”.
Lo abbiamo visto già prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, quando i servizi segreti di Regno Unito e Stati Uniti hanno utilizzato la declassificazione strategica per scongiurare l’attacco o quantomeno preparare gli alleati. Rimane da capire il valore delle informazioni declassificate, ma evidentemente il ruolo pubblico dell’intelligence è fondamentale oggigiorno.