Lo scenario geopolitico degli ultimi anni ha conferito rinnovata rilevanza ai temi della Difesa e della sicurezza, tanto con riferimento alla protezione dei confini quanto alla tutela dell’ordine interno agli Stati. L’intervento di Alberto Nagel, ad di Mediobanca, che ha aperto i lavori del convegno “The Defense era: capital & innovation in the current geopolitical cycle”
Signore e signori,
sono lieto di darvi il benvenuto per il convegno “The Defense era: capital & innovation in the current geopolitical cycle”. Ringrazio i relatori che condivideranno la propria esperienza e le proprie autorevoli considerazioni nel corso dei lavori e ringrazio tutti voi per essere intervenuti.
Lo scenario geopolitico degli ultimi anni ha conferito rinnovata rilevanza ai temi della Difesa e della Sicurezza, tanto con riferimento alla protezione dei confini quanto alla tutela dell’ordine interno agli Stati.
I più affidabili indicatori segnalano che ci troviamo in uno snodo caratterizzato da tensioni, o loro focolai, di intensità comparabile a quella vissuta all’indomani dell’11 settembre e, prima ancora, in corrispondenza della Guerra del Golfo.
Una buona parte del mondo occidentale, e dell’Europa in particolare, si è trovata a fronteggiare questo scenario in condizioni di relativa impreparazione. Ciò è dipeso dal prolungato ‘dividendo della pace’, successivo alla fine della Guerra Fredda, che molti Stati hanno utilizzato per finanziare la spesa in welfare. Essa è diffusamente cresciuta più delle economie, a discapito di altri capitoli della spesa pubblica, tra cui quelli della Difesa e della Sicurezza.
Ribilanciare la composizione della spesa pubblica è esercizio molto impegnativo. Al di là delle posizioni ideologiche, che comunque hanno una propria rilevanza nel dibattito pubblico, i vincoli di bilancio introdotti da Maastricht hanno ulteriormente complicato il quadro a carico dei Paesi comunitari.
Inoltre, le considerazioni di natura economica tendono a collidere con quelle di rilevanza politica ed appare sfidante trovare un punto di giusto equilibrio.
Da un lato, infatti, la ricerca economica ha profuso un intenso sforzo analitico per valutare le conseguenze in termini di benessere e sviluppo che derivano dalla allocazione di risorse al settore della Difesa. Il presupposto della riflessione è che quanto dedicato alla Difesa, e all’industria che ne è fornitrice, è in qualche misura sottratto ad altri impieghi, alcuni dei quali godono di un maggiore ‘accettabilità’ sociale: l’Istruzione, la Salute e la Tutela dell’Ambiente, solo per citarne alcuni. Si tratta del dilemma noto come “guns versus butter”, ove “guns” rinvia all’economia della Difesa, “butter” alla cosiddetta ‘economia civile’.
D’altro canto, ogni speculazione economica entra in frizione con le considerazioni di carattere politico. Queste ultime sono sostenute dalla natura speciale del bene pubblico ‘Difesa’ che si configura come precondizione perché possano esistere tutti gli altri beni pubblici. In altri termini, senza Difesa e Sicurezza non vi sarebbe nessuna altra forma di libertà, né individuale né di iniziativa economica, e di benessere ad esse collegato.
Come è stato lucidamente osservato da Rajan Katoch: “Further, it is not always a straightforward choice between guns and butter. Guns also enable butter to be churned.” (Katoch R., Defence Economics: Core Issues, 2006).
Adam Smith si era già espresso in termini analoghi, notando che erano inalienabili compiti dello Stato: “that of protecting the society from the violence and invasion of other independent societies … that of protecting, as far as possible, every member of society from the injustice or oppression.” (Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, Book V, Chapter I).
Ecco, quindi, che l’onere della scelta allocativa torna nella sfera del decisore pubblico e l’analisi economica è relegata a un ruolo complementare, se non ancillare.
Mediobanca è tuttavia un’istituzione finanziaria e non può prescindere dalla dimensione economica nel valutare la rilevanza dei fenomeni che la circondano.
È questo lo spirito che porta oggi alla presentazione di un report dedicato all’industria della Difesa, frutto di un certo sforzo analitico per perimetrarne la consistenza, specialmente con riferimento al nostro Paese.
L’analisi si colloca all’interno delle verticali settoriali curate dall’Area Studi Mediobanca che coprono alcune delle specialità manifatturiere di eccellenza dell’Italia, anche in relazione alle opportunità ad esse offerte dai principali megatrend. L’industria della Difesa vi rientra a pieno titolo.
Lo studio individua 100 aziende italiane, di non sempre facile individuazione posto che molte di esse hanno un business dual use: sono cioè venditrici di prodotti e servizi sia nel mercato civile che in quello della Difesa.
Nel 2023 esse hanno sviluppato un fatturato pari a 40,7 miliardi di euro, per il 49% attribuibile alla Difesa. Si tratta quindi di almeno 20 miliardi di euro, in crescita del 6,6% sul 2022 e del 14,7% sul 2019. La forza lavoro ammonta complessivamente a oltre 181mila unità, 54mila delle quali impiegate nel core della Difesa.
Si tratta di cifre di assoluta rilevanza. Tanto più se si considera che l’analisi economica appare relativamente concorde nel ritenere che l’industria della Difesa sortisca spillover positivi sull’intera economia in termini di R&S e formazione del Capitale Umano, date le elevate competenze che essa richiede e che contribuisce ad affinare. Ciò accade con intensità diversa, in relazione agli assetti istituzionali dei singoli Paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, la Difesa svolge la funzione di vero e proprio strumento di politica industriale a favore dell’innovazione, portando alla trasmissione al comparto civile di molteplici tecnologie ‘general purpose’. In questo processo, il Dipartimento della Difesa agisce come ‘experimental user’, creando la domanda che permette alle aziende di sopravvivere e selezionare i prodotti più promettenti, riducendo i rischi economici associati alla sperimentazione delle nuove tecnologie.
Anche in Europa la Difesa è al centro del dibattito politico. Lo scorso 19 novembre i ministri degli esteri di Francia, Germania, Polonia, Italia, Spagna e Regno Unito si sono incontrati a Varsavia per rinnovare il sostegno all’Ucraina e, nell’occasione, si sono detti aperti all’emissione di debito comune per finanziare le spese militari, compresi gli sforzi per raggiungere l’obiettivo NATO del 2% del PIL per la difesa.
Credo che questa dichiarazione congiunta rappresenti un progresso notevole poiché i più grandi paesi d’Europa sembrano aver trovato un terreno comune per avanzare una proposta dettagliata su come emettere Eurobond per il settore della difesa.
Questa mossa è un ulteriore segno di reazione al risultato delle elezioni negli Stati Uniti, con l’Europa che deve crescere rapidamente e come un’unica entità, come indicato nei rapporti Draghi.
In questo quadro va rilevato il crescente interesse dei mercati finanziari per le società quotate che operano nell’ambito della Difesa. Secondo un’analisi per il Financial Times di Morningstar Direct, pubblicata lo scorso settembre, circa un terzo dei fondi in Europa e nel Regno Unito focalizzati sulle cd questioni ambientali, sociali e di governance ha investito nel settore 7,7 miliardi di euro, rispetto ai 3,2 miliardi nel primo trimestre del 2022. Nel giro di soli due anni è più che raddoppiata la presenza nei portafogli degli investitori ESG di aziende che operano nella Difesa, a testimonianza anche di un dibattito, citato in precedenza, che oggi ha portato a guardare con lenti nuove il ‘bene pubblico’ Difesa.
Già da queste preliminari considerazioni e, ancora di più, dagli interventi che seguiranno emerge l’utilità di mettere maggiormente a fuoco questo settore della nostra economia nella nuova fase che sta vivendo.
Vi ringrazio per l’attenzione e passo ora la parola ai nostri relatori.