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Bandire è più semplice che educare. La legge australiana sui social vista da Palmieri

Di Antonio Palmieri

Occorre essere consapevoli che non possiamo mettere la vita dei figli sotto una campana di vetro, digitale o analogica che sia. Possiamo solo continuare a proporre loro una presenza attenta, accorta, basata su una sola, decisiva parola: rispetto. Il commento di Antonio Palmieri, fondatore e presidente della Fondazione Pensiero Solido, alla legge australiana che vieta i social ai minori di 16 anni

“Bandire (peraltro senza sapere come realizzare il bando) è più semplice che educare”.
Questo il testo del mio post Linkedin, con cui ho commentato la notizia che il governo australiano ha proibito l’accesso ai social ai minori di sedici anni.

È un tema complesso. Senza pretesa di aver ragione ma con il desiderio di contribuire al ragionamento su come affrontare questa epoca inedita, difficile ma straordinaria, ecco alcuni punti per sviluppare il mio sintetico commento Linkedin.

– Il bando ai social per legge rischia di contribuire involontariamente alla deresponsabilizzazione dei genitori, che sono il punto decisivo della questione. Sono loro, siamo noi genitori che troppo spesso mettiamo i nostri device addirittura in mano a bambini di due anni o poco più, per tenerli tranquilli.

– Definisco leggi di questo tipo “provvedimenti clickbait”. Esattamente come certi titoli acchiappa click, questo tipo di norme piace, perché placa l’ansia delle persone. Il problema inizia quando si tratta di tradurlo concretamente in pratica. Come fare? Come rendere operativo il divieto? Non si sa.

– Per essere coerenti su questa linea, peraltro andrebbero vietate anche le app di messaggistica, che veicolano link e contenuti dai social. Di fatto, anche se tecnicamente non lo sono, Whatsapp, Telegram ecc. veicolano link, post, video, al pari dei social o di Tik Tok.

– In Europa ora abbiamo le norme del Digital Service Act da applicare alle piattaforme e in Italia le iniziative di Agcom, alle quali le stesse si devono attenere. Le norme ci sono e sono state fatte con l’intento di responsabilizzare chi gestisce social e piattaforme. Vediamo di vigilare e incalzare sulla loro applicazione.

– Educazione digitale a scuola e coinvolgimento dei genitori e di figli – per esempio attraverso lo strumento dei Patti Digitali o iniziative come Programma il futuro, Parole O Stili e ogni altra iniziativa che punti sulla educazione alla libertà e quindi alla responsabilità – sono la via giusta da perseguire, per avere giovani adulti capaci di stare nei social.

– Piccola testimonianza personale. I nostri figli hanno avuto lo smartphone a 13 anni e mezzo. Hanno accesso ai social comunque contingentato e, per quanto possibile, (sor)vegliato da noi. Adottiamo poche regole chiare: no smartphone a tavola, password conosciute da noi genitori, gestione social condivisa con noi, telefono in carica la notte fuori dalla loro stanza. Non è facile, serve attenzione (e discussione) continua.

– Occorre però essere consapevoli che non possiamo mettere la vita dei figli sotto una campana di vetro, digitale o analogica che sia. Possiamo solo continuare a proporre loro una presenza attenta, accorta, basata su una sola, decisiva parola: rispetto. Per fare questo non abbiamo bisogno di una legge. Nessuno ne dovrebbe aver bisogno.

– Si veda il mio articolo su Avvenire, i social siamo noi.

– Nell’era digitale, dalla quale indietro non si torna, dobbiamo educarci a starci da persone libere.



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