Alla vigilia dell’elezione del prossimo presidente degli Stati Uniti, a Roma l’incontro tra Mark Rutte e Giorgia Meloni è servito a fare il punto sulle priorità della Nato e sul ruolo degli alleati europei. Chiunque sarà il prossimo inquilino della Casa bianca, l’Italia si presenta con le carte in regola, con un governo stabile e una leadership proiettata verso il futuro
Quello tra Giorgia Meloni e Mark Rutte è stato un incontro tra due interlocutori che si conoscono bene, maturato nel corso dei due anni di governo del nostro presidente del Consiglio. Un rapporto, tra l’altro, all’insegna della cordialità e della collaborazione concreta, nonostante all’inizio si potesse pensare che ci fossero delle differenze tra i due. Da un lato un Paese che noi italiani consideriamo settentrionale, con interessi diversi dai nostri a partire dalle questioni finanziarie (i Paesi Bassi fanno parte del cosiddetto “gruppo dei frugali”) fino al tema dell’immigrazione, con L’Aia interessata maggiormente ai movimenti secondari, rispetto al nostro Paese preoccupato per quelli primari. Leader liberale lui, conservatrice lei. Invece, il rapporto si è subito caratterizzato come concreto e cordiale, dimostrato anche dal terzetto Team Europe, andato più volte a Tunisi per concludere l’accordo tra l’Ue e il Paese nordafricano (accordo che, numeri alla mano, sta producendo i suoi frutti). Rutte, inoltre, è rimasto a lungo, attentamente, non troppo allo scoperto. Pronto a candidarsi alla successione di Jens Stoltenberg, è uscito allo scoperto al momento giusto e ha ottenuto il sostengo generale. Certamente quello italiano.
L’incontro a Roma è avvenuto, per una coincidenza, alla vigilia delle elezioni negli Stati Uniti, e questo porta a considerare alcuni temi. Innanzitutto le conferme pubbliche dell’impegno del Paese verso la Nato, che continua e che rimarrà, indipendentemente dal risultato elettorale d’oltreoceano. Sicuramente il ruolo che “l’alleato maggiore” giocherà con la nuova amministrazione sarà importante, ma resta il fatto di una sintonia tra un Paese importante del Patto come l’Italia e il segretario generale dell’organizzazione che cura gli interessi di sicurezza comuni transatlantici.
Questa sintonia è emersa relativamente al sostegno all’Ucraina, confermato nel modo più fermo che mai, e nel rafforzamento del pilastro europeo della Difesa, complementare alla Nato, sviluppando l’industria del Vecchio continente. Significativo anche il fatto che, in conferenza stampa, è stato lo stesso Rutte a ricordare un tradizionale cavallo di battaglia italiano, quello di avere un approccio Nato a 360 gradi che superi il confronto tra fronte sud e fronte nord, considerando invece la complementarietà di tutti i teatri, inseparabili tra loro. Una visione a tutto tondo che, aggiungo, deve essere globale, andando oltre l’orizzonte del vicinato della Nato. Lo stesso Rutte ha anche ricordato come, a breve, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone assumerà l’incarico di presidente del Comitato militare dell’Alleanza, la posizione militare più importante della Nato.
Certo, resta il tema del 2% del Pil da dedicare alla Difesa, una sfida per noi ineludibile. Tuttavia, l’Italia può contare sul fatto che, dal punto di vista del contributo alle missioni dell’Alleanza, non siamo secondi a nessuno. I nostri militari sono schierati lungo tutti i confini della Nato, dalla Lettonia alla Bulgaria, nei cieli con il pattugliamento aereo (rispetto al quale siamo considerati tra i Paesi più efficaci grazie all’uso degli F-35 e degli Eurofighter) e nei mari con le della nostra Marina militare dall’Atlantico all’Indo-Pacifico (come dimostrato dalla recente campagna del Cavour e quella, ancora in corso, del Vespucci). Un impegno apprezzato da tutti, da entrambi i lati dell’oceano.
Resta l’incognita sul prossimo inquilino della Casa Bianca, che rischia di non esaurirsi stanotte ma proiettarsi anche nei prossimi giorni. Con Donald Trump sicuramente il rischio è che i toni si faranno più ruvidi. Tuttavia dobbiamo ricordare che il richiamo agli europei per fare di più in termini di bilanciamento degli impegni è avvertito da tutti negli Stati Uniti, a partire dal Congresso.
Dal lato europeo, in attesa di sapere chi vincerà, l’Italia si presenta con le carte in regola. Abbiamo un governo che, tra i grandi Paesi del Vecchio continente è tra i più stabili, proiettati nel futuro, con una leader, Giorgia Meloni, che ha confermato più volte il suo impegno transatlantico.
Dall’altra parte c’è un Segretario Generale dell’Alleanza, per definizione punto di raccordo e sintesi tra europei e americani, che si è appena insediato e ha una lunga prospettiva davanti a sé, e una solida esperienza alle spalle. E aggiungerei anche la leadership di Ursula von Der Leyen, indispensabile per potenziare quel partenariato tra Unione europea e Nato. Esistono dunque importanti punti di forza, proprio a partire da Rutte col suo rapporto con l’Italia, per guardare con fiducia al futuro. Noi europei (e la coesione nella Ue sarà fondamentale) dobbiamo fare i compiti a casa, soprattutto in materia di innovazione e industria della difesa – due aspetti indissociabili che stanno a cuore a Rutte – ma non partiamo da zero.
Quello che noi Paesi europei membri sia dell’Ue, sia della Nato, dobbiamo assolutamente fare e impegnarci a far funzionare il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico in tema di difesa e sicurezza. Anche perché sempre più stiamo assistendo all’integrazione tra i temi economici e di sicurezza, ben visibili, per esempio, nel carattere sempre più duale dell’industria della Difesa (pensiamo ai settori dell’Intelligenza Artificiale e del quantum), che non è più soltanto militare e che richiederà in futuro massicci investimenti da parte Ue.
A ciò dovremo anche aver presente, sia come Ue, sia come singoli Paesi, che nella grande sfida del nostro secolo tra Usa e Cina, l’Europa non può pretendere di essere parte terza e alternativa alle due superpotenze del XXI secolo. Sarebbe velleitario e controproducente. I nostri interessi e i nostri valori sono comuni a quelli Usa, chiunque sarà il prossimo l’inquilino della Casa bianca.
Se vincerà Kamala Harris, gli elementi di continuità saranno maggiori. Ricordiamo che è la vice di Joe Biden, a sua volta vice di Barak Obama. Per Trump, si tratterà comunque di un secondo mandato, e per quanto in questi nuovi quattro anni potrà essere più esigente e assertivo, ho la massima fiducia nelle capacità del SG Rutte nel saper gestire bene le situazioni che si verranno a creare e a lavorare con gli alleati europei.
Da parte di tutti dovrà esserci l’impegno a sostegno di un’Alleanza oggi più indispensabile che mai, che nel prossimo futuro dovrà dialogare con i partner in tutto il mondo.
Da parte nostra sarà importante essere in prima fila nel dialogo con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, anche basandoci sui partenariati che già esistono (Dialogo Mediterraneo e Iniziativa di Cooperazione di Istanbul). L’Italia potrà giocare un ruolo importante anche in Asia, come dimostrato dalla collaborazione con il Giappone (e il Regno Unito) sul GCAP, l’ambizioso programma per i caccia di sesta generazione.
Dobbiamo impegnarci, sapendo però che partiamo da buone posizioni.