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Brevi storie per colmare la distanza. Il racconto di Bonini

Di Marco Bonini

L’attore e sceneggiatore Marco Bonini firma un racconto tutto al femminile, “Se mi manchi è più bello. Brevi storie per colmare la distanza”, edito da Ribalta edizioni, casa editirice aperta nel 2024 da Stefano Francioni, produttore teatrale, che ha pubblicato anche il libro di Pier Paolo Spollon e di Edoardo Leo. Bonini narra come l’amore possa anche nutrirsi dell’assenza, se coltivato con piccoli gesti. Ne pubblichiamo un estratto che estrapola il momento in cui la protagonista narra a sua figlia la storia della famiglia sotto i bombardamenti del 1943 a Firenze

In aria, l’ufficiale che comanda gli incursori dà ora un ordine secco. Ciascun Wellington porta un carico di esplosivi fino a due tonnellate. Dalla pancia degli apparecchi si rovesciano giù decine di bombe. Un fischio accompagna la caduta degli ordigni. Pochi attimi più tardi tutta la terra trema come fosse scossa da un terremoto. Decine di bombe cadono sui quartieri residenziali della città.» Mi interrompo, ma non perché ho fretta per la cena. «Mamma? Perché ti sei fermata?».

Mi chiedo cosa sia giusto dire o non dire a una bambina degli orrori della guerra. È onesto edulcorare, addolcire, trasfigurare, o non è meglio dire la verità per quanto cruda sia? Come si racconta la guerra ai bambini? Come faccio a dirle che…

In via Scipione Ammirato, due signore, una con una figlia di tredici anni e l’altra con un bambino di tre, escono dal villino al numero 58, attraversano la strada e suonano il campanello di un’abitazione di fronte, dove c’è un rifugio antiaereo, ma nessuno risponde. Allora, frettolosamente, le due donne, la giovinetta e il figliuolo tornano indietro e si fermano nell’ingresso. Una bomba esplode centrando in pieno la villetta: muoiono tutti sotto le macerie. Nello stesso momento, in via del Cenacolo, proprio ai piedi della passerella pedonale in cemento armato che scavalca lo scalo ferroviario, il manovratore e il fattorino di un tram della linea 6 che qui fa capolinea staccano la puleggia e riparano nell’androne di uno stabile all’angolo con via Mannelli, l’edificio più vicino al transito dei treni. Una bomba esplode, il manovratore e il fattorino muoiono insieme ad altre ventitré persone.

In via Fra Paolo Sarpi una donna sta camminando rapida lungo il marciapiede, non ha ancora cinquant’anni anni. Le mancano appena centocinquanta metri per raggiungere la sua abitazione in via Luca Landucci 45. Alcuni conoscenti la chiamano, offrendole scampo: “Venga qui, signora si rifugi da noi”. La donna si ferma, accetta l’amichevole invito ed entra, ma una bomba esplode. Quell’edificio sarà raso al suolo.

Il corpo della signora andrà ad allinearsi con gli altri in un’aula della scuola Giotto. Marta, rifletto, non è isolata da ciò che accade nel mondo. Tutti i bambini e le bambine sono esposti comunque a immagini di guerra. Come fanno i genitori in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati, o in Ucraina, che vivono da mesi in un contesto in cui è impossibile nascondere la verità? Importanti psicologi sostengono che sia necessario dire la verità ai bambini sulle questioni familiari più delicate, come lutti o separazioni, e la stessa cosa vale per eventi drammatici come la guerra; lasciando il giusto spazio alle emozioni, che possono essere anche molto forti, quando si toccano temi come questi. Marta potrebbe spaventarsi all’idea che cose del genere siano successe anche ai suoi famigliari, e la sua paura ha bisogno di essere contenuta e non amplificata. Ma questo non vale per la paura di noi adulti di essere inadeguati al compito, che invece credo debba essere espressa senza timori.

Nessuno ha gli strumenti necessari per affrontare la guerra, né noi genitori né i nostri figli, ma questo non ci esime dall’affrontare la verità. «Amore, mi sono fermata perché la guerra mi fa tanta paura.» «Stai tranquilla, mamma, a me la guerra fa paura quando la vedo in tv, ma mi piace quando me la racconti tu. E poi la nonna Vittoria mi fa tanto ridere. Dài, continua. Ti prego!».

«Allora, c’è un ragazzino di quindici anni che è nel fossato che fian-cheggia il Campo di Marte. Sta giocando, quando a un tratto alza gli occhi verso via Campo D’Arrigo e via Frusa; viene accecato da un grande lampo arancione che si spande per un centinaio di metri, poi sente un boato spaventoso. Un ordigno è piombato a un paio di metri dai cancelli che danno sulla ferrovia, scavando una buca di due metri. “Bombardano” grida il ragazzo. Balza in piedi e in due salti attraversa il viale entrando di corsa in casa, chiude di colpo il portone alle sue spalle proprio mentre una bomba apre un grande cratere dinanzi alla porta, sradica un albero del diametro di mezzo metro e lo fa letteralmente volare sul tetto dell’edificio, ma il ragazzo è salvo. In via Marconi un altro ordigno piomba sulla carreggiata dinanzi a via Dupré e scava una voragine dove un topolino che correva tranquillo in una fogna si trova improvvisamente a cielo aperto. Fa appena in tempo a fare marcia indietro e rinfilarsi nel moncone di tubazione prima che i detriti dell’esplosione gli ricadano in testa. Un uomo in bicicletta è colpito in pieno da un altro ordigno. Di lui si ritroveranno l’anello, qualche brandello di stoffa e pochi resti.

Una ragazza sulla stessa strada ha fatto appena in tempo a rifugiarsi nell’atrio di uno stabile prima dello scoppio della bomba, ma lo spostamento d’aria le ha strappato gli abiti di dosso. Ovunque volano pezzi di persiane, frammenti di tende e di coperte, schegge di legno, parti di materassi, calcinacci, tegole. Le esplo- sioni si susseguono cupe, terribili. Un’immensa nube nera si alza dalle zone colpite. L’Armida Porina, nel rifugio di Palazzo Pitti, trema come una foglia di un autunno anticipato e suda freddo. I suoi due gemelli piangono disperati e la Vittoria si lamenta: “Armida, stai calma, non lo vedi che più ti agiti, più fai agitare i tu’ figlioli? Attaccali al seno, che li calma. Non è nulla, dài che tra poco passa e tu vai a lavargli le fasce nella vasca dei Cigni a Boboli che ti garba tanto. Guarda la mi’ figliola com’è tranquilla attaccata al seno, dorme come un angioletto!”. L’Armida prende i suoi gemelli e tremando cerca di attaccarli al seno come le ha detto Vittoria, quando arriva giù il nonno Lorenzo a sincerarsi che la nonna Vittoria stia bene.

Discute con un funzionario del comune: “Tutti ottimisti a Firenze, ora li voglio vedere in faccia quelli che dicevano che la città non sarebbe mai stata bersaglio di incursioni, perché non ha obbiettivi militari. Come stai, Vittoria? E la piccina?”. La Vittoria non si perde d’animo: “Ma io ’n capisco perché vi agitate tutti così tanto… Tra cinque minuti se ne vanno e noi si torna di sopra, che mi sta venendo anche una certa fame. Che stanno cucinando su per il pranzo?”.

Le risponde direttamente il cuoco, due panchine più in là: “Nulla, signora Vittoria, s’è tutti qui che s’aspetta che finisca il film dei cow- boy. Appena John Wayne rientra al ranch noi si torna su e si pensa a farla desinare… le garberebbe un bel brodo di giuggiole, per pranzo? Ci scusi, signor sovrintendente, se abbiamo un pochinino di paura di morire, ma lo sa che noi comunisti s’è tutti un po’ codardi”. La Vittoria l’è sconvolta dall’insolenza del cuoco: “Ma come ti permetti? Icché l’è codesta confidenza!”. E poi al marito: “E tu non gli dici nulla? Ma te tu l’hai sentito sì che sfacciato che l’è codesto lavorante? Ma che si parla così a una signora che allatta la su’ figliola?

Poi dici perché uno vota monarchico! Non s’è per nulla tutti uguali. Adesso lasciamo stare il fascismo, che magari ha un pochinino esagerato, ma un tu lo vedi che l’idea stessa di repubblica l’è fori dalla grazia di Dio? ’Sto giochino dell’uguaglianza si poteva fare ai tempi dell’antica Grecia, perché c’erano gli schiavi che non potevano giocare, o si gioca alla repubblica tra noi del circolo canottieri… La finiamo di fare i democratici? Non si può fa’ giocare tutti! Armidina mia, santo cielo, tu la vuoi finire di sudare?”.

Armida Porina, porina anche un po’ di fatto, è sempre lì accanto che tribola per far star buoni i suoi gemelli, e soprattutto tribola con la sua paura di morire sotto una bomba, quando scende di corsa il ragionier Zanella, un alto funzionario del comune, che comunica al nonno importanti aggiornamenti sul bombardamento “Signor sovrintendente, signor sovrintendente, lo scalo del Campo di Marte è intatto. Nessuna bomba è finita sui binari, nessun ordigno è finito su un convoglio tedesco”.

“Oh, hanno cambiato obiettivo?” fa il nonno. “No, l’hanno mancato! Invece sono saltate in aria decine di abitazioni civili!” “Oh Madonna bonina! Questi bucaioli della RAF sono fuori dalla grazia di Dio! Hanno fatto una strage per nulla?!”.

Il ragionier Zanella elenca: “Una delle bombe ha fatto crollare l’ala meridionale delle Scuole Pie, un’altra ha distrutto un villino di via La Marmora, una terza è piombata in piazza Cavour e le schegge hanno falciato don Amadori. Un’altra è cascata sull’angolo di via Pier Capponi e ha centrato in pieno la farmacia Maestrini, seppellendo il proprietario sotto le rovine. Un altro ordigno ha devastato l’abitazione del farmacista Maestrini in via del Pellegrino, un altro…”.

“Va bene, ragionier Zanella, ho capito, non serve che mi faccia adesso tutto l’elenco dei caduti. Saliamo su a chiamare il commissario prefettizio De Francisci che…”

 



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