Un documento declassificato pubblicato da Bloomberg sembra confermare anni di sospetti: il Cremlino ha probabilmente autorizzato l’assassinio di figure di spicco all’estero, compresi dissidenti politici ed ex spie. E non sembra aver cambiato piani con l’invasione dell’Ucraina
L’ultimo è stato, una settimana fa, il ballerino Vladimir Shklyarov, che si sarebbe sporto troppo da un balcone per fumare ed è volato giù a San Pietroburgo. Un incidente, dicono le autorità. Potrebbero c’entrare gli antidolorifici che pare assumesse in attesa di un intervento chirurgico alla spina dorsale. Ma inevitabilmente la sua morte, quella di un altro critico dell’invasione russa dell’Ucraina ordinata oltre mille giorni fa dal leader Vladimir Putin, a molti ne ha ricordate di diverse altre sospette, avvenute in circostanze misteriose, come suicidi che sfidano la logica e presunti avvelenamenti.
Da tempo i funzionari dell’intelligence occidentale anonimamente dichiarano di sospettare che alcune delle morti misteriose avvenute negli anni facessero parte di una campagna di Putin per assassinare i suoi nemici. Ieri, però, Bloomberg ha pubblicato alcuni documenti interni del governo statunitense, ottenuti tramite una richiesta di accesso civico (Foia), che fanno luce sugli omicidi mirati ordinati dal Cremlino.
Il punto di partenza è l’assassinio dell’ex spia russa Alexander Litvinenko a Londra nel 2006, seguito nel 2015 dall’omicidio del politico russo Boris Nemtsov e dalla morte per trauma cranico dell’ex ministro russo Mikhail Lesin a Washington. Questi eventi spinsero il Congresso americano a chiedere un rapporto all’Ufficio del direttore dell’Intelligence nazionale sugli “assassinii politici come strumento di politica di Stato” da parte della Russia dal 2000. Il memorandum, classificato, è stato declassificato e inviato a Bloomberg al termine di un processo lungo e complesso.
Il documento, intitolato “Kremlin-Ordered Assassinations Abroad Will Probably Persist”, confermerebbe che Putin probabilmente autorizza assassini di alto profilo all’estero. Il primo caso documentato risale al 2004, con l’uccisione del leader ceceno Zelimkhan Yandarbiyev in Qatar. Il rapporto cita anche l’omicidio di Litvinenko e altri casi, ma ammette che, a parte Litvinenko, le prove dirette sono spesso limitate. Tra le vittime menzionate figura Alexander Perepilichnyy, morto nel Regno Unito nel 2012 in circostanze sospette. L’intelligence americana collega la sua morte al Cremlino, nonostante le autorità britanniche abbiano concluso che si trattava probabilmente di cause naturali.
Il rapporto sottolinea la capacità della Russia di utilizzare agenti chimici o biologici per eliminare dissidenti e prevede che il Cremlino continuerà ad adottare tali metodi. Come evidenzia Bloomberg, nonostante il documento si riferisca a fatti di anni fa, il tema è attualissimo. Solo due settimane fa, 60 Minutes ha parlato di evidenze che suggeriscono che Putin abbia proseguito queste pratiche anche dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022.