“Questo volume nasce da un moto dell’animo. Racconta un pezzo della mia storia, il mio Craxi, un padre difficile e straordinario, e, vagando tra i ricordi, narra le vicende della nostra famiglia, una famiglia allargata a una piccola, grande comunità politica e di amici che per anni ha condiviso tutto”. Pubblichiamo un estratto del libro di Stefania Craxi “All’ombra della storia. La mia vita tra politica e affetti”
Tutto accadde tra il 7 e il 12 ottobre del 1985. Quando un commando di terroristi palestinesi sequestrò la nave da crociera Achille Lauro al largo delle coste egiziane, la prima preoccupazione del presidente del Consiglio Bettino Craxi fu quella di garantire l’incolumità delle oltre quattrocento persone, fra passeggeri e membri dell’equipaggio, che in quel momento si trovavano a bordo. Fin da subito, Craxi si orientò su un approccio che escludeva l’intervento militare in assenza di azioni violente nei confronti dei passeggeri tenuti in ostaggio, e insieme al suo ministro degli Esteri Giulio Andreotti iniziò a tessere una fitta rete diplomatica coinvolgendo fra gli altri il presidente egiziano Hosni Mubarak e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat.
Il commando che aveva assaltato la nave italiana apparteneva a un gruppo radicale che all’interno dell’Olp si opponeva alla linea di Arafat, convinto proprio da Craxi dell’inefficacia della lotta armata e dell’utilità di percorrere la strada negoziale per portare avanti le istanze del popolo palestinese. Solo in un secondo momento, dopo che i dirottatori si erano consegnati alle autorità egiziane, emerse la notizia dell’orribile assassinio di Leon Klinghoffer, un cittadino ebreo-americano disabile ucciso e gettato in mare. Le carte d’archivio, sia quelle di provenienza statunitense sia quelle italiane, testimoniano che del tragico destino di Klinghoffer Bettino Craxi sia venuto a conoscenza soltanto più tardi, e dopo che un primo contatto radio con il comandante dell’Achille Lauro, Gerardo De Rosa, che aveva escluso qualsiasi nocumento alle persone.
A quel punto, però, scattò l’azione americana: il presidente Ronald Reagan reclamò la consegna dei quattro terroristi e dei mediatori inviati da Arafat perché fossero processati sull’altra sponda dell’Atlantico, si arrivò al braccio di ferro nella base Nato di Sigonella, dove venne sfiorato perfino lo scontro armato tra gli avieri italiani, i militari statunitensi della Delta Force e i carabinieri. Craxi agì con determinazione per assicurare i terroristi alla giustizia italiana, che li condannò per l’atroce delitto che avevano commesso. Il presidente del Consiglio seguì la bussola della legge italiana e del diritto internazionale: il reato era stato commesso su nave italiana e la competenza a giudicare spettava alla magistratura del nostro Paese.
Ma Craxi era certamente mosso anche da una sete di giustizia, quel crimine non poteva e non doveva restare impunito. E così fu: i responsabili del dirottamento e dell’assassinio furono processati e condannati. C’è un episodio che mi piace ricordare, perché anche questo è indicativo della forza morale di Bettino e della sua determinazione dettata da convinzioni profonde: nella fase più acuta della crisi, Craxi tornò in albergo a tarda sera per riposare e lasciò detto a Marcello, il centralinista della grande famiglia del Raphael, che non voleva essere disturbato per nessuna ragione. Fu lo stesso Marcello a raccontarmelo. A notte fonda squillò il telefono, dall’altra parte c’era Michael Ledeen, un personaggio ieratico, non è mai stato chiaro per chi lavorasse.
La Cia? Il Mossad? Oppure per entrambi? Si racconta che fu proprio lui a organizzare alcuni viaggi negli Usa del sostituto procuratore Antonio Di Pietro. Di certo, a Washington egli aveva una grande influenza, tant’è che stava cercando Craxi per passargli Reagan. Al rifiuto di Marcello di svegliare il capo del governo italiano, Ledeen cominciò a sbraitare minacciando di far intervenire i carabinieri, sicché a quel punto il centralinista dell’albergo, indeciso se disattendere gli ordini di Craxi o dispiacere al presidente degli Stati Uniti, si risolse a passarglielo. A Marcello che annunciava la presenza di Reagan al telefono, Craxi obiettò: “Ma cosa vuole?”. Per lui, infatti, la questione era risolta, gli americani non dovevano impicciarsi per un reato su cui era titolata a intervenire la magistratura italiana. Sono stata e sono molto orgogliosa di come mio padre gestì quella crisi, difendendo le ragioni dell’Italia.