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Tramonta la cultura della concertazione? La riflessione di Merlo

Ecco perché abbiamo ancora tremendamente bisogno di non disperdere la cultura della concertazione che era, è e sarà l’unica via concreta ed efficace per evitare che il nostro Paese ripercorra quelle strade che abbiamo tristemente conosciuto in un passato meno recente. L’opinione di Giorgio Merlo

La cultura della concertazione ha rappresentato, negli anni, una delle migliori stagioni politiche e sindacali. La concertazione, del resto, si può solo declinare quando c’è una schietta cultura di governo sia da parte delle forze politiche – di qualsiasi schieramento siano ma soprattutto quando sono al timone del Paese – e sia anche da parte delle organizzazioni sindacali e datoriali.

Ma, come da copione, la concertazione non ha affatto cittadinanza quando prevalgono categorie politico e culturali antitetiche alla cifra riformista, di governo e autenticamente democratica. Per entrare nello specifico, la cultura della concertazione – che ha sempre trovato nella Cisl e nelle forze politiche riformiste i protagonisti decisivi e storici – non è compatibile con alcune categorie che, purtroppo, caratterizzano molti partiti e sindacati contemporanei. Ovvero, il massimalismo, il radicalismo, il populismo e l’estremismo sono semplicemente esterni ed estranei a qualsiasi cultura e prassi riconducibile alla concertazione.

Eppure ancora oggi ricordiamo il valore e la funzione della concertazione nell’affrontare e nel risolvere i maggiori problemi legati alla questione sociale e alla politica dello sviluppo e della crescita da parte di molti esecutivi del passato. È di tutta evidenza, quindi, che se prevale la sub cultura del massimalismo e del fondamentalismo qualsiasi ipotesi di concertazione, di accordo e di costruzione di progetti condivisi è destinata ad essere sacrificata sull’altare degli egoismi di partito. Ed è per queste ragioni, semplici ma essenziali, che oggi la concertazione tra le parti sociali è impraticabile. E questo per il comportamento concreto nonchè legittimo, ma oggettivo, di alcune forze politiche. Ovvero, il massimalismo del Pd, il radicalismo del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e il populismo dei 5 Stelle da un lato e l’estremismo del nuovo corso della Cgil dall’altro sono inciampi invalicabili per costruire insieme una strategia concertativa. E, al riguardo, la strategia dello storico sindacato rosso, con l’aggiunta servile della Uil, è perfettamente coerente e in sintonia con la rottura sistematica di qualsiasi accordo o dialogo con il Governo. Al di là del profilo, dell’identità e del programma del Governo di turno. Quando, cioè, prevale da parte sindacale il pregiudizio politico, la pregiudiziale ideologica e la concreta opposizione a qualsiasi ipotesi di accordo tra le parti sociali – emblematico proclamare lo sciopero generale prima ancora di avviare un confronto concreto e di merito con il Governo – l’epilogo non può che sfociare nella contrapposizione frontale e, speriamo di no, anche nella violenza di piazza.

E questo perché quando si invoca la “rivolta sociale”, come quotidianamente ormai ripete il capo della Cgil, tutto diventa possibile e qualsiasi modalità per contrastare le scelte del Governo diventa legittima. E non è il caso di scomodare sociologi o politologi per arrivare alla banale conclusione che siamo in una stagione dove prevale la contrapposizione ideologica e la perenne volontà di trasformare l’avversario politico in un nemico da abbattere e da criminalizzare. Sotto il profilo politico, culturale, morale e programmatico. Ecco perché, al di là di ciò che dice il sindacato rosso, abbiamo ancora tremendamente bisogno di non disperdere la cultura della concertazione che era, è e sarà l’unica via concreta ed efficace per evitare che il nostro Paese ripercorra quelle strade che abbiamo tristemente conosciuto in un passato meno recente. Ed è anche per queste ragioni che la cultura democratica non deve recedere da questo postulato. Il radicalismo, il massimalismo e l’estremismo non sono mai stati ricette di governo. Ma solo e sempre strumenti di propaganda dove il motto “tanto peggio tanto meglio” era la stella polare da perseguire.


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