Vicina ideologicamente al presidente eletto e personalmente al suo alleato Musk, la presidente del Consiglio è stata fortemente al fianco di Kyiv in questi due anni. Ma se la posizione di Roma dovesse cambiare, allora “sarebbe impossibile per l’Unione europea trovare una linea condivisa”, commenta il fondatore di Eurasia Group
I leader di Francia e Polonia, rispettivamente Emmanuel Macron e Donald Tusk, hanno reagito alle elezioni statunitensi mostrandosi decisi ad assumere un ruolo guida in Europa. È la risposta, almeno nelle intenzioni, alla prospettiva di un disimpegno americano con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che ha promesso di mettere fine alla guerra in Ucraina in 24 ore. Meno coraggioso il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il premier ungherese Viktor Orbán, invece, cercherà di essere il migliore alleato della nuova amministrazione americana tra i 27. In questo scenario, l’Italia di Giorgia Meloni rappresenta “l’interrogativo più grande”, secondo il politologo Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group. La presidente del Consiglio, dice in un briefing con alcune testate tra cui Formiche.net, è “piuttosto vicina ideologicamente a Trump e personalmente a Elon Musk” e al tempo stesso il suo sostegno all’Ucraina è stato molto solido in questi due anni di governo. Ma se la posizione italiana dovesse cambiare, allora “sarebbe impossibile per l’Unione europea trovare una linea condivisa”, a scapito dell’Ucraina, prosegue.
Guardando ai risultati elettorali, Bremmer non è “sorpreso” dalla vittoria di Trump. Anzi, osserva che molte elezioni di quest’anno hanno visto la sconfitta, o quantomeno la debolezza, degli uscenti. È accaduto, osserva, nel Regno Unito, nell’Unione europea, in Francia, in Germania, in Austria, in Giapponese, in India, in Sudafrica. Inflazione, immigrazione e disinformazione all’interno di un panorama politico senza dibattito ma con due “bolle” distinte sono i fattori che hanno fattori vincere Trump, dice. Con un crescente scetticismo verso le istituzioni, “Harris non è stata in grado di affrontare” questa tendenza, aggiunge.
“Se c’è stata una sorpresa è quella relativa al voto delle donne, nonostante la questione aborto, nonostante ci fosse una donna candidata e nonostante i precedenti di Trump con le donne”, spiega il politologo. Si stima che abbia votato per Harris il 92% delle afroamericane, ovvero il 7% degli elettori. A pesare è stata il voto delle donne bianche, il 37% dell’elettorato, il gruppo più numeroso del Paese.
È quello sull’Europa il più grande “punto interrogativo” della seconda amministrazione Trump, dice Bremmer. ”Trump ha affermato ripetutamente che porrebbe fine alla guerra tra Russia e Ucraina in 24 ore, persino prima di entrare in carica”. Quindi già nelle prossime settimane? Intanto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è congratulato con Trump e ha sottolineato quanto siano stati positivi i recenti incontri bilaterali avuti durante la sua visita negli Stati Uniti. “Non ha scelta, è una realtà politica di cui ha bisogno per mantenere il sostegno internazionale”, dice Bremmer, evitando che l’amministrazione Trump “non intende coordinarsi con gli europei, ma cercherà invece di negoziare direttamente con Zelensky e il presidente russo Vladimir Putin per imporre i termini dell’accordo”. Una condizione “politicamente estremamente difficile” per il leader ucraino.
Come reagiranno gli europei a questo? È un punto interrogativo. Non l’unico. Come risponderà l’Unione europea davanti all’ipotesi di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti. Sosterranno ancora gli Stati Uniti come negli ultimi anni? O preferiranno mantenere una posizione più ambigua su Cina e altre questioni strategiche?
Parlando di Cina, Bremmer osserva le difficoltà economiche del Dragone e la tentazione dell’amministrazione Trump di imporre nuovi dazi. “Stanno cercando di avvicinarsi a figure come Robert Lighthizer, che ha sempre sostenuto dazi più alti su tutte le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, oltre che a Elon Musk, che ha molti interessi economici in Cina ed è vicino a Trump. Per Pechino, Musk potrebbe rappresentare una via per facilitare i rapporti con la futura amministrazione”. Come reagirà il Congresso e il Partito repubblicano è tutto da vedere.
In questo contesto, l’amministrazione Trump entrante si troverebbe in un mondo molto più pericoloso rispetto al passato. In particolare, oggi, rispetto al 2017 iniziato con la prima amministrazione Trump, è maggiore la volatilità geopolitica, anche per via delle due guerre importanti (Ucraina e Israele-Gaza) e dell’inasprimento delle relazioni Stati Uniti-Cina. “Questo potrebbe portare Trump a ottenere alcuni successi diplomatici grazie al peso degli Stati Uniti, ma anche ad affrontare potenziali rischi molto più gravi rispetto alla sua prima amministrazione”, dice Bremmer. “Insomma, il mondo diventerà sempre più incerto e volatile nei prossimi mesi”, conclude.