La ricercatrice analizza gli scenari geopolitici legati al ritorno di The Donald alla Casa Bianca. Tra promesse di pace rapida e l’inflessibilità di Mosca, il destino degli ucraini si profila complesso
Nelle scorse ore Donald Trump Jr ha preso in giro sui social il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dicendo che la sua “paghetta” finirà quando suo padre, Donald Trump, sarà alla Casa Bianca, ovvero il 20 gennaio prossimo. Secondo Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice dell’Ispi, la seconda amministrazione Trump “non sarà molto positiva per gli ucraini”.
Come mai?
Kyiv spinge per una pace giusta, mentre Trump appartiene alla scuola della “pace a ogni costo” nonostante sia irrealistico pensare di poter raggiungere la pace in 24 ore come nelle sue promesse elettorali. Inoltre, Trump potrebbe pensare di avere un’influenza sul leader russo Vladimir Putin e di poter spingere la Russia verso un accordo, ma non è detto che questo basti. I russi, infatti, considerano con favore la vittoria di Trump ma difficilmente faranno grandi concessioni soltanto per questo.
Che cosa dobbiamo aspettarci da Mosca?
L’atteggiamento della Russia nei negoziati rimarrà rigido, con un’apparente flessibilità che non però concede molto. A pagarne il prezzo, inevitabilmente, saranno gli ucraini, il cui margine di compromesso è limitato. Zelensky, per esempio, non potrebbe accettare una resa o la cessione di ampie porzioni di territorio, poiché la popolazione non lo tollererebbe.
Stamattina il Cremlino, per bocca del portavoce Dmitri Peskov, ha bollato come “fake news” l’indiscrezione di una telefonata tra Trump e il leader russo Vladimir Putin che secondo il Washington Post si sarebbe tenuta giovedì. A che cosa stiamo assistendo?
Trump sembra volersi mostrare attivo anche prima del suo insediamento, come dimostrato dalla telefonata a Zelensky. Dal punto di vista russo, c’è un fattore cruciale da considerare: la politica interna. Putin ha costruito la sua legittimità sulla narrativa dell’Occidente e degli Stati Uniti come nemici. Non può, quindi, mostrarsi improvvisamente flessibile senza mettere a rischio la propria immagine. Per questo, la Russia vorrà mostrare fermezza.
Sempre oggi l’Svr, il servizio d’intelligence estera russo, ha diffuso un messaggio sostenendo che il dipartimento di Stato americano starebbe lavorando allo svolgimento di elezioni in Ucraina per eliminare il “presuntuoso” presidente Zelensky. È uno scenario credibile?
Gli ucraini stessi percepiscono il deficit democratico, ma comprendono anche quanto sia difficile organizzare elezioni in tempo di guerra. Senza i requisiti minimi di sicurezza, è difficile immaginare elezioni come quelle che si svolgono in tempo di pace. La Russia, d’altro canto, cerca di dipingere l’Ucraina come uno stato fantoccio incapace di organizzare elezioni, proiettando un’immagine di superiorità anche agli occhi dell’Occidente.
In vista del ritorno di Trump alla Casa Bianca, l’amministrazione Biden vorrebbe accelerare la fornitura di armi all’Ucraina, ha scritto il Wall Street Journal. Washington potrebbe inviare a Kyiv 500 intercettori per sistemi di difesa missilistica Patriot e altri sistemi missilistici superficie-aria Nasams nelle prossime settimane. È la conferma che qualcosa potrebbe presto cambiare nel sostegno di Washington?
Se dobbiamo basarci sulle dichiarazioni di Trump, il sostegno degli Stati Uniti cambierà. L’aiuto potrebbe essere erogato sotto forma di prestiti piuttosto che donazioni, con condizioni mirate a forzare l’Ucraina a scendere a compromessi. Biden, invece, vuole lasciare un’eredità che, pur con molte difficoltà, è caratterizzata dal sostegno deciso all’Ucraina.
Il Cremlino sembra farsi beffe dell’Europa dicendo, sempre per bocca di Dmitri Peskov, di notare un certo grado di “nervosismo” nelle cancellerie dopo la vittoria di Trump alle presidenziali negli Stati Uniti. Anche in questo caso, Mosca sta cercando di sfruttare il momento?
Questa strategia rientra nella classica logica russa del “divide et impera”. Per la Russia, il vero problema non è l’Europa nel suo complesso, ma quella parte di Europa più liberale e solidale con l’Ucraina. Non quella rappresentata da leader come Viktor Orbán o Robert Fico, che incarnano una visione più affine agli interessi russi.