Skip to main content

Da Usa-Urss a Russia-Ucraina. Così la guerra ibrida cambia le operazioni di intelligence

Di Ivan Caruso

La guerra si combatte nell’ombra, tra attentati mirati e sabotaggi. Dal monopattino-bomba che ha ucciso il generale Kirillov agli incendi nei magazzini europei, il conflitto russo-ucraino supera i confini del campo di battaglia. Una guerra ibrida che ricorda le operazioni segrete della Guerra fredda, ma con strumenti e tecnologie del XXI secolo

L’uccisione del generale Igor Kirillov a Mosca, mediante un ordigno nascosto in un monopattino elettrico, rappresenta l’ultimo episodio di una guerra che va ben oltre il tradizionale campo di battaglia ucraino. Questa “guerra nell’ombra” richiama per molti aspetti le strategie utilizzate durante la Guerra fredda, ma con modalità e tecnologie adattate al XXI secolo.

La dottrina Gerasimov, elaborata dal generale russo nel 2013, costituisce l’evoluzione moderna delle tecniche di destabilizzazione sovietiche. Se durante la Guerra fredda il Kgb operava principalmente attraverso la propaganda ideologica e il sostegno ai movimenti filosovietici, oggi l’approccio russo mira a creare caos e sfiducia nelle istituzioni democratiche attraverso una combinazione di disinformazione digitale, sabotaggio e azioni paramilitari.

Gli attacchi incendiari in Europa – dal magazzino di Birmingham ai depositi in Germania, Lettonia e Lituania – mostrano come la Russia stia cercando di colpire i Paesi che supportano l’Ucraina attraverso quella che Ken McCallum, capo dell’Mi5 britannico, definisce una “missione continua per creare scompiglio”. Il tentativo di assassinio dell’Ad di Rheinmetall, Armin Papperger, rispecchia le vecchie tattiche del Kgb di eliminazione dei “nemici dello stato”, ma con un obiettivo aggiornato: colpire il complesso militare-industriale che sostiene Kyiv.

L’Ucraina ha dimostrato una notevole capacità di adattamento, sviluppando proprie strategie di guerra ibrida che in parte rispecchiano quelle dell’avversario russo. Se inizialmente Kyiv si trovava principalmente sulla difensiva, nel corso del conflitto ha sviluppato capacità offensive sofisticate, combinando intelligence, operazioni speciali e guerra psicologica. L’adozione del ‘modello israeliano’ rappresenta un cambio di paradigma strategico: portare il conflitto nel territorio nemico attraverso attentati mirati e operazioni di sabotaggio, rispondendo alle tattiche di guerra ibrida che la Russia ha utilizzato negli ultimi decenni attraverso cyber attacchi, operazioni di influenza e destabilizzazione politica nei territori dell’ex spazio sovietico.

L’eliminazione di figure chiave come il generale Kirillov, l’ingegnere missilistico Mikhail Shatsky e l’ex direttore del carcere Sergei Yevsivkov dimostra che l’Ucraina ha sviluppato una rete di intelligence e capacità operative che vanno ben oltre la difesa del proprio territorio. Questo “apprendimento adattivo” dalle tattiche russe si manifesta anche nella gestione dell’informazione: Kyiv ha imparato a utilizzare efficacemente i media occidentali e i social network per sostenere la propria narrativa, contrastando la disinformazione russa con proprie operazioni di information warfare.

La differenza principale rispetto alla Guerra fredda risiede nell’uso massiccio della disinformazione digitale. Se durante il confronto Usa-Urss la propaganda seguiva canali tradizionali, oggi social media e cyberspazio permettono operazioni di manipolazione dell’opinione pubblica su scala mai vista prima, come dimostrato dalle presunte interferenze russe nelle elezioni americane del 2016.

Questa evoluzione della guerra ibrida ha portato a una situazione paradossale: mentre durante la Guerra fredda le linee di demarcazione tra i blocchi erano chiare, oggi il confine tra pace e guerra, tra operazioni legittime e atti di terrorismo, tra verità e manipolazione diventa sempre più sfumato. La “zona grigia” del conflitto si espande, rendendo sempre più difficile distinguere tra azioni statali e non statali, tra operazioni militari e criminali.

Le democrazie occidentali si trovano quindi ad affrontare una sfida multidimensionale che richiede un ripensamento dei tradizionali concetti di sicurezza nazionale. La minaccia non è più solo militare o ideologica, ma si estende al dominio cyber, alla stabilità delle istituzioni democratiche e alla resilienza delle società civili. La risposta dovrà essere altrettanto articolata: rafforzamento delle capacità di intelligence e controspionaggio, protezione delle infrastrutture critiche, ma soprattutto sviluppo di strumenti per proteggere l’integrità dei processi democratici dalla manipolazione esterna. La vera sfida sarà trovare un equilibrio tra sicurezza ed apertura, tra difesa e libertà, evitando che le misure di protezione finiscano per minare proprio quei valori democratici che si intende difendere.

 


×

Iscriviti alla newsletter