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Doppio scacco a Damasco. Il crollo dell’Impero di Assad e dei sogni di Putin

Di Ivan Caruso

La popolazione siriana, dopo oltre un decennio di conflitto, si trova ora di fronte a una nuova fase di incertezza. La sfida più grande sarà quella di ricostruire non solo le infrastrutture fisiche del paese, ma soprattutto il tessuto sociale lacerato da anni di guerra civile. L’analisi di Ivan Caruso, consigliere militare della Società italiana per l’organizzazione internazionale

La caduta di Damasco nelle mani delle forze ribelli segna un punto di svolta epocale nella storia della Siria e del Medio Oriente. Voci non confermate riferiscono della presunta morte del presidente Bashar al-Assad in un incidente aereo mentre tentava di raggiungere la base russa di Hmeimim. Con la sua morte oppure con la sua fuga dalla Siria, si chiude definitivamente un’era che ha visto la famiglia Assad al potere per oltre mezzo secolo. La rapidità del collasso del regime ha colto di sorpresa molti osservatori internazionali. In appena dieci giorni, le forze ribelli hanno conquistato le principali città del paese ,Aleppo, Homs, e infine Damasco, mentre l’esercito governativo si disgregava e le forze iraniane si ritiravano verso l’Iraq. Un crollo che rivela non solo la debolezza intrinseca del regime, ma anche l’impossibilità per i suoi alleati storici, Russia e Iran, di fornire un sostegno efficace.

La riunione in formato Astana tra Russia, Turchia e Iran ha portato a un cessate il fuoco che potrebbe segnare l’inizio di una complessa fase di transizione. Mosca, paralizzata dall’impegno in Ucraina e incapace di sostenere militarmente Assad, cerca ora di salvaguardare i propri interessi strategici nella regione, in particolare le cruciali basi navali nel Mediterraneo. Israele ha giocato un ruolo decisivo in questa fase, conducendo operazioni mirate che hanno significativamente indebolito le capacità militari del regime. In particolare, gli attacchi israeliani contro i laboratori di armi chimiche nella periferia di Damasco hanno eliminato una minaccia strategica significativa, confermando la determinazione di Tel Aviv nel prevenire la proliferazione di armi non convenzionali nella regione. Queste azioni, coordinate con intelligence di precisione, hanno contribuito a accelerare il collasso del regime.

Tuttavia, Israele guarda con preoccupazione all’instabilità che potrebbe seguire la caduta di Assad. La frammentazione del potere in Siria potrebbe creare vuoti pericolosi, potenzialmente sfruttabili da gruppi estremisti. Il rafforzamento della presenza militare israeliana sulle alture del Golan riflette questa preoccupazione, con Tel Aviv che si prepara a diversi scenari di sicurezza lungo il suo confine settentrionale. Il più grande successo strategico per Israele rimane l’indebolimento dell’asse Iran-Hezbollah. La perdita della Siria come corridoio logistico compromette significativamente la capacità dell’Iran di rifornire Hezbollah, alterando gli equilibri di potere regionali a favore di Israele. La distruzione di depositi di armi e l’interruzione delle rotte di rifornimento hanno inferto un colpo significativo alle capacità operative di Hezbollah.

Si delineano tre possibili scenari per il futuro della Siria. Il primo prevede una transizione guidata verso libere elezioni, sotto l’egida internazionale. Questa soluzione, apparentemente la più democratica, si scontra però con la frammentazione del paese e il rischio di nuovi conflitti tra le diverse fazioni.
Il secondo scenario vede l’emergere di una nuova nomenclatura più vicina alle posizioni dei ribelli ma ancora sotto l’influenza di Mosca, in una sorta di compromesso che permetterebbe alla Russia di mantenere una presenza nella regione. Questo potrebbe includere accordi per preservare le basi russe in cambio del riconoscimento del nuovo governo.

Il terzo scenario, più drastico, contempla la fine definitiva dell’influenza russa in Siria, con la perdita delle basi navali e il tramonto delle ambizioni di Mosca come potenza globale nel Mediterraneo. In questo caso, si aprirebbe un vuoto di potere che potrebbe essere colmato dalla Turchia, sempre più protagonista nella regione. L’inedita convergenza di interessi tra Turchia e Israele ha giocato un ruolo chiave negli eventi. Ankara, perseguendo le sue ambizioni neo-ottomane, ha fornito supporto decisivo ai ribelli, mentre Israele ha colto l’opportunità per colpire le linee di rifornimento tra Iran e Hezbollah.

Gli Stati Uniti, pur mantenendo un profilo relativamente basso, hanno sostenuto questa convergenza, vedendo un’opportunità per ridimensionare l’influenza russa e iraniana nella regione. La posizione americana è stata ulteriormente chiarita dalla dichiarazione dal neo eletto Presidente Trump, che ha affermato, riferendosi ad Assad, che “la Russia non era più interessata a proteggerlo”, sottolineando la volontà americana di non immischiarsi direttamente nelle vicende interne della Siria. Questa posizione di non intervento diretto, unita al tacito sostegno delle iniziative turco-israeliane, riflette una nuova strategia americana di gestione delle crisi regionali attraverso alleati locali piuttosto che con un coinvolgimento diretto. L’Iran, dal canto suo, si trova ora a dover ripensare la sua strategia regionale, con il rischio di perdere un alleato fondamentale per il suo “corridoio sciita”.

La situazione rimane fluida e carica di incognite. Il cessate il fuoco potrebbe rappresentare una pausa tattica più che l’inizio di una vera stabilizzazione. Molto dipenderà dalla capacità delle diverse forze in campo di trovare un equilibrio che garantisca sia la stabilità interna sia gli interessi delle potenze regionali. La popolazione siriana, dopo oltre un decennio di conflitto, si trova ora di fronte a una nuova fase di incertezza. La sfida più grande sarà quella di ricostruire non solo le infrastrutture fisiche del paese, ma soprattutto il tessuto sociale lacerato da anni di guerra civile. Il successo di questa transizione dipenderà in larga misura dalla capacità della comunità internazionale di sostenere un processo di riconciliazione inclusivo che possa prevenire il riemergere di nuovi conflitti.


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