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Trump metterà mano all’intelligence Usa? Il dibattito sull’Odni

Il giornalista investigativo Kessler suggerisce a Trump di abolire l’Ufficio del direttore dell’Intelligence nazionale, l’organismo che coordina le attività delle 17 agenzie, e tornare al pre 2004 con più poteri alla Cia. L’articolo ha acceso la discussione nell’attesa dell’insediamento della nuova amministrazione

Abolire l’Ufficio del direttore dell’Intelligence nazionale (Odni) degli Stati Uniti. È la proposta avanzata al presidente eletto Donald Trump da Ronald Kessler, ex giornalista investigativo del Washington Post e del Wall Street Journal, autore dei libri “The CIA at War: Inside the Secret Campaign Against Terror” e “The Secrets of the FBI”. “Il dibattito in corso a Washington può essere incentrato sulle competenze dell’ex deputata Tulsi Gabbard per dirigere l’organismo, ma la verità è che non esiste una burocrazia più gonfia o inutile nell’intero governo federale”, ha scritto sul Washington Post facendo riferimento al Dipartimento per l’efficienza governativa, denominato Doge, affidato a Elon Musk e Vivek Ramaswamy.

L’Odni non è un’agenzia di spionaggio, ovvero non raccoglie informazioni. È una struttura di coordinamento e supervisione, che supervisiona l’analisi e gestisce i bilanci, ma non dirige direttamente i 17 servizi d’intelligence. Kessler propone un ritorno alle origini, prima dell’11 settembre e del successivo Intelligence Reform and Terrorism Prevention Act, firmato dal presidente George W. Bush nel 2004, che ha istituito l’Odni alla luce della mancanza di condivisione di informazioni tra le varie agenzie, in particolare tra la Central Intelligence Agency e Federal Bureau of Investigation, emersa delle indagini sugli attacchi di Al Qaeda del 2001. Dal 1946 al 2004, infatti il capo della Central Intelligence Agency era il Director of Central Intelligence, ovvero il principale consigliere del presidente per le questioni di intelligence e il coordinatore di tutte le agenzie.

L’articolo è stato molto criticato dagli esperti di intelligence. Per esempio, Cortney Weinbaum di Rand Corporation ha evidenziato alcuni problemi nelle fonti citate: la fonte primaria di dati che l’autore cita è un rapporto dell’Ispettore generale che risale a 16 anni fa (amministrazione Bush) e viene utilizzata come prova dell’inefficacia dell’Odni di oggi; le critiche mosse da un funzionario dell’Fbi precedenti al 2010 (ormai vecchie di almeno 14 anni) come dimostrazione del fatto che l’Odni intralcerebbe il controspionaggio del Bureau. “Quattordici anni fa, una di queste due agenzie si è lamentata di essere stata rallentata – forse per l’obbligo di condividere le informazioni – e questa denuncia viene pubblicata oggi sul Washington Post come se fosse attuale?”, scrive Weinbaum. “Forse le cose vanno meglio ora, forse vanno peggio, ma l’autore non fa alcun tentativo di informare i lettori della verità”, aggiunge l’esperta. Infine, parla di “un’analisi scadente” che rischia di danneggiare “le nostre istituzioni nazionali e la nostra governance” e avverte che “la vuota retorica difficilmente salverà il nostro Paese dalle future minacce alla sicurezza nazionale”.

Oltre al metodo, però, colpisce il tempismo. Infatti, l’articolo è stato pubblicato in un momento complesso per la comunità d’intelligence degli Stati Uniti, con le nomine di Trump di Gabbard, criticata per le sue posizioni amichevoli verso Russia e Siria, a direttrice dell’Intelligence nazionale e di Kash Patel, difensore delle teorie del complotto di QAnon, a direttore del Federal Bureau of Investigation. Figure senza molta esperienza nel settore ma che rispondono agli intenti del presidente eletto di attorniarsi di fedelissimi. In particolare all’Fbi, agenzia che Trump critica da tempo, specie dopo la perquisizione del 2022 nella sua casa di Mar-a-Lago in cerca di documenti riservati.

A tal proposito è utile rileggere il capitolo dedicato all’intelligence del documento “Mandate for Leadership” pubblicato dal Progetto 2025, un’iniziativa del think tank conservatore Heritage Foundation preparato in vista della seconda amministrazione Trump. A firmarlo è stato Dustin Carmack, ex collaboratore di John Ratcliffe, scelto da Trump come prossimo direttore della Central Intelligence Agency. Per Carmack nell’intelligence americana la cultura “woke” ha rimpiazzato patriottismo e competenza. Per questo, serve “ripristinare la fiducia nella sua neutralità politica” cambiando i vertici per renderli più “reattivi” alla Casa Bianca. Questo, ribattono gli scettici e i critici, significherebbe subordinare l’intelligence agli obiettivi politici dimenticando il compito fondamentale delle agenzie di spionaggio nei sistemi democratici, ovvero la raccolta delle informazioni per aiutare il decisore politico a prendere le decisioni migliori.



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