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L’ultima partita di Assad. Mosca pronta al sacrificio del suo alleato

Di Ivan Caruso

Mentre le forze governative si ritirano da posizioni strategiche in tutto il paese e le ambasciate russe e cinesi invitano i loro cittadini a lasciare la Siria, Mosca, paralizzata dalla guerra in Ucraina e incapace di sostenere militarmente Assad, cerca di salvare le sue basi strategiche nel Mediterraneo attraverso una transizione negoziata del potere. Il commento del generale Ivan Caruso, Consigliere militare della Società italiana per l’organizzazione internazionale

In una svolta drammatica che potrebbe segnare la fine della lunga guerra civile siriana, i vertici del formato Astana (Russia-Iran-Turchia) si preparano a un incontro cruciale mentre le forze ribelli continuano la loro rapida avanzata attraverso il paese. Secondo le indiscrezioni, Russia e Turchia potrebbero discutere di una possibile uscita di Assad e della sua famiglia dal paese, con Mosca pronta a proporre nomi per un processo di transizione, mentre Ankara porterà le richieste dell’opposizione.

In questa fase cruciale, la Russia si trova in una posizione particolarmente delicata che spiega la sua apparente disponibilità a negoziare una transizione in Siria. Impegnata pesantemente nel conflitto ucraino, dove gran parte delle sue risorse militari sono bloccate in un’operazione che si è rivelata più lunga e costosa del previsto, Mosca non può permettersi di disperdere le proprie forze su due fronti così impegnativi. Il rischio concreto di perdere le sue fondamentali basi navali nel Mediterraneo, conseguenza di un possibile collasso incontrollato del regime di Assad, sta spingendo il Cremlino a cercare una soluzione negoziata che possa salvaguardare almeno i suoi interessi strategici nella regione.

La prospettiva di una ritirata ordinata, concordata con la Turchia, rappresenterebbe per la Russia un compromesso accettabile: rinunciare ad Assad – ormai considerato una pedina sacrificabile – in cambio della preservazione della sua presenza militare nel Mediterraneo orientale e mantenere al contempo una posizione strategica vitale per il suo status di potenza navale globale. Il crollo del regime appare sempre più vicino, con le forze governative che stanno subendo sconfitte su tutti i fronti. Ad Aleppo, la caduta della città nelle mani dei ribelli ha innescato un effetto domino che sta rapidamente erodendo il controllo territoriale del governo.

Nel sud, la situazione è particolarmente critica: i gruppi armati locali hanno preso il controllo di Daraa e Suwayda, i due principali capoluoghi della Siria meridionale, dopo il ritiro delle forze governative. La situazione è particolarmente dinamica nella provincia di Deir Ezzor, dove l’Osservatorio siriano per i diritti umani riferisce un ritiro completo delle truppe siriane e delle milizie filo-iraniane dalle zone sotto il loro controllo. Le Forze Democratiche Siriane (Sdf), dominate dai curdi, hanno colto l’opportunità per espandere il loro territorio, assumendo il controllo della città di Deir Ezzor e dell’aeroporto militare. Questo sviluppo ha effettivamente tagliato importanti linee di rifornimento del regime.

L’invito dell’ambasciata russa ai propri cittadini di lasciare immediatamente la Siria, seguito da un analogo avviso da parte dell’ambasciata cinese, ha alimentato le speculazioni che un accordo potrebbe essere imminente. La situazione critica ha reso necessarie consultazioni sulla rapida evoluzione degli eventi nel paese, come confermato dal ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, che ha parlato di “diverse soluzioni che contribuiranno a risolvere le crisi”. Il Libano ha reagito agli sviluppi chiudendo tutti i valichi di frontiera con la Siria ad eccezione di quello di Masnaa, che collega Beirut a Damasco. Questa decisione è stata presa poche ore dopo un’incursione israeliana che ha danneggiato il valico di al-Arida, che secondo le forze armate israeliane veniva utilizzato per trasferire armi a Hezbollah.

Israele sta seguendo gli sviluppi con particolare attenzione, come dimostrato dal rafforzamento delle proprie posizioni sul Golan. Il gabinetto di sicurezza israeliano ha programmato due riunioni di follow-up per valutare la situazione, mentre i militari si preparano alla possibilità di un collasso dell’esercito siriano. Le forze di difesa israeliane hanno aumentato la loro presenza nelle alture del Golan, dispiegando forze terrestri e aeree aggiuntive che “stanno aumentando la loro prontezza in base ai vari scenari”.

A Homs, nonostante le smentite ufficiali del Ministero della Difesa siriano che afferma di mantenere il “completo controllo” della città e della zona circostante, fonti sul terreno riferiscono di significativi avanzamenti delle forze ribelli nei quartieri settentrionali. Il ministero sostiene inoltre che sono affluiti nella regione “importanti rinforzi”, ma questi rapporti contrastano con le notizie di continui ritiri e riposizionamenti delle forze governative.
La Giordania ha risposto alla crisi chiudendo il valico di frontiera di Jaber, di fronte al valico siriano di Nassib, dopo che i gruppi armati ne hanno preso il controllo. Il ministro dell’Interno giordano, Mazen al Faraya, ha annunciato che solo i cittadini giordani e i camion giordani potranno rientrare nel territorio del Regno, mentre sarà vietato il traffico verso il territorio siriano.

Mentre l’oscurità cala su Damasco, i pezzi si stanno muovendo sulla scacchiera mediorientale. Il prossimo incontro del formato Astana potrebbe rivelarsi il capitolo finale del governo di Assad – o l’inizio di un’altra fase nel complesso conflitto siriano. Per la popolazione siriana stanca della guerra, la prospettiva della partenza di Assad porta sia speranza che ansia. Dopo anni di conflitto che hanno lacerato il tessuto della società siriana, la sfida sarà non solo rimuovere Assad ma costruire un sistema politico stabile e inclusivo al suo posto.


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