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La neutralità dello spionaggio, un’arte dimenticata. Il commento di Volpi

Di Raffaele Volpi

Nell’era di internet e della sovrabbondanza di informazioni, lo spionaggio ha visto i metodi di raccolta informativa evolversi e moltiplicarsi. Tuttavia, a questo cambio di strumenti non dovrebbe corrispondere un cambiamento nella metodologia di analisi, la quale dovrebbe sempre mantenersi asettica, equidistante e scevra da precondizionamenti di sorta. La riflessione di Raffaele Volpi, già presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica

Esiste una regola non scritta nello spionaggio, una sorta di legge morale che distingue l’artigiano del sapere dal mercante del sensazionalismo: l’informazione va trattata con assoluta neutralità, spogliata di ogni sovrastruttura, come un cristallo da esaminare senza toccarlo. Chi la raccoglie, chi la analizza e chi la interpreta, ha il dovere di accostarsi ad essa con la stessa cura e rigore con cui un restauratore lavora su un’opera d’arte: pazientemente, senza forzature, consapevole che l’errore più grave è guardare senza vedere. Nella modernità satura di notizie, il problema non risiede nell’accesso all’informazione – che è oggi sovrabbondante e spesso ridondante – ma nella qualità dello sguardo con cui essa viene trattata.

L’osservatore contemporaneo, travolto dall’urgenza di convalidare ipotesi precostituite o di inserirsi in narrazioni prefabbricate, si dimentica spesso che l’informazione non deve mai essere un riflesso del proprio punto di vista, ma uno specchio fedele della realtà. Solo così essa conserva il suo valore autentico. Eppure, questa neutralità, che dovrebbe essere la pietra angolare del lavoro investigativo, è oggi merce rara. Si privilegia la superficie al contesto, il dato al significato, il mezzo al mandante. La notizia viene letta alla luce del momento, svuotata del suo respiro originario, usata per confermare ciò che già si desiderava credere, anziché per aprire nuovi orizzonti di comprensione.

Lo spionaggio, il vero spionaggio, non può accontentarsi di questa superficialità. Esso richiede uno sguardo chirurgico, capace di penetrare l’opacità delle cose e di domandarsi, oltre il “cosa” e il “come”, il “chi” e, soprattutto, il “perché”. Non vi è nulla di più importante, nulla di più rivelatore, del mandante. Un messaggio, una mossa, una disinformazione, tutto nasce da un’intenzione. Capire quella volontà originaria – la mano che muove il pezzo, per così dire – è la vera essenza dell’intelligenza analitica.

Eppure, viviamo in un’epoca in cui il “perché” è stato relegato ai margini. Ci si perde nell’analisi tecnica dei mezzi – gli strumenti, le piattaforme, le tecnologie – dimenticando che il mezzo, per quanto sofisticato, è sempre al servizio di un’intenzione. Si indaga il canale, ma si smarrisce il senso; si segue la scia, ma non si risale alla fonte. Così facendo, si finisce per attribuire al coltello una colpa che spetta alla mano, e al vento una direzione che spetta alla vela.

Ma è nel “perché” che si cela la verità. Solo risalendo alle motivazioni profonde, alle dinamiche nascoste, si può restituire all’informazione la sua autenticità. Questo non significa rinunciare all’analisi tecnica, ma ricollocarla nel suo contesto naturale, subordinandola a una domanda più grande e più essenziale: chi ha voluto che questa informazione emergesse? E per quale fine?

Forse, allora, sarebbe il caso di riscoprire un po’ della vecchia scuola, quell’approccio fatto di pazienza e rigore, di distacco e umiltà. Perché l’informazione, se piegata a fini di parte, non illumina, ma distorce; non svela, ma confonde. E uno spionaggio che rinuncia alla neutralità non è altro che un gioco di specchi, dove la verità si perde nel riflesso delle interpretazioni.

L’essenza del lavoro di chi analizza non è sapere, ma capire. E capire significa saper osservare senza giudicare, discernere senza pregiudizio, rinunciare alla tentazione di leggere il mondo come vorremmo che fosse, accettandolo per ciò che è. Non è un compito facile , e certamente non è un compito per tutti. Ma, nell’arte dello spionaggio – come nella vita – è l’unico modo per avvicinarsi alla verità.


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