Un imprenditore cinese arrestato in Italia su richiesta di Pechino è stato liberato dopo che le autorità cinesi non hanno formalizzato l’estradizione. Questo caso, conclusosi a Venezia, evidenzia il potenziale uso abusivo delle “Red Notice” di Interpol da parte della Cina, sollevando dubbi sul rispetto dei diritti umani e sul ruolo dell’Italia nel contrastare tali pratiche
Un caso, conclusosi l’8 novembre scorso con la decisione di non luogo a procedere da parte della Corte d’Appello di Venezia, che sembra confermare l’utilizzo persecutorio che non infrequentemente si fa dello strumento “Red Notice” di Interpol. È quello di un imprenditore nato in Cina di una cinquantina d’anni, che preferisce mantenere la sua identità nascosta per ragioni di sicurezza personale. L’uomo è stato arrestato il 25 giugno a Padova sulla base di una “Red Notice” di Interpol emesso dalla Cina, che ne aveva chiesto l’arresto per il reato di frode commerciale, per il quale è previsto l’ergastolo come pena massima. Due giorni dopo, però, già alla prima udienza, all’uomo sono stati concessi i domiciliari. Il 26 luglio ne è stata ordinata la liberazione. L’8 novembre, come detto, è stato deciso il non luogo a procedere.
La particolarità di questo caso sta nel fatto che nei trenta giorni previsti dal Trattato di estradizione tra Italia e Cina non è stata trasmessa la formale richiesta di estradizione. Tale modus operandi appare in violazione dell’articolo 2 della Costituzione di Interpol, che stabilisce come tra gli scopi di tale ente vi sia quello di contribuire in maniera efficace alla prevenzione e alla repressione del crimine. Sono proprio questi aspetti a suggerire l’utilizzo persecutorio dello strumento in questione da parte delle autorità cinesi.
L’avvocato difensore, Gianmarco Bondi, esprime a Formiche.net la propria soddisfazione per la decisione della Corte d’Appello e non esclude di chiedere la revoca della “Red Notice” contro il suo assistito, che intanto ha lasciato l’Italia.
Non è un caso isolato. Ci sono stati almeno due casi, casualmente tutti e due ad Ancona. In entrambe le occasioni gli imputati erano difesi dall’avvocato Enrico Di Fiorino.
Il primo caso riguardava una donna, ex amministratore delegato di una nota società cinese, che era ricercata in patria per presunti reati economici. In quella situazione l’Italia fu il primo Paese a pronunciarsi circa la possibilità di collaborazione con la Cina (negando l’estradizione) dopo la storica sentenza Liu v. Poland della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 ottobre 2022, l’Italia era stato il primo Paese a pronunciarsi circa la possibilità di collaborazione con la Cina, con la sentenza della Corte di Cassazione del 1° marzo 2023. Come raccontato da Formiche.net, tra il giugno e il dicembre 2021 la polizia cinese aveva trattenuto, immotivatamente e senza neppure informare i parenti, il fratello per sei mesi e sottoposto a “trattamenti inumani e degradanti” al fine di spingere la donna a far ritorno in patria.
Il secondo caso aveva come protagonista un cittadino cinese, ex dirigente di un colosso cinese delle costruzioni. Lui e gli altri vertici della società erano accusati di aver raccolto illegalmente circa 400 milioni di euro, con oltre 10.000 investitori coinvolti, per la realizzazione di un progetto immobiliare nella provincia cinese di Jilin. Dopo quasi due mesi di carcere, la Corte di Appello di Ancona aveva rigettato la richiesta di trasferimento in Cina.
Dopo il primo caso, a marzo 2023, il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata aveva espresso preoccupazione, parlando di “ennesimo abuso, da parte di Pechino, del sistema delle “Red Notice” nei confronti di propri connazionali all’estero” e presentando un’interrogazione parlamentare.
(Foto: Giustizia.it)