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Spionaggio e uso malevolo delle tecnologie. La sicurezza della ricerca secondo Mantovano

Serve difendersi non solo dallo spionaggio ma anche dall’uso malevolo delle tecnologie sviluppate, ha spiegato l’Autorità delegata. Per il piano nazionale saranno fondamentali i ricercatori. Il sondaggio fa ben sperare: il 90% si dice favorevole ad attività di formazione sul tema

La sicurezza e l’integrità della ricerca non è solo un problema di spionaggio, è problema anche di uso malevolo delle tecnologie sviluppate dal mondo della ricerca. A spiegarlo è stato Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, concludendo ieri i lavori della Conferenza nazionale sulla sicurezza e l’integrità della ricerca, organizzata al Politecnico di Bari dal ministero dell’Università e della ricerca guidato Anna Maria Bernini. La lotta per la sovranità tecnologica non ha conseguenze solamente sul piano commerciale e industriale, ma anche sull’erogazione di servizi essenziali e sull’esercizio di diritti fondamentali, che dalle nuove tecnologie sono sempre più dipendenti, ha continuato Mantovano citando l’uso dell’intelligenza artificiale nel settore sanitario, nella cybersicurezza o nell’orientare il flusso delle visualizzazioni sui social network. “Per non parlare delle biotecnologie o dei semiconduttori”, ha aggiunto.

L’annuncio del mese scorso

Un mese fa, Mantovano e Bernini hanno annunciato piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere. Obiettivo dichiarato: non limitare la ricerca ma proteggerla con linee guida nazionali e moduli formativi. Il sistema dovrebbe essere operativo nel 2026 dopo la fase sperimentale l’anno prossimo. “Non c’è un elenco dei Paesi insicuri”, aveva spiegato il sottosegretario Mantovano rispondendo a una domanda sulle attività di Pechino. Concetto ribadito anche da Bernini: “Non esistono Paesi buoni o cattivi, esistono buone o cattive pratiche”, aveva dichiarato evidenziando la collaborazione tra Italia e Cina nei campi scientifici.

Il caso Bgi

In quell’occasione, Mantovano aveva fatto un esempio di quei casi che devono richiedere “particolare attenzione”: quello di “una collaborazione tra un’azienda italiana e un’azienda di uno Stato straniero sul sistema di sequenziamento del Dna con dati trasmessi tutti, nel dettaglio, nello Stato straniero”. Nessuno riferimento esplicito alle aziende coinvolte. Ma, come raccontato su Formiche.net, sembra trattarsi del colosso cinese BGI Group, già Beijing Genomics Institute, con sede a Shenzhen e sostenuto da alcune società statali di Pechino, un gigante biotech che in Italia lavora con diversi istituti e università.

Verso il piano nazionale

Anche in linea con gli impegni europei, il governo italiano sta lavorando al piano che dovrebbe poggiare su tre pilastri: non gravare sulle attività quotidiane delle istituzioni di ricerca; prevedere linee guida nazionali; offrire moduli formativi e informativi oltre a suggerimenti di mitigazione a seconda delle diverse situazioni e dei rischi. Una sorta di semaforo che, su base auto-valutativa: con luce verde si va avanti; con luce gialla si rallenta e si controlla meglio; con luce rossa ci si ferma e si approfondisce il rischio, anche grazie alla collaborazione di un centro di riferimento nazionale che dovrebbe essere al ministero dell’Università e della ricerca.

I risultati del sondaggio

Mantovano ha evidenziato poi come, leggendo i dati del sondaggio tra i ricercatori presentati ieri, i primi ad esserne consapevoli sono proprio i protagonisti della ricerca. Qualche numero: oltre il 75% degli intervistati dice di sentire l’esigenza di un sistema nazionale che garantisca la sicurezza della ricerca; l’85% ritiene utili analisi del rischio su determinati Stati, o settori di ricerca e utili i relativi aggiornamenti; il 90% si dice favorevole ad attività di formazione sui temi della sicurezza della ricerca. Numeri importanti, secondo il sottosegretario, che ha evidenziato due aspetti: che nessuno piano di sicurezza contro le ingerenze straniere, per quanto ben congegnato, non può essere immaginato né attuato se non poggia sul supporto di chi deve poi renderlo funzionante, ovvero sui ricercatori; che anche in Italia “si sta diffondendo una sana cultura della sicurezza nazionale, nonostante un retaggio del passato conduca ancora a guardare con sospetto ai temi della sicurezza, quando non con approcci dietrologici”.

I passi finora intrapresi

Alla luce di questi risultati, il governo ha ricevuto dai ricercatori un mandato chiaro a proseguire sulla strada intrapresa negli ultimi mesi, ha osservato ancora Mantovano. Intanto, due sono i passi già intrapresi: sul piano istituzionale, l’inserimento del ministero dell’Università e della ricerca nel Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, per coinvolgerlo nel circuito informativo riservato dell’intelligence e nelle scelte strategiche della politica dell’informazione per la sicurezza; sul piano operativo, l’istituzione allo stesso ministero del “Tavolo interministeriale per la sicurezza della ricerca” e il lavoro per un “Piano nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere”.

I prossimi appuntamenti

Oggi, sempre al Politecnico di Bari, la “G7 Conference on Security and Integrity of the Global Research Ecosystem”, side event del G7 Scienza e Tecnologia del 10 e 11 luglio a Bologna e Forlì. Il 27 e il 28 gennaio, invece, si svolgerà il primo Congresso nazionale sull’integrità nella ricerca, organizzato dal Consiglio nazionale delle ricerche.


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