L’esperta della National Science Foundation: “L’obiettivo è mitigare i rischi con trasparenza e buone pratiche per garantire collaborazioni internazionali sicure e basate su valori comuni”. Sull’Italia: “Sta facendo passi avanti importanti”
Sarah Stalker-Lehoux è deputy chief of research security strategy and policy alla National Science Foundation, agenzia governativa americana che si occupa di ricerca e formazione in tutti i settori non medici della scienza e dell’ingegneria. La incontriamo all’indomani della sua partecipazione alla conferenza G7 su sicurezza e integrità della ricerca organizzata a Bari.
Uno dei temi cruciali oggi è come gestire la cooperazione scientifica in un’era di competizione globale. Si parla spesso di “coopetizione”, un equilibrio tra cooperazione e competizione. Qual è il suo punto di vista?
È una questione centrale, soprattutto con l’attenzione crescente alla competizione tecnologica. Negli Stati Uniti, ciò che dieci anni fa era incoraggiato – come i programmi di scambio di talenti – oggi viene scoraggiato, a causa delle preoccupazioni sulla sicurezza della ricerca. Tuttavia, credo che la chiave sia l’educazione. Dobbiamo puntare sulla trasparenza e sulla mitigazione del rischio, non sull’evitarlo completamente. Collaborazioni internazionali trasparenti e basate sui principi sono fondamentali per mantenere gli Stati Uniti al vertice della scienza e della tecnologia.
Qual è la posizione degli Stati Uniti in merito a questo equilibrio tra apertura e sicurezza?
La posizione degli Stati Uniti è chiara: “open as possible”. Alcuni parlano di “open as possible, as close as necessary”, ma non siamo d’accordo con questa visione. Noi crediamo che sia possibile essere aperti e sicuri allo stesso tempo. L’obiettivo non è evitare i rischi né arrivare a un rischio zero, che è impossibile, ma mitigare i rischi. Attraverso la trasparenza e l’adozione di pratiche solide di sicurezza nella ricerca, possiamo garantire collaborazioni internazionali che siano sicure e basate su valori comuni.
Come si traduce questo nella pratica?
Per esempio, alla National Science Foundation, adottiamo un approccio “chirurgico” per identificare i rischi. Se qualcuno riceve finanziamenti o collabora con enti presenti in liste sensibili, discutiamo il rischio e troviamo soluzioni. La trasparenza è cruciale: tutti devono essere onesti sulle proprie affiliazioni e fonti di finanziamento.
Visto il tuo passato al Consiglio per la sicurezza nazionale, come vedi l’interazione tra mondo accademico e istituzioni?
C’è una stretta collaborazione, soprattutto per le politiche di sicurezza della ricerca. Durante il mio periodo al Consiglio, abbiamo lavorato insieme all’Ufficio per la politica scientifica e tecnologica per sviluppare standard di sicurezza. L’obiettivo è sempre bilanciare sicurezza e collaborazione, evitando pregiudizi o xenofobia.
La Cina è spesso al centro di queste discussioni. Pensi che ci siano differenze tra le narrative adottate dalla Cina e quelle dei Paesi del G7?
Non posso entrare troppo nei dettagli, ma il nostro obiettivo è mantenere principi comuni come trasparenza, reciprocità e libertà accademica. Vogliamo che tutti, inclusa la Cina, rispettino questi valori.
Quali settori della ricerca consideri più sensibili?
Sicuramente le tecnologie emergenti. Quantum computing, microelettronica, intelligenza artificiale, biotecnologie: sono tutti ambiti che richiedono attenzione. Per esempio, stiamo avviando un programma pilota per valutare i rischi nella scienza dell’informazione quantistica. Se funziona, estenderemo l’approccio ad altri settori.
Perché la biotecnologia è così strategica?
La biotecnologia si basa fortemente sui dati, e questi rappresentano una risorsa fondamentale per sviluppare nuove tecnologie. È un settore complesso, perché non si tratta solo di controllare l’esportazione di materiali, ma anche di proteggere l’accesso ai dati.
Che ruolo possono giocare i singoli ricercatori per garantire la sicurezza della ricerca?
Educazione e trasparenza. Ogni ricercatore deve sapere con chi lavora e da dove provengono i finanziamenti. Non c’è spazio per ambiguità. La collaborazione deve basarsi su principi chiari e reciproci.
Quanto è importante la sicurezza della ricerca nelle collaborazioni con gli alleati?
È sempre più rilevante. Nel G7, per esempio, stiamo lavorando per condividere informazioni e buone pratiche tra Paesi con valori comuni. Anche l’Italia sta facendo passi avanti importanti con il piano nazionale recentemente annunciato. È un segnale positivo, che dimostra un allineamento con i principi comuni del G7, come trasparenza e valori condivisi. Non possiamo lavorare isolati: dobbiamo costruire una rete internazionale per affrontare le sfide insieme.