Una pluralità di voci, di aspettative e di richieste di potere che contribuisce ad indebolire il cosiddetto Centro in quest’area politica, perché emerge in modo persino troppo chiaro che l’obiettivo non è quello di costruire, insieme, un progetto politico ma soltanto quello di partecipare a una quota di potere
Dunque, e per fortuna, si ricomincia a parlare seriamente di Centro e del Centro. Certo, il rischio di un dibattito prevalentemente virtuale è sempre dietro l’angolo ma è indubbio che nel nostro Paese, e storicamente, il Centro e la “politica di centro” hanno sempre rivestito un’importanza decisiva e non affatto secondaria. Ora, per non non essere generici ed inconcludenti, dobbiamo inesorabilmente partire dai dati oggettivi. O meglio, dalle dinamiche concrete che disciplinano attualmente la cittadella politica italiana soprattutto quando si parla di una presenza politica centrista.
Se nel campo dell’attuale maggioranza di governo esiste un partito che dichiaratamente ed esplicitamente declina un progetto politico centrista, riformista, democratico e moderato che si chiama Forza Italia, è nel campo progressista che la situazione è molto più ingarbugliata e confusa. Al di là delle molteplici disponibilità – tutte riconducibili solo ed esclusivamente a logiche di potere – a ricoprire ruoli di “federatore” e di punto di riferimento di questo complesso, vario ed articolato campo politico.
Dunque, per fare un esercizio persino scolastico, nel campo dello schieramento di sinistra e progressista, noi contiamo almeno sette realtà – o sigle o presunti leader – che si fregiano dell’etichettatura centrista. Partiamo dai due piccoli partiti personali guidati rispettivamente da Matteo Renzi con Italia Viva e Carlo Calenda con Azione. Seguono il partito di Marattin, Marcucci, Cottarelli, Giannino e compagnia cantante. A questi si aggiungono i radicali di +Europa, i cattolici centristi all’interno del Pd, e i “federatori” in pectore, il sempreverde sindaco di Milano Beppe Sala e l’ultimo arrivato, l’espressione della casta di potere nel sottogoverno, il cattolico Ernesto Maria Ruffini con i rispettivi gruppi o movimenti o soggetti politici alle spalle. Almeno così pare di capire.
Ora, almeno stando alle quotidiane dichiarazioni sui vari organi di informazione, noi registriamo che all’interno di questo campo politico c’è la solita guerra del “tutti contro i tutti”. Cioè, ogni sigla con il rispettivo leader si scaglia tranquillamente e puntualmente contro l’altro e tutti, al contempo, lavorano per dare una ossatura politica ed organizzativa al campo centrista nello schieramento di sinistra e progressista. Una pluralità di voci, di aspettative e di richieste di potere – come ovvio e persino scontato – che contribuisce, però, ad indebolire il cosiddetto Centro in quest’area politica perché emerge in modo persino troppo chiaro che l’obiettivo non è quello di costruire, insieme, un progetto politico ma solo e soltanto quello di partecipare ad una pro quota di potere.
E questo era, e resta, il vero limite per quanto riguarda la costruzione del Centro nel campo dominato dalle tre sinistre: quella radicale e massimalista di Schlein, quella populista e demagogica di Conte e di ciò che resta dei 5 Stelle e quella estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Ecco perché, forse, ha ragione l’opinionista del Corriere della Sera Massimo Franco quando evidenzia che di fronte a questo spettacolo che offre concretamente lo schieramento progressista, l’unico forse a trarne un vantaggio politico è il partito di Forza Italia che, con coerenza e senso di responsabilità declina un progetto politico autenticamente centrista, moderato e riformista nel nostro Paese.