Non esistono “cattolici di serie A e cattolici di serie B” e, soprattutto, va archiviata definitivamente ed irreversibilmente la curiosa tesi che solo alcuni sono più degni e più titolati di altri a rappresentare ciò che resta dell’area cattolica nella politica italiana. L’opinione di Giorgio Merlo
È un vecchio vizio che era addirittura già presente nella lunga e feconda esperienza della Democrazia Cristiana. Parliamo, cioè, dei cosiddetti cattolici professionisti o, come li chiamava con una punta di sarcasmo l’indimenticabile Carlo Donat-Cattin, “ i cattolici doc”. Si tratta, cioè, di quei cattolici impegnati in politica che semplicemente si ritengono più cattolici degli altri in virtù di una coerenza, di una dirittura morale e di una lungimiranza politica e culturale che erano e restano tutte da dimostrare.
Perché, com’è evidente, in politica tutto è opinabile anche se non tutto è lecito e permesso. Ma, per entrare nel merito di questa categoria, si tratta appunto di una deriva, e di una degenerazione, che non si è affatto esaurita anche nella stagione contemporanea. Neanche con l’avvento della cosiddetta seconda Repubblica. Anzi, si è ulteriormente accentuata. Ora, con la Dc era francamente difficile sottolineare le ragioni di questa diversità, anche se gli esempi sono talmente evidenti che non si possono nascondere. Basti pensare allo stile e al comportamento concreti di Oscar Luigi Scalfaro e di altri cattolici, come gli intellettuali che parteciparono alla famosa ‘Assemblea degli esterni’ della Dc nel 1981 che aveva come obiettivo prioritario ed esclusivo quello di rinnovare e di rifondare la Dc stessa, per rendersene conto. Ma si tratta di una deriva che si è affinata e perfezionata proprio in questi ultimi anni.
E l’ultimo esempio, per concentrarsi sull’attualità, riguarda proprio la “non discesa in campo” – almeno così pare di capire ma è sempre comunque molto difficile decifrare il comportamento di alcuni cattolici – dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini.
È bastato, cioè, che un personaggio del genere con un curriculum noto e collaudato e benedetto da esponenti autorevoli come il sempreverde Romano Prodi e da altri segmenti dell’universo cattolico italiano, per arrivare alla conclusione che Ruffini è ufficialmente il vero cattolico che scende in campo e che, di conseguenza, può essere il punto di riferimento dell’area cattolica italiana. A prescindere, come ovvio e scontato, dai consensi reali che, secondo costoro, è una variabile del tutto indipendente rispetto alla cosiddetta e presunta autorevolezza del nuovo protagonista.
Ora, senza nulla togliere – come ovvio – al profilo e alla personalità politica e culturale di Ruffini, quello che non si può non rilevare è che, purtroppo, persiste questa vulgata secondo la quale ci sono dei cattolici più cattolici degli altri. In virtù di misteriose motivazioni che non sono mai trasparenti ed oggettive ma che sono il frutto di considerazioni che la cultura del “politicamente corretto” legittima e certifica. Pertanto, sin quando i Ruffini di turno non scenderanno in campo dovremmo di nuovo prendere amaramente atto che i cattolici nella politica o sono irrilevanti o sono ininfluenti o, peggio ancora, non sono affatto credibili e né, tantomeno, capaci di incidere attraverso la loro azione concreta nella cittadella politica italiana.
Ecco perché, alla luce di questa strana e singolare anomalia che resiste malgrado la Dc abbia chiuso i battenti da oltre 30 anni, forse è anche arrivato il momento per affermare con umiltà ma con forza che non esistono “cattolici di serie A e cattolici di serie B” e che, soprattutto, va archiviata definitivamente ed irreversibilmente la curiosa tesi che solo alcuni sono più degni e più titolati di altri a rappresentare ciò che resta dell’area cattolica nella politica italiana.
E lo dico per rispetto dei cattolici, di tutti i cattolici che hanno una spiccata vocazione alla politica e all’impegno pubblico. E com’è altrettanto ovvio, nel pieno rispetto del pluralismo delle scelte politiche ed elettorali dei cattolici italiani. Ma il tutto, comunque sia, deve avvenire senza ridicole primogeniture e grottesche auto investiture politico, culturali ed etiche.