Il governo laburista di Starmer cerca il giusto equilibrio nei rapporti con Xi. Intanto, la vicenda dell’uomo nella cerchia del principe manda un segnale: il Regno Unito può fare affari con la Cina ma non mancano i rischi
Tre notizie in poche ore che fanno accendere nuovamente i riflettori sui legami tra Regno Unito e Cina a meno di un mese dal primo incontro tra il primo ministro britannico Sir Keir Starmer e il leader cinese Xi Jinping, a margine del G20 in Brasile. Sembrano sempre più lontani i tempi della “golden era” delle relazioni sinobritanniche, che pur risalgono a un decennio fa con l’allora premier tory David Cameron.
Prima notizia: il principe Andrea avrebbe intrattenuto stretti rapporti con l’imprenditore cinquantenne Yang Tengbo, sospettato dall’intelligence britannica di essere una spia cinese, a cui l’anno scorso è stato vietato l’ingresso nel Paese. L’uomo è stato inizialmente individuato con il solo nome in codice H6. Poi lui stesso ha voluto rendere nota la sua identità definendo le accuse di essere una spia come “infondate” e dipingendosi come una “vittima” di un clima politica “ostile” ai cinesi. “Le accuse di cosiddetto spionaggio cinese sono assurde”, ha dichiarato invece Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri, aggiungendo che relazioni forti tra Pechino e Londra sono “nell’interesse comune di entrambi”. In merito allo scandalo sulle presunte spie cinesi il governo del Regno Unito “dovrebbe smettere immediatamente di creare problemi”, ha tuonato un portavoce dell’ambasciata cinese nel Regno Unito, affermando che “i clamori anti-Cina sollevati da una manciata di parlamentari britannici” hanno “rivelato la loro mentalità distorta nei confronti della Cina”. Il principe, in passato travolto dallo scandalo sessuale legato al defunto faccendiere americano Jeffrey Epstein, è stato escluso dalla partecipazione al Natale insieme alla famiglia reale.
Seconda notizia: Christine Lee, legale cinese accusata di “ingerenza politica” nel Regno Unito per conto di Pechino, ha perso una causa contro MI5, il servizio d’intelligence britannico che si occupa di controspionaggio. La donna, perfettamente inserita ai massimi livelli dell’establishment britannico, aveva citato in giudizio il servizio per discriminazione razziale per quanto accaduto nel 2022, con un alert inviato ai parlamentari di Westminster per una presunta attività di spionaggio.
Terza notizia: si è riacceso il dibattito attorno al piano per realizzare la nuova sede diplomatica cinese vicino alla Torre di Londra, chiudendo quella attuale nel quartiere di Marylebone. Il progetto ambizioso – diventerebbe la più grande sede diplomatica nel Regno Unito – ha scatenato l’opposizione delle comunità locali e degli attivisti per i diritti umani oltre ad altre voci critiche della Cina. I timori, riporta il giornale i, sono legati allo spionaggio, in particolare alla signals intelligence: un ex ufficiale di alto livello di MI6 ha dichiarato che l’enorme struttura vicino al centro finanziario della City di Londra sarebbe inevitabilmente utilizzata per la “raccolta elettronica”; due ex funzionari della sicurezza statunitense hanno invece anche avvertito che gli Stati Uniti potrebbero prendere in considerazione “misure mitigative” sulla condivisione dell’intelligence (ovvero ridurla) per il timore che Londra possa essere un anello debole.
Dan Jarvis, viceministro allo Home Office con delega alla sicurezza nazionale, ha spiegato alla Camera dei Comuni che il Paese si trova in uno scenario di minacce “senza precedenti” poste da Stati come Cina, Iran e Russia. Il governo è “assolutamente impegnato” a contrastarle. Le sue parole fanno eco a quelle pronunciate un anno fa da Ken McCallum, direttore di MI5, in occasione della prima apparizione pubblica dei capi delle intelligence interne dell’alleanza Five Eyes, che dalla fine della Seconda guerra mondiale riunisce Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda: lo spionaggio cinese nel Regno Unito ha raggiunto una “portata epica”.
Sulla vicenda del principe Andrea, ma più in generale sui rapporti con la Cina, è intervenuto anche il primo ministro Starmer difendendo l’apertura del suo governo a Pechino. Non ha fatto riferimento al principe, come da etichetta. Ma ha spiegato che l’approccio britannico è quello “dell’impegno, della cooperazione dove è necessario cooperare, in particolare su questioni come il cambiamento climatico, della sfida dove è necessario e dove è necessario, in particolare su questioni come i diritti umani, e della competizione quando si tratta di commercio”.
Sul tavolo c’è il Foreign Influence Registration Scheme, che è stato rimandato al prossimo anno. “Ci stiamo lavorando dal primo giorno di governo e ci sarà un aggiornamento a breve”, ha detto il primo ministro. Intanto, però, con la pubblicità data al caso H6, le autorità britanniche (nota bene: MI5 dipende dal Home Office) hanno mandato un segnale: il Regno Unito non può non fare affari con la Cina ma molti non sono sensibili ai rischi, compreso un membro della famiglia reale.