Sull’arresto della giornalista Cecilia Sala, afferma Antonio Teti, professore dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, sono diversi gli elementi meritori di molteplici spunti di riflessione e che necessitano di un’analisi attenta e cauta, soprattutto sulla base delle informazioni attualmente disponibili al riguardo
Le mutazioni climatiche in corso, soprattutto nell’ultimo decennio, stanno producendo conseguenze non certo irrilevanti a livello planetario, e col passare del tempo comincio a ritenere che forse stiano generando effetti disturbanti anche sul pensiero dell’uomo. Tale considerazione deriva, ad esempio, dalla lettura di alcuni articoli su eventi e vicende di attualità che contengono pareri e considerazioni, formulate da interpretazioni del momento, che sembrano assumere la connotazione di verità indiscutibili, che nella realtà non lo sono affatto. Una di queste è quella riferibile ad alcune esternazioni sulla ipotetica inefficienza delle strutture di intelligence nazionali in merito all’arresto della giornalista Cecilia Sala, e di come il fatto si sarebbe potuto evitare mediante la conduzione di attività preventive. Come noto anche ai non addetti ai lavori, le agenzie di intelligenze di tutto il mondo forniscono frequenti report e finanche dettagliata documentazione sui possibili scenari “a rischio” e su come su come sarebbe possibile agire in merito fornendo anche specifiche indicazioni sul piano previsionale. Sulla base dell’analisi della documentazione informativa fornita, vengono assunti dai Governi interessati gli opportuni provvedimenti sul piano operativo. Molto sinteticamente, questa è la principale attività condotta da tutte le agenzie di intelligence a livello globale. Tornando al caso Sala, sono diversi gli elementi meritori di molteplici spunti di riflessione e che necessitano di un’analisi attenta e cauta, soprattutto sulla base delle informazioni attualmente disponibili al riguardo.
Il primo, sulla base delle esternazioni sopra indicate, è riferibile alla presunta responsabilità della nostra intelligence sulla mancata immediata “esfiltrazione” della Sala, la quale si sarebbe dovuta consumare entro “i tre giorni” dall’arresto dell’iraniano Abedini Najafabadi, avvenuta su specifica richiesta degli Stati Uniti, accusato di associazione per delinquere per aver fornito componenti tecnologiche montate sui droni in uso al Corpo dei Guardiani della Rivoluzione. A tal proposito, va evidenziato che i reati contestati da Washington hanno caratteristiche e presupposti diversi da quelli italiani. In particolare, con riferimento al Corpo dei Guardia della Rivoluzione (Pasdaran), si tratta di una struttura complessa composta da Esercito, Marina, Aeronautica e Forze Speciali, che non risulta inserita nella “black list” dell’Onu e neppure in quella dell’Unione Europea quale organizzazione terroristica.
Partiamo quindi da una prima considerazione. In primo luogo, pur non essendo esattamente accertabile il numero dei giornalisti stranieri presenti in Iran, poiché il governo iraniano limita l’accesso ai media internazionali e non fornisce dati ufficiali aggiornati, il regime di Teheran ha dichiarato la presenza di 400 giornalisti stranieri durante eventi specifici, come le celebrazioni dell’11 febbraio 2010 (fonte NCR IRAN). Certamente i giornalisti italiani attualmente presenti in Iran non ammontano sicuramente alle predette centinaia, ma va sottolineato che anche solo un’operazione di immediata “esfiltrazione” dei pochi inviati presenti in Iran avrebbe assunto la connotazione di un’azione che avrebbe potuto provocare particolari reazioni e possibili complicazioni diplomatiche tra il nostro Paese e il regime di Teheran.
La seconda è la certezza assoluta che l’arresto di Abedini a Milano avrebbe prodotto matematicamente una reazione dell’Iran nei confronti dell’Italia, concretizzatasi inesorabilmente con l’arresto della giornalista italiana. Al contrario, le ipotesi in grado di fornire una chiave di lettura non così chiara e certamente più complessa al suo arresto possono essere molteplici. Non è da escludere che la Sala sia stata avvicinata in tempi recenti da individui che la VERVAK, il Servizio Segreto della Repubblica islamica dell’Iran la cui attività interna è dedicata alla repressione di ogni attività di opposizione al regime di Teheran, abbia considerato “sospette”, innescando un “alert” che consente ai servizi di sicurezza di Teheran di arrestare chiunque possa essere considerato un potenziale pericolo per il Paese. Ma al tempo stesso, non è neppure da escludere l’ipotesi che si sia trattata di un’azione congeniata dagli stessi servizi segreti iraniani, guidati da ultraconservatori da sempre ostili al riformista Presidente Masoud Pezeshkian, finalizzata alla creazione di una situazione di imbarazzo al governo di Teheran sul piano della conduzione di una politica estera di maggiore apertura all’Occidente.
Ulteriore elemento di perplessità, che appare quasi ironico se non addirittura bizzarro, è quello riferibile al fatto che, secondo alcune opinioni, l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) il giorno 31 dicembre abbia lavorato “mezza giornata”. Al riguardo, seppur nelle condizioni del tipico clima di celebrazioni del Santo Natale, sorgono, e non solo al sottoscritto, forti dubbi sul fatto che strutture istituzionali cui è affidata essenzialmente la sicurezza del Paese possano osservare momenti di “chiusura per festività natalizie”. Se ciò fosse possibile, nel prossimo futuro dovremmo abituarci, nei periodi delle festività comandate e senza stupore alcuno, all’assenza del personale di ospedali, strutture penitenziarie, Vigili del Fuoco, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Arma dei Carabinieri, etc. Tutto ciò potrebbe mai accadere?