Lo scontro tra autorità e sicurezza presidenziale a Seoul spinge più a fondo una crisi istituzionale già presente in Corea del Sud, con ripercussioni sul futuro politico ed economico del Paese
In Corea del Sud si apre un nuovo capitolo nella fase di crisi politica iniziata quattro settimane fa. Nelle scorse ore le autorità hanno fallito nel tentativo di arrestare il presidente Yoon Suk Yeol, accusato di insurrezione e abuso di potere, dopo una lunga ed esasperata resistenza presso la sua residenza ufficiale a Seoul. Funzionari del Corruption Investigation Office for High-ranking Officials (Cio), insieme alle forze di polizia, si sono presentati alle prime ore del mattino presso il complesso presidenziale per eseguire un mandato di arresto emesso da un tribunale. Tuttavia, più di duecento agenti afferenti al servizio di sicurezza presidenziale hanno bloccato l’accesso alla residenza, formando catene umane e utilizzando barricate. Nonostante le tensioni, nessuna arma è stata utilizzata durante il confronto, che è durato circa sei ore prima che le autorità decidessero di ritirarsi per evitare ulteriori rischi per la sicurezza.
Il Cio ha espresso profondo rammarico per l’atteggiamento di non collaborazione del presidente, annunciando che valuterà i prossimi passi da seguire. La polizia ha già avviato un’indagine contro i vertici della sicurezza presidenziale per ostruzione alla giustizia, convocandoli per un interrogatorio.
Il presidente Yoon è sotto indagine per insurrezione dopo che lo scorso dicembre aveva imposto di sua iniziativa la legge marziale per superare un’impasse politica e affrontare presunte “forze anti-stato”. La mossa ha scosso profondamente il Paese, portando al suo impeachment da parte del Parlamento; impeachment che deve però ancora essere confermato dalla Corte Costituzionale, che ha iniziato le udienze sul caso. Se Yoon dovesse essere rimosso dall’incarico, il Paese sarà chiamato a eleggere un nuovo presidente entro sessanta giorni, aprendo un’altra fase di instabilità politica e sociale.
In seguito alla rapida opposizione di centonovanta parlamentari, il decreto è stato revocato dopo sole sei ore. Yoon ha difeso la sua decisione, accusando i suoi oppositori politici di simpatizzare con la Corea del Nord e sollevando accuse non comprovate di manipolazione elettorale.
L’episodio ha alimentato profonde divisioni politiche. Il Partito Democratico, all’opposizione (ma detentore della maggioranza parlamentare), ha criticato aspramente l’interruzione del tentativo di arresto, chiedendo misure severe contro chi ha ostacolato la giustizia. Il leader del partito, Lee Jae-myung, ha affermato che “La legge deve applicarsi equamente a tutti”.
Dall’altra parte, il Partito del Potere Popolare ha descritto il tentativo di arresto come un abuso di potere da parte del Cio, sostenendo che le indagini dovrebbero proseguire senza detenzione. La squadra legale di Yoon ha definito il mandato di arresto “illegale e non valido”, sottolineando che il presidente gode di immunità per quasi tutti i reati, tranne insurrezione e tradimento.
La crisi politica ha avuto ripercussioni sull’economia della Corea del Sud. Il governo ha rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2025, passando dall’1,8% al 2,2%, e sta considerando misure straordinarie per stimolare i consumi interni. La borsa sudcoreana, il Kospi, ha registrato fluttuazioni significative, riflettendo l’incertezza politica.
La vicenda rappresenta una crisi istituzionale senza precedenti nella quarta economia più grande dell’Asia. Con il mandato di arresto ancora valido e la Corte Costituzionale al centro del dibattito, il destino politico di Yoon Suk Yeol rimane incerto, mentre il Paese si prepara ad affrontare le sue più profonde divisioni politiche e istituzionali.