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Guerra ibrida 3.0. La nuova frontiera della disinformazione secondo Caniglia

Di Mattia Caniglia

I servizi segreti e di sicurezza di Russia, Cina e Iran hanno divisioni apposite e unità dedicate all’aggressione nell’infosfera. Dalle fabbriche di troll russi, al concetto di media convergence (la graduale integrazione tra propaganda interna ed esterna) sancito nelle direttive degli organi del Partito comunista cinese, esiste un’architettura istituzionale e militare che ci parla di un disegno strategico chiaro. L’analisi di Mattia Caniglia, Senior Intelligence and policy analyst al Global disinformation index

Il conflitto in Ucraina, le recenti tensioni in Medio Oriente, la competizione geopolitica per l’influenza nel Sud globale e gli eventi elettorali in Paesi strategici come la Romania evidenziano che le tradizionali distinzioni tra guerra convenzionale e operazioni di disinformazione sono ormai superate. I confini tra conflitto fisico e digitale svaniscono, e la disinformazione, elemento-chiave della guerra ibrida, non è più un aspetto secondario, ma è diventata centrale nelle strategie militari e geopolitiche.

Dietro questo processo di manipolazione della sfera digitale e di trasformazione della disinformazione in arma di conflitto e strumento strategico per consolidare il potere e ampliare l’influenza geopolitica ci sono tre attori principali: Russia, Cina e Iran. Un asse di potenze autocratiche, che nonostante le differenze nelle mire strategiche – destabilizzazione per la Russia, legittimazione per la Cina e resistenza per l’Iran – condividono tre fondamentali obiettivi comuni: smantellare il sistema democratico internazionale, sfidare l’egemonia occidentale e promuovere modelli di governance autoritaria.

Questa convergenza si declina in una visione condivisa della sfera digitale come un campo di battaglia dove condurre operazioni ibride per indebolire l’occidente. I servizi segreti e di sicurezza di Russia, Cina e Iran hanno divisioni apposite e unità dedicate all’aggressione nell’infosfera. Dalle fabbriche di troll russi, al concetto di media convergence (la graduale integrazione tra propaganda interna ed esterna) sancito nelle direttive degli organi del Partito comunista cinese, esiste un’architettura istituzionale e militare che ci parla di un disegno strategico chiaro.

La convergenza persiste se andiamo a osservare le narrative diffuse e le tecniche utilizzate. Cina e Iran non hanno esitato ad amplificare le narrative russe volte a presentare l’invasione dell’Ucraina come una reazione legittima all’espansionismo occidentale, oppure le teorie sull’esistenza di laboratori biologici statunitensi in Ucraina. Mosca, Teheran e Pechino (sebbene con posizioni più caute) promuovono narrative che accusano gli Stati Uniti e i suoi alleati non solo di essere direttamente responsabili dell’attuale conflitto in Medio Oriente, ma anche di aver fatto due pesi e due misure in raffronto con le posizioni tenute sul conflitto ucraino.

Mentre nel Sud globale, con forza e possibilità differenti, tutti e tre gli attori tendono a presentarsi come partner ideali per contrastare l’aggressione occidentale e stabilire un mondo veramente multipolare dove il sud possa rivendicare il suo posto legittimo, libero dalle persistenti eredità del colonialismo e del neo-colonialismo. Sul piano tattico, la Russia è il perno di questo asse, e ha sviluppato un modello successivamente ripreso e adattato dalla Repubblica Popolare Cinese e, più di recente, dall’Iran.

Le ultime ricerche sembrano però confermare un ulteriore trend di allineamento tra Mosca, Pechino e Teheran sull’approccio alle information operations. Le operazioni di disinformazione di questi Paesi sono sempre più parte integrante di ben strutturati attacchi cyber, utilizzate per diffondere malware manipolando le paure e le emozioni amplificate delle persone (ad esempio attraverso il fearware, una particolare tipologia di esche di phishing che sfruttano ansie e deficit informativi).

Proliferano le operazioni di hack and leak, insieme alla coordinazione tra tattiche ibride (come dimostrato nel caso Sandworm). Aumentano l’utilizzo di aziende private for hire, il reclutamento di influencer, l’uso strumentale dei canali di comunicazione governativi e diplomatici, l’impiego delle cosiddette misure attive e del microtargeting di comunità e audience specifiche. La disinformazione russa, come quella cinese e iraniana, sfruttano sempre di più le finestre di opportunità offerte dal dibattito pubblico o dal ciclo delle notizie su temi divisivi e polarizzanti dei Paesi target.

Gli apparati delle tre potenze aumentano la loro capacità di orchestrare operazioni su misura, adattandole a diversi contesti nazionali. Certo permangono delle differenze. L’approccio cinese alla disinformazione riflette la cultura strategica del Paese ed è quindi più cauto, meno visibile e reattivo e più programmatico. Sebbene l’avvento dell’intelligenza artificiale abbia aumentato le capacità di tutti e tre i Paesi, la Cina rimane meglio posizionata per sfruttare a pieno IA e big data analytics per creare narrative di disinformazione e operazioni di influenza più efficaci.

Al netto delle dovute distinzioni, a Mosca, Pechino e Teheran sembrano aver capito: nel nostro tempo, ogni conflitto è digitale e poiché il digitale è per sua natura globale, ogni conflitto, militare o politico, diventa un conflitto globale. Le tecnologie digitali non solo amplificano il raggio d’azione delle operazioni informative, ma trasformano ogni scontro locale in una battaglia globale di narrazioni. Piattaforme come X, Facebook, TikTok, Telegram, per definizione e struttura noncuranti di delimitazioni geografiche e politiche, assicurano che ogni conflitto possa avere effetti a cascata ben oltre i suoi confini fisici.

Le strategie di disinformazione non sono dunque semplici strumenti di manipolazione, ma veri e propri mezzi per ridefinire percezioni ed equilibri mondiali. Le campagne d’influenza non si limitano a seminare confusione; creano scenari in cui la sfiducia prospera, la polarizzazione aumenta, le proteste si intensificano e il decision-making delle nostre istituzioni diventa sempre più lento e complesso. Gli effetti destabilizzanti non sono circoscritti alle zone di conflitto, ma si propagano ai governi dei Paesi target, minando la fiducia nelle istituzioni e rendendo la cooperazione internazionale più difficile.

È la sfida tra democrazie e autocrazie e passa attraverso l’opacità delle minacce ibride. Così questa crescente coordinazione sul piano della disinformazione tra Mosca, Pechino e Teheran non solo rappresenta una minaccia ineludibile nell’attuale panorama geopolitico, ma delinea la geografia di un’alleanza che ci vede come il nemico da abbattere. Solo noi sembriamo non essercene resi conto.

Formiche 209


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