“Bettino Craxi. Lettera di fine Repubblica” è il nuovo libro curato da Andrea Spiri, Senior Lecturer alla Luiss School of Government, per Baldini+Castoldi. Pubblichiamo stralci dell’introduzione e un lettera inedita di Gianni Baget Bozzo, che nel 1992 esortava Craxi a togliersi l’abito da uomo di partito per difendere il primato della politica
«Scrivo perché spero di essere letto, ascoltato, ed anche perché gli scritti rimangono». Bettino Craxi lo ripeteva di frequente ad Hammamet, nell’ultima breve stagione della sua vita, quando carta e penna erano l’unico strumento che gli restava per non perdere la «battaglia della Storia». Un’arma spuntata ammetteva però lui stesso, se il più delle volte le riflessioni finivano sul muro della «censura» eretto dalla grande stampa italiana, oppure faticavano a imporsi all’attenzione di un’opinione pubblica ostile, nel migliore dei casi indifferente al destino di un ex potente caduto in disgrazia.
Ma come si arriva ad Hammamet? Quando e perché declina l’influenza di Craxi e saltano gli equilibri su cui poggiano gli assetti di potere della «prima Repubblica»? Da questi interrogativi prende forma l’idea di un libro che adesso ripercorre l’ultimo decennio del Novecento politico in Italia utilizzando le categorie di analisi dei protagonisti dell’epoca, attraverso una prima serie di corrispondenze epistolari gran parte delle quali inedite. Lettere, biglietti, messaggi da cui emana un fascino discreto che permette di illuminare il tragitto repubblicano, alimentato anche dalla consapevolezza (problematica, nell’ottica degli storici) che le generazioni politiche successive avrebbero fatto sempre meno affidamento alla parola scritta per sollevare questioni, sciogliere nodi, ricomporre fratture, per porre in risalto le preoccupazioni, i travagli emotivi e personali.
Il racconto segue rigorosamente la scansione temporale, si snoda lungo un arco cronologico segnato dall’esaurimento dei tradizionali canali di aggregazione del consenso e dal tentativo di definire nuovi connotati organizzativi e ideali, cui fa da cornice la fine della Guerra fredda e dei condizionamenti generati dall’assetto bipolare. Ogni lettera va collocata in questo contesto storico di riferimento, si nutre di passioni, idee, polemiche e risentimenti che si radicano nel vivo della lotta politica, aspettative e disincanti frutto della temperie in cui matura il progressivo declino della «Repubblica dei partiti».
Tutto ruota intorno alla figura di Craxi: mittente e destinatario, perno del flusso comunicativo, egli sembra vivere in attesa, consumandosi secondo la vulgata prevalente nella speranza – poi tradita da un’onda lunga elettorale che non si manifesta – di riaprire un varco su Palazzo Chigi.
Sono gli anni in cui è ben saldo l’asse con la Democrazia cristiana, quel «patto di potere» che avrebbe catalizzato sull’«ultimo Craxi» molte critiche postume del gruppo dirigente socialista, ma che non ha realisticamente alternative per via dell’inaffidabilità degli interlocutori con i quali occorre impostare il dialogo sull’apertura di un differente corso della traiettoria nazionale. Sono gli anni di crisi del politico, che Craxi fronteggia con una dose aggiuntiva di politica, inconsapevole – o forse indisponibile a sacrificare la propria storia e le proprie convinzioni – che il profilo identitario della maggioranza degli italiani si va forgiando sul richiamo alla «società civile» come serbatoio di incontaminate energie alle quali attingere.
Le lettere contenute in questo volume sono specchi nei quali si riflette anche la storia travagliata del PSI che nel 1992 celebra un secolo di vita, in concomitanza con le elezioni politiche da cui ci si attende un trionfalistico suggello a sedici anni di gestione craxiana; le urne deludono, e restano tracce di una nostalgia antica, quella del giovane leader combattivo che risolleva le sorti del socialismo italiano, emancipandolo dalla condizione di parente povero del comunismo e da ogni complesso di inferiorità verso i democristiani.
C’è, in alcuni passaggi, la speranza illusoria che sia possibile ricomporre le tessere di un mosaico in frantumi, ma in definitiva pesa l’assenza di un progetto rifondativo delle istituzioni, prevale la propensione a conservare l’esistente, fidando nel fatto che il sistema possa riassorbire l’ondata contestativa che sale dalle viscere del Paese, o che le truppe assedianti – l’armata giudiziaria sostenuta dall’establishment economico finanziario e dalle sue colonne mediatiche – possano interrompere la marcia, tutt’al più colpire qualcuno e risparmiare altri. Sono gli ultimi istanti di vita della «prima Repubblica», e con essa dei partiti che hanno gettato il seme della rinascita democratica. Si consuma così il dramma di un uomo che voleva modernizzare l’Italia, macerandosi adesso nei ricordi, al di là del Mediterraneo.
Le lettere di «fine Repubblica» riannodano i fili della memoria, scavano nell’intimo dei pensieri, restituiscono alla conoscenza collettiva un’epoca segnata da una classe dirigente con i suoi metodi, i suoi linguaggi, il suo stile, il suo bagaglio di intuizioni ed errori. E lasciano testimonianza scritta di un tempo storico che si proietta sul presente, lo insegue e continua a interrogarlo, tali e tante sono le questioni irrisolte che ancora impregnano il nostro tessuto democratico.
Leggi la lettera di Gianni Baget Bozzo, che nel 1992 esortava Craxi a togliersi l’abito da uomo di partito per difendere il primato della politica