Teheran nega un collegamento tra l’arresto dell’ingegnere a Malpensa e quello della giornalista Cecilia Sala, ma le parole della diplomazia iraniana sollevano dubbi. Per l’analista, Roma non dovrebbe cedere al ricatto ma mettere in campo strumenti per mettere pressione
Resta in carcere a Opera Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano arrestato lo scorso 16 dicembre a Malpensa su mandato emesso dagli Stati Uniti, ritenuto il presunto “uomo dei droni” di Teheran. Al momento, e fino all’udienza fissata per il 15 gennaio, la Procura generale di Milano, guidata da Francesca Nanni, mantiene il parere negativo all’istanza della difesa per la concessione dei domiciliari.
Oggi Fatemeh Mohajerani, portavoce del governo iraniano, ha dichiarato che l’Iran si augura che il caso della giornalista Cecilia Sala “venga risolto” e che il suo arresto non sia “una ritorsione” per quello di Abedini. Parole simili erano state pronunciate il giorno prima da Esmaeil Baghaei, portavoce del ministero degli Esteri iraniano, secondo cui “non esiste alcun collegamento” tra i due arresti.
“Le dichiarazioni di questi giorni da parte della diplomazia iraniana confermano che non si tratta di un cittadino qualsiasi, bensì di un loro agente”, osserva l’analista Emanuele Ottolenghi. “Le ultime affermazioni delle autorità iraniane, che negano la presa di ostaggi, suonano come una marcia indietro rispetto a quelle dell’ambasciatore in Italia, Mohammad Reza Sabouri”, aggiunge l’esperto. Il diplomatico, infatti, aveva ammesso di aver parlato di Abedini durante l’incontro alla Farnesina con l’ambasciatore Riccardo Guariglia, segretario generale del ministero degli Esteri italiano. Ottolenghi sottolinea il particolare attivismo della diplomazia iraniana in favore di Abedini, che “non sembra un cittadino comune”. Anche la rapidità con cui è avvenuto l’arresto di Sala, tre giorni dopo quello di Abedini, appare significativa. “L’Iran utilizza spesso la diplomazia degli ostaggi, ma non sempre con questa rapidità. Ciò rafforza il sospetto che Abedini sia una pedina importante. Altrimenti, a Teheran si sarebbero inventati qualcos’altro”.
“L’Italia dovrebbe intensificare la risposta nei confronti dell’Iran, invece di cedere al ricatto”, sostiene Ottolenghi. Tra le misure proposte dall’analista: chiudere l’Istituto culturale dell’Iran a Roma, espellere diplomatici minori presenti in Italia, ridurre il numero di visti concessi agli uomini d’affari iraniani o sospendere i voli di Iran Air per motivi di sicurezza. “Roma deve aumentare il costo politico della detenzione della giornalista”, conclude. Certo, il rischio di un’escalation c’è. Tuttavia, “funziona se si raggiunge la escalation dominance, cioè se si riesce a portare l’avversario a cedere prima di te. In questa situazione, l’Iran ha molto più da perdere dell’Italia”.