Capaldo è stato un grande civil servant della Repubblica italiana. Ne sentiva il dovere, ne ignorava la lusinga, ne esercitava la responsabilità con i modi tipici di un gentiluomo d’altri tempi. Eppure nulla di quella fatica, apparentemente così inattuale, andrà dispersa. Il ricordo di Marco Follini
Era uno studioso, era un economista, era un giurista, era un banchiere, era un manager. Era tutte queste cose e molte altre, Pellegrino Capaldo. Non era un politico. Ma alla politica riservava la sua passione civile, la sua cura degli altri, la sua curiosità, il suo rigore morale. E così, ognuno di noi, che alla politica dedicavamo più tempo e più mestiere, finivamo per cercare riparo in quel suo studio così ospitale di via Palermo, sobrio eppure elegante, dove potevamo ascoltare i suoi richiami ad una visione più larga, di maggior respiro rispetto a quelle che ci suggeriva la nostra più stretta (e più angusta) attualità. A noi indicava sempre vie d’uscita più alte e più fantasiose. Accompagnate spesso da una severità rigorosa eppure espressa con il garbo del gentiluomo e con la comprensione tipica dell’uomo di fede e di pensiero.
Ricordo una cena a casa di Gerardo Bianco, suo e mio amico. Dove gli capitava di esprimere opinioni controverse in punta di voce, quasi con umiltà. Eppure anche con quella tenacia che affonda le sue radici nelle convinzioni più solide e profonde. Ricordo, ancora, una lunga conversazione in un pomeriggio estivo dalle sue parti, ad Atripalda, con Ciriaco De Mita. L’uno, il professore, incalzava con le sue proposte, sempre più stringenti e severe. L’altro, il leader politico, ad un certo punto gli disse: “Pellegrino, quando leggo un bilancio resto in silenzio e aspetto la tua parola. Quando si parla di politica vorrei che tu ascoltassi me”. Osservazione dopo la quale però non calò certo il silenzio. Niente affatto.
Era così, Pellegrino Capaldo. Forte, fortissimo nelle sue convinzioni. E tanto più forte perché del tutto disinteressato ad ogni esito che ne potesse discendere a suo favore. Nessuna delle sue idee metteva capo a una parte, tantomeno a un partito. Ma non c’era parte, né partito che non avvertisse la suggestione di quei ragionamenti. Per condividerli o per maturarne altri. Più raramente, purtroppo, per metterli in pratica.
Avrebbe potuto recitare mille parti sul palcoscenico della vita pubblica. Ma la sua ansia era principalmente quella di mettere in moto processi e ricercare soluzioni che qualcun altro facesse proprie. Gli era estranea ogni ambizione e ogni vanità. Ma questo apparente distacco serviva solo a sottolineare la nobiltà dei suoi intenti. Sicuro del fatto che prima o poi le buone intenzioni e i buoni insegnamenti avrebbero raggiunto lo scopo.
Capaldo è stato un grande civil servant della Repubblica italiana. Ne sentiva il dovere, ne ignorava la lusinga, ne esercitava la responsabilità con i modi tipici di un gentiluomo d’altri tempi. Eppure nulla di quella fatica, apparentemente così inattuale, andrà dispersa.