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Postumanesimo, la tecnologia per l’umanità o l’umanità per la tecnologia?

Di Vincenzo Ambriola e Marco Bani

L’intelligenza artificiale ha il potenziale di diventare il “superpotere” del 21° secolo, ma solo se sapremo utilizzarla per costruire un mondo più giusto, sicuro e prospero per tutti. La quarta puntata firmata da Vincenzo Ambriola, Università di Pisa, e Marco Bani, Senato della Repubblica Italiana, sulle riflessioni riguardo l’impatto sociale dell’intelligenza artificiale

I recenti sviluppi e risultati dell’intelligenza artificiale generativa hanno spalancato nuove prospettive, in larga misura imprevedibili. Un etico informatico, già professore universitario di informatica, e un analista di politiche tecnologiche, in passato suo studente, si ritrovano dopo vent’anni e, attraverso un dialogo asincrono, affrontano il tema dell’impatto sociale dell’intelligenza artificiale e della tecnologia in generale. Tra policrisi e incertezze, quale opportunità migliore per proiettarsi verso il futuro, sognare e immaginare nuovi orizzonti?

Dopo aver parlato di come potrebbe cambiare il mondo del lavoro, se servono ancora i professori di informatica e delle problematiche dei minori di fronte alla tecnologia, il quarto e ultimo dialogo affronta il fragile rapporto tra uomo e tecnologia.

Marco Bani – Abbiamo parlato di nuove relazioni digitali. Siamo vicini agli scenari previsti da film come Her o Ex Machina, dove un rapporto diretto con le intelligenze artificiali può sostituirsi a quello con persone reali? Siamo di fronte alla completa umanizzazione della tecnologia?

Vincenzo Ambriola – I film di fantascienza rappresentano la proiezione nel futuro di desideri o timori odierni. A volte esagerano, basandosi su premesse irragionevoli, altre volte riescono a predire la realtà con buona approssimazione. Il mondo di Blade Runner è popolato da androidi e ginoidi praticamente indistinguibili dagli esseri umani, capaci di provare emozioni ed esprimere sentimenti. Questa visione non si è ancora realizzata e, a oggi, forse non lo sarà per tanti anni a venire. Diverso è il caso di Her, basato su un chatbot in grado di dialogare come un essere umano, di esprimersi anche nel campo affettivo. Come tanti altri, il protagonista maschile si innamora del chatbot, arrivando a condividere esperienze materiali, in maniera quasi solipsistica. È la macchina a diventare umana o l’umano a diventare macchina?

Il tema della sostituzione, che abbiamo già trattato, è forse uno dei più delicati da affrontare quando si analizza l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società. Può essere riassunto in termini di dilemma etico: farsi sostituire dalle macchine o usarle facendosi trasformare? Nel caso del protagonista innamorato del chatbot, la sostituzione è palese: anziché dedicare le proprie attenzioni a un partner umano preferisce sostituirlo con una macchina, accettando in pieno questa sostituzione. L’alternativa sarebbe stata altrettanto valida: usare il chatbot per confrontarsi, per approfondire temi anche personali ed emozionali, senza però rinunciare alla ricerca di un partner umano con cui vivere la materialità che una macchina non può offrire.

La sostituzione opera con maggiore intensità nel mondo del lavoro, dove non si tratta di un’interazione che si aggiunge a quelle esistenti ma di un’estromissione degli umani da funzioni che la macchina può svolgere a costi inferiori. Questi argomenti sono trattati da Tiziano Treu in un recente articolo in cui affronta il tema della transizione digitale, in particolar modo rispetto all’impatto dei modelli di intelligenza artificiale generativa sul mondo del lavoro. Treu ritiene che gli effetti sull’occupazione aggregata, secondo la maggior parte delle indagini economiche recenti, non differiscano da quelle precedenti che ritengono invece improbabile una sua riduzione significativa. Alcune indagini, addirittura, stimano che le variazioni saranno marginali o nulle. Nonostante ciò, Treu afferma che la mancanza di evidenze sugli effetti occupazionali negativi potrebbe «dipendere dal fatto che l’intelligenza artificiale non è ancora adottata da molte aziende o anche che queste preferiscono non prendere ancora provvedimenti drastici di riduzione del personale, ma limitarsi ad aggiustamenti volontari». Per contrastare queste tendenze è necessario attuare politiche di formazione e di allineamento delle competenze, facendo sì che l’intelligenza artificiale possa essere usata dopo una trasformazione attentamente guidata e mirata. Non si tratta, quindi, di cambiamenti casuali, a livello individuale, ma di un’evoluzione delle modalità e dei processi di lavoro, resi più efficaci e più sostenibili dalle macchine.

Giunti alla fine di questo breve dialogo, cosa possiamo fare per evitare gli aspetti distopici dello sviluppo tecnologico e dell’intelligenza artificiale?

Marco Bani – Purtroppo non c’è una ricetta magica. Nessuno può fare previsioni accurate sull’impatto sociale dell’intelligenza artificiale. Ci sono troppe voci discordanti, troppi interessi, troppe “allucinazioni” per riuscire ad avere un dibattito sereno e trasparente.

La politica dell’intelligenza artificiale è un campo di battaglia emergente dove tecnologia e potere si intrecciano. Il futuro dipenderà dalla capacità delle nazioni e delle aziende di navigare in questo nuovo panorama: le scelte politiche che faremo oggi riguardo allo sviluppo e all’implementazione dell’intelligenza artificiale determineranno non solo chi dominerà la scena globale, ma, proprio per il potere che possono sprigionare queste tecnologie, anche che tipo di società lasceremo alle future generazioni. È necessaria una politica tecnologica che riconosca l’importanza della regolamentazione, ma che venga ripensata per essere allineata agli autentici obiettivi di progresso: una tecnologia che favorisca il benessere collettivo, sia accessibile a tutti e in grado di affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e l’invecchiamento della popolazione, nello spirito critico e pragmatico delle rivoluzioni europee del Rinascimento e dell’Illuminismo. La tecnologia è un potere, e come ogni potere, deve essere gestita con saggezza e responsabilità.

Platone diceva che “la misura di un uomo è ciò che fa con il potere”. L’intelligenza artificiale ha il potenziale di diventare il “superpotere” del 21° secolo, ma solo se sapremo utilizzarla per costruire un mondo più giusto, sicuro e prospero per tutti.

 

 


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