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Regionali, è possibile arginare il divieto del terzo mandato. Il prof. Petrillo spiega come

Il divieto del terzo mandato scatta solo qualora lo Statuto regionale preveda l’elezione diretta del presidente della Giunta. Per aggirare il vincolo le Regioni interessate (Veneto e Campania) potrebbero modificare la propria forma di governo e modellarla su quella nazionale, prevedendo un’elezione indiretta del presidente. Per farlo servono due modifiche: una allo Statuto regionale ed una alla legge elettorale. L’opinione di Pier Luigi Petrillo, ordinario di diritto pubblico all’Università Unitelma Sapienza e professore di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss

Il dibattito sul divieto di un terzo mandato per i presidenti delle Regioni non sembra tenere conto di una possibile via di fuga.

L’articolo 122, comma 5, della Costituzione dispone, infatti, che “il presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto”.

In questo caso, l’articolo 2, comma 1, lettera f) della legge statale 2 luglio 2004 n.165 prevede che la legge elettorale regionale debba introdurre “la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto”.

Ne deriva che il divieto del terzo mandato scatta solo qualora lo Statuto regionale preveda l’elezione diretta del presidente della Giunta.

In altre parole, per aggirare il vincolo le Regioni interessate (e in primis Veneto e Campania) potrebbero modificare la propria forma di governo e modellarla su quella nazionale, prevedendo un’elezione indiretta del presidente.

Per farlo servono due modifiche: una allo Statuto regionale e una alla legge elettorale.

Per la prima, considerando i termini previsti dalla Costituzione (art. 123), occorrono circa sette mesi: una prima deliberazione da parte del Consiglio a maggioranza assoluta, poi due mesi di “riposo”, e una seconda deliberazione sempre a maggioranza assoluta.

Poi la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge regionale e da quel momento decorrono tre mesi entro cui può essere richiesto referendum.

Per avere un’idea, l’iter dell’ultima modifica statutaria approvata in Regione Campania (quella che nel 2019 ha introdotto la possibilità per il presidente di porre la questione di fiducia) è durato sei mesi e mezzo.

Contestualmente alla prima deliberazione di modifica dello Statuto, il Consiglio potrebbe modificare la legge elettorale, lasciando immutato l’impianto del premio di maggioranza e riprendendo quanto disponeva la legge Mattarella per le politiche del 1993: i partiti si devono coalizzare (altrimenti ci sono soglie di sbarramento molto elevate) e devono indicare un capo della coalizione (che, nel linguaggio comune, diventa il candidato presidente) il quale, per forza di cose, in caso di vittoria, verrà eletto presidente dal Consiglio regionale.

Rispetto al modello vigente la grande differenza sarebbe il venire meno del meccanismo del simul simul ovvero del contestuale scioglimento del Consiglio in caso di dimissioni del presidente della Giunta o sua sfiducia.

Questo meccanismo ha razionalizzato fortemente i sistemi politici regionali, rendendoli particolarmente stabili e coesi, riducendo al minimo la riottosità dei partiti perché nessun consigliere, una volta eletto, vuole rischiare il proprio seggio per una discussione sterile.

Modificando il sistema elettorale del presidente, il simul simul verrebbe meno: di conseguenza il Consiglio regionale potrebbe, almeno in teoria, eleggere presidente un leader diverso dal capo della coalizione non essendovi un vincolo giuridico ma solo politico, e potrebbe cambiarlo nel corso della legislatura.

Il rischio è quindi elevato: tuttavia quanto rischierebbero i partiti che non eleggono presidente un leader che ha il 70 per cento del consenso popolare o che lo sostituiscono in corsa?

A chi, quindi, teme un ritorno indietro di trent’anni con una riforma di questo tipo, occorrerebbe ricordare, da un lato, che il sistema di partiti attuali non ha nulla a che vedere con quello precedente e quel modello frammentato è stato sostanzialmente superato, e, dall’altro, che l’elettore ha sempre sanzionato quelle forze politiche che, in corso di legislatura hanno sostenuto governi estranei all’esito elettorale.

Se poi la vera questione non è il limite del terzo mandato ma la volontà di sostituire politicamente chi ha governato (bene e con ampio consenso) la Regione, allora una soluzione ulteriore potrebbe essere quella di non prevedere in legge elettorale l’obbligo di indicare il capo della coalizione ma di disporre che, ad urne chiuse, diventi automaticamente il capo della coalizione il capolista della lista interna alla coalizione che ha ottenuto più voti.

Veneto e Campania sono ancora in tempo per intraprendere queste modifiche che, tra l’altro, ricostruirebbero su una base più solida la relazione politica Consiglio-Giunta.


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