L’isolamento durante la pandemia di Covid-19 ha reso i giovani più vulnerabili alla radicalizzazione online, confermando l’importanza di monitorare e contrastare efficacemente la propaganda jihadista sul web. L’analisi di Francesco Conti, ricercatore in materia di terrorismo jihadista
Poco prima di Natale, un’operazione antiterrorismo del Ros dei Carabinieri ha portato all’arresto di quattro persone fra Bologna, Milano, Perugia e Udine, legati dall’attività di proselitismo online in nome del terrorismo jihadista, a supporto sia dello Stato Islamico sia di al-Qaeda. Un quinto giovanissimo raggiunto dal provvedimento di arresto del Gip bolognese sarebbe già in Africa, in qualità di foreign fighter, in Sudan per addestramento militare. La dimensione online della propaganda terroristica è ormai il fattore più diffuso della minaccia da diversi anni a questa parte ed è stata un fattore riscontrato anche dalle indagini sui due attentati più recenti: quello del dicembre 2024 avvenuto a Magdeburgo, in Germania, a dicembre e quello a New Orleans, negli Stati Uniti, del primo gennaio. In entrambi i casi, infatti, nonostante le diversità degli attentatori, la radicalizzazione è avvenuta interamente sulla rete. Gli arresti compiuti dagli investigatori italiani sono solo la punta dell’iceberg di un’indagine iniziata più di un anno fa, condotta monitorando luoghi e persone sia online sia in strada. L’indagine ha messo in luce l’esistenza di una vera e propria macchina organizzata digitale per la diffusione della propaganda estremista, gestita da soggetti fra i 18 e i 27 anni. Tra gli arrestati spicca la figura di Rida Mushtaq, ventiduenne di origine pakistana residente a Bologna con la famiglia, leader di fatto del gruppo, che era riuscita a radicalizzare anche il fratello di 19 anni.
Le generazioni più giovani, naturalmente più familiari con l’uso della rete, sono le più vulnerabili all’attività di proselitismo jihadista. Europol ha di recente diffuso dati che hanno evidenziato come l’età media dei soggetti arrestati per terrorismo in Europa sia infatti di soli 20 anni. I giovani, anche minorenni, stanno diventando principale obiettivo propaganda jihadista, non solamente in Europa. Nella asiatica Singapore sono stati arrestati di recente aspiranti jihadisti di soli 14 anni, radicalizzati sulla rete. Canali social come Instagram o TikTok vengono utilizzati per discutere non solo di videogiochi o di sport, così come altri gruppi di messaggistica sono utilizzati per discutere e pianificare azioni criminose in nome di organizzazioni come al-Qaeda e lo Stato Islamico.
Molti di questi giovani vulnerabili alla propaganda jihadista hanno sofferto l’isolamento causato dalla pandemia del Covid-19, che, privandoli delle relazioni interpersonali, li ha spinti verso un utilizzo spasmodico della rete. L’isolamento da Covid sembra abbia influito anche nel caso dei giovani arrestati a Bologna. Le Nazioni Unite, già a fine 2021, avevano messo in guardia gli Stati Membri riguardo l’aumento della propaganda terroristica online a causa della pandemia, portando a un vero e proprio boom di materiale estremista (non solo jihadista) sulla rete. Soprattutto l’app di messaggistica Telegram, usata anche dagli arrestati, ha avuto un’impennata di canali legati alla propaganda jihadista, così come una diffusione di propaganda suprematista legata all’estrema destra. La mediaticità della rete in grado di amplificare anche l’attentato più semplice o condotto con armi rudimentali, come quelli all’arma bianca o con veicoli lanciati contro la folla degli ultimi episodi, portando a pericolosi effetti emulativi, anche senza contatti diretti fra i vari attentatori o proselitismo ufficiale dei gruppi terroristi.
I giovani del gruppo smantellato dai Carabinieri condividevano indifferentemente propaganda jihadista dello Stato Islamico e di al-Qaeda, organizzazioni letteralmente in competizione fra di loro. Ciò a conferma di un recente trend, che vede una maggior fluidità ideologica a dispetto delle rivalità sul campo fra i due gruppi jihadisti. Dalla morte di Ayman al-Zawahiri a Kabul nell’estate 2022, si è assistito a una drastica diminuzione della propaganda online a opera dell’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden. Al-Qaeda, infatti, si è fatta sentire solo dopo eventi quali il terremoto che ha colpito Turchia e Siria nel febbraio 2023, i roghi del Corano avvenuti in nord Europa avvenuti nell’estate dello stesso anno, l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la successiva guerra, e, più recentemente, la caduta del regime di Bashar al-Assad. Per colmare tale vuoto, Di recente sono assurti a rango di primaria importanza singoli individui, amministratori di canali social dove vengono distribuiti video e testi propagandistici inneggianti alla violenza contro gli Occidentali. Non a caso, il gruppo degli arrestati faceva parte del gruppo “Da’wah Italia”, espressione che indica il proselitismo nella religione musulmana e concetto molto importante anche per le organizzazioni terroristiche. In questo ambiente molto decentralizzato si muovevano quindi gli arrestati della recente operazione antiterrorismo. Tale contesto caratterizza l’attuale minaccia terroristica, non solo in Italia. L’anno scorso, nei Paesi Bassi è stato condannato per il reato di partecipazione in associazione terroristica (reato simile all’articolo 270 bis del nostro Codice penale) un individuo che gestiva un canale Telegram pro jihad con più di 1000 iscritti. L’uomo era in grado di disseminare sulla piattaforma materiale violento inneggiante allo Stato Islamico, anche senza alcun contatto diretto con estremisti localizzati in Medio Oriente. Tra i contenuti pubblicati anche manuali operativi per l’utilizzo di armi da fuoco ed esplosivi, che potevano essere utilizzati da attentatori individuali, frequentatori di tali piattaforme estremiste, per porre in essere attacchi in Occidente in modo del tutto autonomo. Era probabilmente il fine ultimo anche del gruppo smantellato dai Carabinieri del Ros.
Uno dei giovani del gruppo jihadista smantellato sarebbe in Sudan probabilmente tra le fila di gruppi jihadisti locali. Lo scorso ottobre, l’ex primo ministro sudanese Abdalla Hamdok aveva già messo in guardia che il Paese, divorato da una brutale guerra civile, potrebbe presto diventare terreno fertile per il jihadismo a livello regionale. Il Sudan presenta diverse attualmente cellule guidate da al-Shabaab, l’organizzazione jihadista somala legata ad al-Qaeda. Inoltre, un nutrito contingente di foreign fighter legati al gruppo è di origine somala. La stessa al-Shabaab non è nuova a operazioni fuori dal confine somalo. Nell’estate 2022, approfittando dell’instabilità politica dell’Etiopia a causa dei conflitti scoppiati nel Tigray, al-Shabaab aveva invaso il Paese con centinaia di miliziani, anche con unità reclutate fra cittadini etiopici. La debolezza di molti Paesi africani nel contrastare i gruppi jihadisti presenti nel continente ha consentito molti la realizzazione di attentati spettacolari, molto spesso contro le forze di sicurezza locali, che hanno avuto l’effetto di far diventare la propaganda jihadista collegata ai gruppi africani fra le più presenti sul web. Mentre infatti le organizzazioni terroristiche sono in difficoltà in Medio Oriente e nel subcontinente indiano, i continui attentati in Africa possono facilmente diventare un successo mediatico, con la possibilità di attrarre combattenti stranieri, ora che anche la Siria non sembra più terreno fertile per il jihad. Attualmente, sia al-Qaeda sia lo Stato Islamico sono impegnati a enfatizzare le proprie operazioni nel continente africano, attraverso i propri affiliati locali, in molti casi presenti nello stesso Paese, come la stessa Somalia, dove il gruppo nativo legato allo Stato Islamico, seppur eclissato per importanza da al-Shabaab, sta diventando sempre più una minaccia internazionale, come sottolineato sia dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dagli Stati Uniti. Islamic State Somalia ha anche iniziato una politica di reclutamento internazionale, compresi giovani residenti in Occidente, che avrebbe potuto influire nella decisione del ventenne di origine marocchina sfuggito all’arresto di recarsi nel Corno d’Africa per combattere in nome del terrorismo jihadista.
Anche la giovane Rida di Bologna aveva, poco prima dell’arresto, passato un periodo all’estero, in Pakistan, dove è dilagante la minaccia dell’estremismo religioso. Secondo statistiche molto recenti, nell’anno appena trascorso i Talebani pakistani (Tehreek-e-Taliban Pakistan) hanno condotto più di 1700 attacchi, mentre la provincia locale dello Stato Islamico, Islamic State Khorasan, una ventina. Benché gli attacchi con armi da fuoco o esplosivi siano quasi tutti compiuti da individui di sesso maschile, l’attivismo online è in grado di annullare ogni barriera di genere. Lo Stato Islamico in Siria e Iraq aveva un vero e proprio apparato di propagandiste di sesso femminile, capeggiato da Sally Jones, jihadista britannica responsabile dell’indottrinamento e addestramento nelle tecniche terroristiche di dozzine di donne di origine europea. Tra le fila dell’unità capeggiata da Sally Jones figurava anche Meriem Rehaily, ragazza padovana che nel 2015, ad appena 19 anni, giunse in Siria per arruolarsi fra le fila del Califfato, dove divenne una provetta attivista del jihad digitale. Anche la giovane appena arrestata a Bologna non sembra essere da meno. La gestione del canale propagandistico avrebbe consentito al gruppo di raggiungere una platea molto larga, anche con specifica documentazione digitale contenente istruzioni tecniche sulla realizzazione di attentati, potenzialmente utilizzabili anche su suolo italiano. La nostra legislazione ha però da tempo compreso il rischio della propaganda jihadista sul web, con la fattispecie di reato di Addestramento ad attività con finalità di terrorismo, che prevede un aumento della pena per chi fornisce istruzioni atte al compimento di attentati attraverso il web.