Dovremmo interrompere i nostri aiuti? No, dobbiamo mantenere i nostri impegni, dobbiamo difendere i nostri principi europei, occidentali e di libertà, perché vogliamo una pace giusta e la pace giusta non può mai essere una fuga, una ritirata o una disfatta. L’intervento del vicepresidente della Commissione esteri/difesa del Senato
Il ministro della difesa Guido Crosetto in un corretto rapporto tra governo e Parlamento anche quest’anno per la terza volta – e faccio mio il suo augurio che sia l’ultima – è venuto a sottolineare con chiarezza e genuinità le ragioni della posizione italiana sulla guerra in Ucraina.
In questo inverno, nel tragico e freddo inverno di quei Paesi, gli attacchi russi che potremmo definire terroristici, si sono intensificati. Secondo le fonti, i civili morti sono 12.000. Ci sono voli di droni, utilizzo di missili e razzi a lungo raggio, il fronte di 108.000 chilometri quadrati su cui, di fatto, la Russia ha esteso il suo controllo, e i 1.200 chilometri di linea. Tutto questo motiva la posizione italiana che non potrebbe essere diversa. La posizione, cioè, di continuare ad aiutare l’Ucraina non soltanto con i mezzi militari: noi siamo stati ospitali con i loro profughi, siamo stati vicini a loro con le derrate alimentari, siamo stati e siamo vicini a loro però anche nel sostegno alla loro guerra di resistenza civile e di popolo.
Potrebbe sembrare ovvio, eppure non lo è. È il terzo anno di guerra. Il terzo anno in cui andiamo a ribadire le stesse cose. Sì, è vero, e perché dovremmo smettere? Chi anche oggi esprime obiezioni sulla nostra posizione, che invece è di una chiarezza esemplare, e poi difende principi e diritti che nessuno di noi può mettere in discussione, sostanzialmente ha utilizzato due argomenti dialettici. Il primo: le armi non sono mai strumento di pace. Il piccolo problema è che non esiste la pace disarmata. Il secondo è il dato numerico: si dice che i russi sono quattro volte gli ucraini. I russi, se non sbaglio, sono 144 milioni, gli ucraini sono 37 milioni e finiranno prima.
Non mi pare che questa considerazione di stampo matematico abbia qualcosa a che fare con i diritti di libertà, democrazia, giustizia e rispetto che noi affermiamo. Se l’Italia non avesse fatto quello che ha fatto, in quanto Nazione europea e occidentale, l’Ucraina non esisterebbe più, né come Paese sovrano, né come Paese libero, né con le sue frontiere.
Ricordo come è cominciata questa guerra, ovvero quando l’operazione militare speciale doveva essere una Blitzkrieg, doveva durare una settimana. Immaginavamo tutti che i carri armati russi sarebbero arrivati a Kiev in una settimana, sarebbero stati deposti il Governo e il Presidente, sarebbe stato instaurato immediatamente un altro Governo. Non è andata così: i più deboli hanno resistito. Sono di meno, sono meno armati, ma hanno la forza nel cuore, hanno la forza di chi difende la propria terra, di chi è più motivato, di chi ha più valore e noi li abbiamo difesi e abbiamo fatto bene a difenderli. Abbiamo difeso un principio che difenderemo ancora, che è un principio di libertà, di indipendenza, di sovranità.
Ma non è tutto, perché in questa guerra moderna c’è la propaganda di guerra ed esistono le fake news, per cui nessuno di noi sa quanti sono davvero i morti e i feriti. A sentire gli ucraini, sono almeno 800.000, a sentire i russi, sono 500.000. Comunque sia, un macello spaventoso. Questa, a ben pensarci, è una guerra moderna da una parte, perché impiega i missili a lungo raggio, impiega gli aerei senza pilota, impiega le fake news, impiega la guerra ibrida, impiega i tradizionali mezzi di terra, mare e aria, ma anche i nuovi domini, il cyber, lo spazio, l’underwater; ma d’altra parte è anche una guerra che assomiglia drammaticamente, per i numeri e anche per le modalità, alla Prima guerra mondiale.
Sono stato a Kyiv, a Bucha e ho visto le trincee, gli uomini morti bruciati e sono centinaia di migliaia che finiscono in quel modo. In quel video terribile che è circolato nelle scorse settimane, si affrontano come nella Prima guerra a baionettate, sbudellandosi, un ucraino e un russo, anzi un siberiano, perché ha gli occhi dal taglio asiatico. Alla fine la guerra può avere anche, nonostante tutto, un principio di umanità, perché quando il russo vince e l’altro, agonizzante per terra, gli dice: “lasciami chiamare mia mamma, lasciami morire sulla mia terra, non toccarmi più”, l’altro gli risponde: “sei stato un bravo soldato, hai combattuto da eroe”.
Che dovremmo fare, allora? Perdere anche l’umanità e dire che scegliamo di ripiegare? Dobbiamo scappare? Dovremmo smettere, dovremmo interrompere i nostri aiuti, dovremmo lasciarli morire come è morto quel bravo soldato? No, dobbiamo mantenere i nostri impegni, dobbiamo difendere i nostri principi europei, occidentali e di libertà, perché vogliamo una pace giusta e la pace giusta non può mai essere una fuga, una ritirata o una disfatta.
Nel suo primo discorso Donald Trump ha detto: “Io sono uno che vuole finire le guerre e non fare altre guerre” e questo è per davvero l’auspicio che credo tutti possiamo formulare. È anche successo qualcosa a Gaza negli stessi giorni, che mi induce a sperare.
Spero che da questa resistenza e dal sostegno di tutto il mondo libero e civile si possa davvero attuare un cammino che vada verso una pace giusta, perché niente è immutabile. Trump ha detto, per esempio, all’Europa che deve cominciare a pensare a sé stessa, che dovrebbe intanto investire il 5 per cento del suo pil, Paese per Paese, e cominciare a difendersi da sola. Forse anche questo farebbe bene all’Europa, perché è giusto che l’Europa cominci a ripensarsi come potenza e come grande unità di uomini e di idee.
Se torno ad alcuni momenti di quando eravamo giovani, ricordo quando avevamo il muro di Berlino, l’Europa era divisa in due e tutti noi sognavamo l’Europa unita dall’Atlantico agli Urali e sognavamo un’Europa libera, forte, armata, giusta, che difendesse quei principi. Perché rinunciare a sognare questo? Io penso che anche oggi si possa sognare, le cose cambiano.
Tutti noi a scuola alla fine abbiamo letto “Guerra e pace”, Tolstoj, Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”, oppure ci apre il cuore ascoltare “La grande porta di Kyiv” di Mussorgskij. Anche questo mi induce a pensare e – perché no – a sognare che le cose possano cambiare e si possono cambiare quando si dà l’esempio. L’Europa deve dare l’esempio, dobbiamo continuare a dare l’esempio.
E anche la Russia stessa un giorno, forse, si porrà di fronte al problema del grande errore che ha commesso, perché tra l’altro si sta condannando. Nonostante tutto, io vorrei tornare a pensare a una Russia europea come quella che ho studiato a scuola, perché penso che se anche loro si devono autocondannare a diventare la Bielorussia della Cina non abbiano fatto una grande scelta. Diceva Kipling che nulla può dirsi concluso se non è concluso con giustizia.