la lunga e feconda esperienza della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana si è sempre trovata distinta e distante dalla sinistra cattolica e progressista più sensibile alle forze e al potere economico. La riflessione di Giorgio Merlo
L’area cattolica italiana è sempre stata plurale al suo interno. Un pluralismo di natura culturale, politica e, di conseguenza, anche e soprattutto elettorale. Un pluralismo che esisteva già ai tempi della Democrazia cristiana anche se, come ovvio, in quella stagione la stragrande maggioranza dei cattolici si riconosceva in un “partito di cattolici” – la Dc appunto – per ragioni storiche e non soltanto per motivazioni politiche e programmatiche. Lo spiegava molto bene Rosy Bindi nei giorni scorsi dopo le iniziative di due correnti del Pd a Milano e ad Orvieto. Diceva, l’ex ministra della Sanità, al riguardo, che è sufficientemente noto che il cattolicesimo democratico non può essere confuso con il cattolicesimo sociale e, men che meno, con il cattolicesimo popolare. Una osservazione quantomai calzante e precisa che giustifica il fisiologico ed oggettivo pluralismo politico ed elettorale dei cattolici. Da questa banale ed oggettiva considerazione si deduce anche l’atteggiamento singolare di chi pensa che i cattolici impegnati in politica si riconoscono prevalentemente, se non del tutto, nella sinistra. E, nello specifico, in una corrente che s riconosce nel Partito democratico a guida Schlein.
Ma, al di là delle vicende correntizie che riguardano il Pd e la collocazione tattica dei suoi dirigenti cattolici, c’è un elemento altrettanto storico che merita anche di essere ricordato all’interno di questo profondo e radicato pluralismo politico e culturale che caratterizza, da sempre, l’area cattolica italiana. E che fa parte anche dell’attuale, e positivo, dibattito che attraversa questo mondo. Ovvero, l’esperienza della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana si è sempre distinta – e profondamente – rispetto alla sinistra cattolica che, per comodità, potremmo definire di matrice prodiana. Cioè di quella sinistra cattolica tecnocratica, modernizzante e profondamente radicata nei gangli del potere economico del Paese. Una sinistra, appunto, che non ha mai avuto grandi punti di contatto – anzi, un vero e proprio contrasto – con quella “sinistra sociale” prima all’interno della Dc nella prima repubblica e poi nelle formazioni politiche che si sono succedute dopo la fin della Dc.
Basti pensare ai contrasti irriducibili tra la “sinistra sociale” di Carlo Donat-Cattin con il gruppo dell’Arel che vedeva la presenza di figure importanti e significative come quelle di Prodi appunto, di Umberto Agnelli e di molti altri qualificati dirigenti politici ed economici dell’epoca o quella guidata da Franco Marini nella cosiddetta seconda repubblica. Al riguardo, è appena il caso di ricordare lo scontro frontale che avvenne nel 1999 quando proprio l’Asinello di Prodi si candidò alle elezioni europee in aperta competizione con il Ppi guidato da Franco Marini e che decretò, come ovvio e scontato, l’inizio della crisi dell’esperienza del Ppi. Si trattò di una operazione mirata a demolire il consenso del Partito Popolare Italiano. Ma, al di là di questa concreta vicenda elettorale, non si può non ricordare che la lunga e feconda esperienza della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana si è sempre trovata distinta e distante dalla sinistra cattolica e progressista più sensibile alle forze e al potere economico.
Una differenza, questa, che non è riconducibile, come ovvio e scontato, ai caratteri o all incomprensioni personali dei rispettivi leader. C’era e c’è, com’è altrettanto ovvio, una diversità culturale, politica, sociale, programmatica e forse anche di natura etica tra le due esperienze. Che, del resto, hanno costellato il cammino concreto della vicenda travagliata ma, comunque sia, entusiasmante dei cattolici nella vita pubblica del nostro Paese. Una diversità che, appunto, è presente anche oggi a conferma del pluralismo politico, culturale ed elettorale dei cattolici. E questo anche perché il passato, soprattutto quando parliamo di leader e statisti come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini, non può e non deve essere frettolosamente e qualunquisticamente archiviato o aggirato. Soprattutto quando si parla di cultura politica, di scelte e progetti politici e dei rispettivi valori di riferimento.