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TikTok sta influenzando i giovani taiwanesi per conto di Pechino?

Mentre i giovani taiwanesi affrontano pressioni economiche e sociali, l’influenza di piattaforme come TikTok alimenta un cambiamento nelle percezioni verso la Cina. Le istituzioni democratiche sono messe alla prova anche dai tentativi dell’opposizione di ridurre il bilancio statale indebolendo ministeri cruciali

TikTok sta influenzando le posizioni dei giovani taiwanese sulla Cina, che considera l’isola come una provincia da riunificare anche con l’uso della forza (nota bene: mai la Repubblica popolare cinese l’ha governata)? 

Potrebbe essere così, a giudicare dagli risultati di un esame affrontato l’anno scorso dagli studenti del National Chia-Yi Girls’ Senior High School di Taiwan: “Come negoziare con un dittatore” era il titolo. Hanno dovuto scegliere la migliore strategia di sopravvivenza per un piccolo Paese che affronta un potente vicino, citando l’invasione russa dell’Ucraina e facendo parallelismi impliciti con la minaccia della Cina a Taiwan. I professori, racconta il Financial Times, sono rimasti sorpresi dai risultati: quasi tutti i ragazzi hanno sostenuto che Taiwan deve evitare a tutti i costi di provocare la Cina. Questi sentimenti contrastano con l’opinione pubblica più generale a Taiwan, dove i giovani sono tradizionalmente tra i più patriottici e favorevoli all’indipendenza. Alcuni esperti attribuiscono questo cambiamento proprio a TikTok, app di proprietà della cinese ByteDance, che potrebbe diminuire l’apprensione dei giovani nei confronti della Cina e la loro volontà di resistere.

Docenti e ricercatori a Taiwan sono preoccupati per l’influenza di TikTok sulle percezioni dei giovani. Temono che l’app esponga i bambini a contenuti che promuovono sottilmente una visione più favorevole della Cina, forse come strategia deliberata di Pechino. Questa influenza è problematica perché i giovani sembrano diventare meno impegnati politicamente e più apatici nei confronti del futuro politico di Taiwan. Nonostante il tasso di utilizzo relativamente basso di TikTok a Taiwan rispetto ad altri Paesi, l’app è estremamente popolare tra i giovani, specialmente tra studenti delle scuole primarie e secondarie. Questa popolarità crescente di TikTok e il suo potenziale di influenzare le attitudini politiche sottolineano le complessità dell’influenza digitale nella lotta di Taiwan per mantenere la sua identità nazionale distinta di fronte a pressioni esterne.

Racconta il Financial Times che giovani taiwanesi si sentono economicamente e socialmente svantaggiati, con salari iniziali stagnanti e prezzi delle case in aumento. Questa frustrazione si riversa sui due principali partiti politici, che non riescono a rispondere a queste preoccupazioni. Funzionari governativi ed esperti temono che TikTok stia sfruttando queste divisioni economiche e sociali, intensificando sentimenti di insoddisfazione e minando l’impegno politico. Alcuni attivisti ed educatori suggeriscono di vietare TikTok come minaccia alla sicurezza nazionale, ma i politici dell’opposizione sostengono che ciò interferirebbe con la libertà di parola. Una questione che, come emerge dal dibattito in corso negli Stati Uniti, riguarda le democrazie liberali e sollevando preoccupazioni sull’efficacia di un eventuale divieto e sulle implicazioni più ampie per la fiducia nella democrazia.

Ma davvero la libertà di parola su TikTok è tale? Forse no, scrive Mattia Ferraresi sul Boston Globe. Vietare l’app cinese – e in quanto tale soggetta a leggi cinesi che impongono alle aziende la collaborazione con il governo per ragioni di non ben precisata sicurezza nazionale – “potrebbe non essere solo un sacrificio necessario in nome della sicurezza nazionale, ma una protezione dell’idea che il Primo Emendamento chiede agli americani di avere accesso a informazioni libere da manipolazioni o distorsioni”, sostiene Ferraresi.

Il dibattito si inserisce nel contesto internazionale di competizione tra Stati Uniti e Cina. Per Ian Bremmer, fondatore e presidente di Eurasia Group, TikTok “non rappresenta una reale minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti”. Per Donald Trump, ha spiegato ancora al Corriere della Sera, “è un affare personale, se non altro per i finanziamenti che ha ricevuto dai proprietari cinesi della piattaforma”; il presidente statunitense “non vuole creare un incidente” con il leader cinese Xi Jinping.

Tra i sostenitori delle ragioni del divieto c’è chi lo fa perché pensa che Washington e Pechino si stiano preparando alla guerra, come Isaac Stone Fish di Strategy Risks.

Ma c’è anche chi sottolinea come ci troviamo in una fase in cui le minacce sono per lo più ibride (una delle loro caratteristiche è proprio quella di rimanere al di sotto della soglia del conflitto armato) e graduali, ovvero pensate per erodere le istituzioni democratiche un po’ alla volta. Taiwan è il laboratorio della guerra ibrida della Cina che in questi giorni sembra stia trovando sponde nell’opposizione taiwanese che ha proposto tagli ai bilanci dell’emittente pubblica, di vari ministeri, dei dipartimenti che si occupano di Cina, di aziende come l’energetica Taipower e dell’agenzia per la cybersicurezza. Per fonti di Formiche.net vicine del partito di governo, il Partito democratico progressista, si tratterebbe sforzi dell’opposizione, più morbida con la Cina, per paralizzare il governo e dividere ulteriormente la società.

Parlando ai giornalisti in vista del voto sul bilancio in parlamento, oggi il premier Cho Jung-tai ha invitato le opposizioni – in particolare il Kuomintang assieme al Partito popolare taiwanese – a “ritirare tutte le proposte che paralizzerebbero il governo e avrebbero un impatto sulla sicurezza nazionale”, ha detto Cho. “La Cina ostile sarà molto contenta”, ha aggiunto Cho, riferendosi ai tagli alle unità di sicurezza, compreso il ministero per il Digitale, che affronta una media di 2,4 milioni di attacchi informatici al giorno, la maggior parte dei quali Taiwan dice essere lanciati dalle forze cyber cinesi.


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