Il futuro della politica commerciale americana è incerto, con dubbi su come affrontare i costi della transizione. Gli Stati Uniti stanno ridefinendo il loro ruolo globale, cercando di bilanciare protezionismo e cooperazione internazionale. L’analisi di Mario Del Pero, professore di Storia internazionale a Sciences Po
Il paradigma economico del “Washington Consensus” sembra ormai essere stato accantonato, sostituito da una nuova visione della politica commerciale americana. Questa transizione riflette una profonda revisione del ruolo degli Stati Uniti nell’economia globale, spinta da esigenze di sovranità economica e di contrasto all’influenza cinese. Oggi il “Washington Consensus” orientato verso la liberalizzazione commerciale e l’integrazione globale sembra superato. Ne parliamo con Mario Del Pero, professore di Storia internazionale a Sciences Po.
Quali sono i principali cambiamenti nella politica commerciale americana e come si muoverà Donald Trump?
La politica commerciale americana sta subendo un cambiamento strutturale. Gli Stati Uniti puntano a disaccoppiare la loro economia da quelle di Paesi che rappresentano rischi strategici, in primis la Cina. Questo processo di re-globalizzazione cerca di ridurre la dipendenza dalle catene di valore globali, cioè da quei processi produttivi transnazionali che hanno caratterizzato la globalizzazione contemporanea. Questa dipendenza ha comportato anche effetti negativi sul tessuto economico e sociale americano: ha agevolato la crescita di settori come l’high tech e i servizi avanzati; dall’altro, la deindustrializzazione di intere regioni e il declino economico di aree industriali come il Midwest. Oltre alle ricadute interne, esiste una preoccupazione geopolitica: l’interdipendenza economica con la Cina è percepita come una perdita di sovranità, che rafforza il principale avversario strategico degli Stati Uniti.
Quali strumenti stanno utilizzando gli Stati Uniti per affrontare questa sfida?
Le risposte variano a seconda delle priorità politiche. L’amministrazione Biden ha adottato misure come l’Inflation Reduction Act, che combina protezionismo, sostegno all’industria manifatturiera e investimenti nella transizione ecologica. Questo approccio mira a riqualificare l’economia americana e a rilanciare settori strategici, creando al contempo nuovi posti di lavoro. Tuttavia, si tratta di un percorso complesso: richiede un impegno significativo da parte del settore pubblico e una ridefinizione delle relazioni commerciali con alleati e partner. Con Trump al potere, ci si aspetta un approccio più radicale, caratterizzato da una maggiore libertà per l’industria estrattiva e un rilancio del gas naturale e del petrolio. Il tutto, probabilmente, accompagnato da un aumento delle tensioni commerciali con Cina ed Europa.
Storicamente gli Stati Uniti hanno vissuto altri periodi di protezionismo che hanno portato per esempio alla Smoot-Hawley Tariff Act del 1930. Queste misure in passato hanno effettivamente portato dei benefici all’economia americana?
I precedenti storici offrono lezioni contrastanti. Negli anni Trenta, misure come lo Smoot-Hawley Tariff Act hanno contribuito a isolare l’economia americana, aggravando la crisi globale. Tuttavia, il New Deal ha dimostrato che grandi investimenti pubblici possono trasformare una crisi in un’opportunità di crescita. L’approccio attuale sembra richiamare alcune di queste dinamiche, ma in un contesto globale molto diverso, dove le interdipendenze economiche sono più profonde e i rischi di destabilizzazione più elevati.
È davvero possibile eliminare le interdipendenze globali?
Non completamente. Anche se alcune produzioni vengono spostate dalla Cina ad altri Paesi, per esempio il Vietnam (con il quale il deficit statunitense è cresciuto di tre volte tra il 2018 e oggi), ciò crea nuove dipendenze. Riorientare le supply chain comporta costi elevati, sia economici sia politici, e può destabilizzare i mercati internazionali. La questione è quindi come gestire queste transizioni senza compromettere l’equilibrio globale.
Quali sono i rischi geopolitici di questo approccio per gli Stati Uniti e i loro alleati?
La Cina sta già lavorando a infrastrutture alternative, come il progetto della Nuova Via della Seta, per consolidare la propria influenza economica. Gli Stati Uniti, invece, cercano di coinvolgere gli alleati europei, ma non senza difficoltà. L’amministrazione Biden, ad esempio, ha avuto frizioni con la Germania, la cui interdipendenza economica con la Cina è di molto cresciuta nell’ultimo decennio. Gli Stati Uniti chiedono a Berlino di ridurre queste interdipendenze, offrendo in cambio esenzioni e incentivi legati all’Inflation Reduction Act. In definitiva, credo che Trump intraprenderà più guerre commerciali con tutti che indubbiamente destabilizzeranno e potrebbero avere degli effetti negativi sugli equilibri geopolitici, e il rischio che questo accada è elevato.