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Dall’AI Act al Summit di Parigi, perché serve ripensare le normative. Scrive Quintarelli

Di Stefano Quintarelli

Il vertice per l’azione sull’IA di inizio febbraio, a Parigi, è un’opportunità per discutere sui futuri sviluppi dell’intelligenza artificiale in un quadro di mutata competizione strategica con le potenze del settore, come Stati Uniti e Cina. È un’occasione per affrontare alcuni aspetti di una delle sfide più complesse: capire come evolvere tempestivamente ed efficacemente le regolazioni nate in diverse regioni del mondo e in forte mutamento. La riflessione di Stefano Quintarelli, presidente associazione Copernicani

L’intelligenza artificiale ha dato inizio a una vera e propria rivoluzione tecnologica. La portata straordinaria dell’innovazione che ha introdotto, però, necessita di una regolamentazione. Le leggi possono essere conciliate con questo strumento? La risposta è affermativa e trovare la strada in cui innovazione e regolamentazione possono coesistere sarebbe ideale. Tra i diversi esempi che si possono trovare in giro per il mondo, anche se frammentati come nel caso degli Stati Uniti oppure il piano di sviluppo che contraddistingue la via cinese, non può sfuggire il modello adottato dai Paesi europei.

Quasi un anno fa il Parlamento europeo ha approvato il regolamento in materia di intelligenza artificiale, conosciuto come AI Act a completamento di un processo durato sei anni. L’Ue ha dimostrato un forte impegno verso la spinta a regolamentare l’intelligenza artificiale introducendo un approccio basato sul rischio e una particolare attenzione anche al rispetto dei diritti degli individui. L’Unione europea aveva fatto in qualche modo da apripista, dato che anche il presidente Biden aveva firmato un decreto basato su principi simili, annullato nel primo giorno della amministrazione Trump. Questo anniversario rende necessaria una riflessione non solo sui risultati che sono stati raggiunti ma anche, e soprattutto, sulle possibili carenze sulle quali la nuova Commissione europea dovrà lavorare.

A un anno dalla sua entrata in vigore, l’AI Act rappresenta un buon punto di partenza per lo sviluppo di una IA degna di fiducia. Come succede per tutte le leggi, però, ci sono alcuni dettagli che è opportuno rivedere con il tempo, considerando che dal momento in cui delle regole vengono varate la situazione evolve naturalmente, anche radicalmente come si vede dal mutato contesto internazionale, improntato alla più ampia de-regolamentazione. A ben vedere, al di là di alcuni casi legati ai valori fondamentali della Ue o radicati nella nostra tradizione giuridica, la regolamentazione europea per l’intelligenza artificiale non ha imposto vincoli particolarmente stringenti, o addirittura dannosi, per quanto concerne l’aspetto dell’innovazione. L’incremento delle applicazioni dell’intelligenza artificiale in ambiti diversi solleva un ulteriore problema per la regolamentazione. Anche questi settori non specifici di IA necessitano, infatti, di un ripensamento della propria normativa. La direttiva sulle liability, che garantisce ai consumatori e alle persone fisiche un accesso semplificato al risarcimento per i danni derivanti da prodotti difettosi, ne è un esempio che sarà naturalmente impattato dallo scenario Usa.

Spesso viene detto che l’Europa sia più abile nel regolare che nell’agire. Quello che favorisce la nascita di questa idea è legato a una narrazione dello stato tecnologico europeo che risulta sfavorevole, a cui si deve aggiungere anche un gap di finanza ingente. L’Unione europea investe in capitale di rischio pre-borsa 70 miliardi all’anno mentre gli Stati Uniti 1300 miliardi. Il dato spiega peraltro anche la dominanza nella narrazione. Ci sono Paesi che riescono a correre di più, anche per maggiori disponibilità finanziarie; mentre altri Stati sono costretti a seguire la scia per impossibilità economiche. Chi sta guidando lo sviluppo dell’esempio più immaginifico dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale, le auto a guida autonoma? La prima risposta che sorge spontanea è Tesla, casa automobilistica statunitense guidata da Elon Musk. È da oltre un decennio che Elon Musk promette la guida autonoma e, anno dopo anno, ha continuato a promettere l’implementazione di questa tecnologia per l’anno successivo.

Ciò che sfugge da questa narrazione è che in molte gare automobilistiche in cui competono i veicoli a guida autonoma spesso a vincere sono proprio quelle concepite all’interno di istituti europei, come il Politecnico di Milano e l’Università di Monaco per citare degli esempi. Inoltre, l’unica auto esistente al mondo che permette di togliere le mani dal volante, in determinate condizioni di traffico, è del produttore tedesco di automobili Mercedes-Benz. Per consentire a Tesla di poter finalmente raggiungere la visione della guida autonoma, la deregolamentazione Usa porterà probabilmente a una forte revisione al ribasso dei principi di sicurezza, monitoraggio e trasparenza degli incidenti dei veicoli. Discorso simile per applicazioni che possono portare in modo non immediatamente evidente al consolidamento di posizioni dominanti o riduzione dei diritti dei consumatori e che gli acquirenti europei, proprio in ragione di questa ridotta trasparenza e quindi consapevolezza, premeranno per ottenere anche fomentati da campagne che pretenderanno che “l’Europa stia perdendo delle opportunità” o “remando contro il futuro”.

Il vertice per l’azione sull’IA di inizio febbraio, a Parigi, è un’opportunità per discutere sui futuri sviluppi dell’intelligenza artificiale in un quadro di mutata competizione strategica con le potenze del settore, come Stati Uniti e Cina. È un’occasione per affrontare alcuni aspetti di una delle sfide più complesse: capire come evolvere tempestivamente ed efficacemente le regolazioni nate in diverse regioni del mondo e in forte mutamento a causa delle decisioni dell’amministrazione Usa che dimostra che discutere di una governance globale sulla generalità dell’IA è impossibile a causa della diversità di valori delle varie culture. I modelli di intelligenza artificiale incidono su un mondo segnato dalle differenze di valori che, di conseguenza, determinano diverse scelte socialmente condivise, o imposte.

Formiche 210


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