L’Italia dovrebbe lavorare per valorizzare le rinnovabili, semplificando i processi autorizzativi sia per la realizzazione di nuovi impianti, sia per favorire gli investimenti nel revamping di quelli già esistenti in modo da aumentare la loro capacità produttiva. Una maggiore penetrazione delle rinnovabili contribuirebbe a ridurre il prezzo dell’energia
C’è un elemento che accomuna tutte le analisi degli esperti che da giorni lavorano per capire e addirittura prevedere l’impatto che avrà la politica di Trump sull’Europa: niente sarà più come prima. Dalla Francia, Emmanuel Macron ha spiegato che l’Europa se non vuole essere colpita deve darsi una mossa alla svelta.
Tra gli argomenti più urgenti e più complessi che la premier Giorgia Meloni si troverà inevitabilmente ad affrontare c’è quello del costo dell’energia. Chi ha più alzato la voce negli ultimi tempi è stato il mondo delle imprese. In particolare, è stata Confindustria a lanciare quello che ha definito in alcuni casi un “allarme” per una situazione che mette in grave difficoltà la competitività dell’industria italiana.
La materia resta complessa e per questo per orientarsi è opportuno fare ordine, individuando, cause, implicazioni e possibili soluzioni.
In Italia i costi sono più alti perché la Penisola si appoggia (a causa di scelte prese in passato) su un mix produttivo molto sbilanciato sul gas, il cui prezzo dipende dalle dinamiche dei mercati internazionali e dalla congiuntura geopolitica.
Si deve leggere in questo contesto l’accelerazione che proprio il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha voluto imprimere sul tema del nucleare. Da una parte si attende a breve il disegno di legge quadro, dall’altro sta per essere varata una newco, a guida Enel, che si occuperà di studio e ricerca per accorciare i tempi del ritorno all’atomo dell’Italia, analizzando le nuove tecnologie nucleari (gli SMR e gli AMR). In ogni caso, per l’arrivo del nucleare bisognerà aspettare anni, quindi anche se si tratta della soluzione più logica per riequilibrare il mix sbilanciato citato prima, non è immediata.
Se parliamo di prezzi all’ingrosso, la situazione attuale italiana è comparabile a quella degli altri Stati europei, come si evidenzia confrontando i più recenti dati sul costo dell’energia al MWh.
Insomma, la sorte del Paese è simile a quella delle altre nazioni europee. È vero però che i prezzi in Italia restano più alti, perché si continua a pagare lo scotto di scelte fatte in passato.
Cerchiamo di capire meglio, adottando un minimo di prospettiva al di là dei comprensibili allarmi che vengono dalla stretta attualità. La storia dice che il prezzo all’ingrosso dell’elettricità per le aziende energivore (ossia la cui attività è molto dipendente dall’utilizzo di energia) italiane è stato tendenzialmente allineato agli altri Paesi europei fino a prima del 2020. Poi la crisi energetica, unita all’assenza di nucleare dal mix di generazione e alle politiche di forte sussidio messe in campo in alcuni Paesi europei, hanno cambiato il quadro in maniera significativa. Al netto di misure di supporto, la media del prezzo all’ingrosso in Italia nel periodo tra il 2015 e il 2020 era di circa 50 euro MWh, balzata a circa il doppio nel 2023-24 dopo la crisi.
Va detto che già ingenti risorse sono state dedicate negli anni scorsi al sostegno della competitività delle imprese, e altre misure sono in dirittura d’arrivo per ridurre ulteriormente il differenziale di costo rispetto ad altri Paesi Europei.
Pochi sanno infatti che già da anni il tema della competitività è considerato prioritario dal Paese e per questo le aziende hanno potuto godere di una serie di benefici finanziati tramite le bollette. L’Interconnector è una misura introdotta nel 2010, e consente agli energivori di pagare, su una parte dei consumi, un prezzo pari a quello dei mercati confinanti, strutturalmente più basso (in particolare in Francia per la presenza del nucleare). Il meccanismo costa al sistema circa 400 milioni all’anno. L’interrompibilità è attiva invece dal 2008 e prevede l’accesso a procedure competitive per la fornitura del servizio di interruzione temporaneo del carico in caso di necessità di Terna e vale circa 500 milioni. Un servizio attivato solo in rari casi di emergenza ma che garantisce agli energivori una compensazione di costo stabile. C’è infine il “rimborso dei costi indiretti di CO2”, misura attivata nel 2020 che compensa i costi della CO2 trasferiti dai produttori di energia termoelettrica nel prezzo finale dell’elettricità, un incentivo che ad oggi vale circa 140 milioni e che il governo ha previsto di raddoppiare nel 2025.
Proprio quest’ultima voce, ossia il rimborso costi indiretti CO2, è quella su cui ha fatto fortemente leva la Germania dopo l’uscita dal nucleare, per aiutare le sue imprese e portare il prezzo finale a essere estremamente competitivo.
Infine, gli energivori beneficiano anche dell’esenzione totale di alcune componenti tariffarie a copertura degli oneri generali di sistema (i cosiddetti ASOS, oneri per il supporto delle fonti rinnovabili) per un totale di circa 1,1 miliardi di euro.
Per il 2025 sono previste misure ulteriori per gli energivori che, sommate a quelle già descritte, potrebbero portare il prezzo finale per queste imprese a valori confrontabili con quelli della Spagna e molto più vicini a quelli di Germania e Francia.
Tra le misure citate c’è ad esempio Energy Release 2.0, rivolto alle imprese a forte consumo di energia elettrica che potranno godere di prezzi competitivi a fronte dell’impegno a installare nuova capacità rinnovabile da realizzare in tre anni.
Guardando agli altri Paesi, i transalpini rimangono comunque i primi della classe, e il motivo è che sfruttano la maggiore presenza di energia nucleare. Detto che su questa tecnologia l’Italia ha in animo di recuperare il gap creatosi negli ultimi anni, ma ci vorrà tempo, c’è un altro modo per riequilibrare il mix di produzione energetica: una maggiore penetrazione delle rinnovabili contribuirebbe a ridurre il prezzo dell’energia.
Lo ha detto chiaro e tondo un altro esperto di mercato come Renato Mazzoncini, ad di A2A, riferendosi in particolare al settore idroelettrico, che potrebbe essere sfruttato meglio, con investimenti per ammodernare gli impianti. “Se non ci fossero le gare e si procedesse con la riassegnazione attraverso un accordo tra Regioni e operatori, si libererebbero velocemente investimenti per 15 miliardi”.
Se questo approccio è quello vincente, l’Italia dovrebbe lavorare a testa bassa per valorizzare le rinnovabili, semplificando i processi autorizzativi sia per la realizzazione di nuovi impianti, sia per favorire gli investimenti nel revamping di quelli già esistenti in modo da aumentare la loro capacità produttiva.
Si tratta in molti casi di interventi a costo zero che però garantirebbero benefici a tutto il Paese, che si tratti di piccoli consumatori o di aziende industriali. L’importante, come ha esortato Macron, è fare in fretta.