La storica telefonata tra Trump e Putin e il controverso discorso del vicepresidente Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco segnano l’inizio di una nuova era nelle relazioni transatlantiche. L’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi
La recente telefonata tra il presidente americano Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin, seguita dalle dichiarazioni del segretario alla Difesa americano Pete Hegseth, segna un punto di svolta epocale negli equilibri geopolitici mondiali. Gli Stati Uniti stanno ridisegnando le proprie priorità strategiche, lasciando l’Europa in una posizione di crescente vulnerabilità e incertezza.
Il messaggio dell’amministrazione Trump è cristallino e altrettanto lapidario: l’America deve concentrarsi sulla sfida cinese nell’Indo-Pacifico e sulla sicurezza dei propri confini. Il vicepresidente J.D. Vance, con il suo controverso discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ha esplicitato questa nuova visione, criticando aspramente l’establishment europeo e promuovendo un riavvicinamento con la Russia. La sua retorica, che paragona l’Europa attuale all’Unione Sovietica, rivela un profondo distacco ideologico tra le due sponde dell’Atlantico.
Putin, da parte sua, sembra aver trovato in Trump un interlocutore ricettivo. L’invito al presidente americano per negoziati a Mosca suggerisce che il leader russo intravede un’opportunità per consolidare le sue conquiste territoriali in Ucraina. La sua strategia di deterrenza nucleare, sapientemente utilizzata durante il conflitto, gli ha permesso di mantenere l’Occidente in una posizione difensiva.
In questo scenario, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si trova in una posizione sempre più precaria. La sua recente apertura a un possibile compromesso territoriale basato sui confini del 2014 riflette una crescente consapevolezza dei nuovi equilibri di potere. Mentre rifiuta l’accordo proposta dagli Stati Uniti sulle terre rare, chiede agli europei di costituire rapidamente un esercito comune che suona come un disperato appello a un’Europa che stenta a trovare una voce unitaria.
I leader europei appaiono divisi e disorientati, colti di sorpresa dalla brutalità del cambio di paradigma americano. Il discorso di Vance a Monaco ha generato uno shock profondo, non tanto per i contenuti – in parte prevedibili – quanto per il tono e il timing, a pochi giorni dalle elezioni tedesche. La platea europea è rimasta letteralmente ammutolita di fronte all’endorsement esplicito dell’AfD e alla delegittimazione delle istituzioni democratiche continentali. Come ha sottolineato Boris Pistorius, ministro della Difesa tedesco, “è inaccettabile che un alleato paragoni l’Europa a regimi autoritari”.
Il presidente Emmanuel Macron cerca di posizionare la Francia come guida di una possibile difesa europea autonoma – chiamando una riunione a Parigi dei leader europei – mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholzreagisce con fermezza alle provocazioni di Vance, ribadendo l’autonomia decisionale europea. In Italia, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, si trova a dover bilanciare l’alleanza atlantica con le nuove esigenze di autonomia europea, consapevole di avere una grande responsabilità storica e di poter creare un’opportunità unica per il futuro dell’Europa.
Le opzioni per l’Europa appaiono limitate ma cruciali. La prima strada è quella dell’autonomia strategica, che richiederebbe un drastico aumento delle spese militari (fino al 5% del prodotto interno lordo come richiesto da Trump) e la creazione di una vera forza di difesa convenzionale comune. Questa opzione comporterebbe anche la necessità di sviluppare una credibile deterrenza nucleare europea, possibilmente basata sull’arsenale francese.
La seconda opzione è quella di cercare un nuovo equilibrio con la Russia, accettando una certa sfera d’influenza di Mosca nell’Europa orientale in cambio di garanzie di sicurezza. Questa strada, però, rischierebbe di compromettere i valori fondamentali dell’Unione e la sua credibilità internazionale.
La terza via è quella di tentare di preservare l’alleanza atlantica, aumentando significativamente il contributo europeo alla Nato e cercando di mantenere gli Stati Uniti impegnati nel continente. Tuttavia, le recenti dichiarazioni di Trump e Vance suggeriscono che questa potrebbe essere una strategia sempre meno praticabile.
Il momento storico richiede una risposta non solo rapida e decisa, ma soprattutto unitaria. L’Europa si trova di fronte alla sfida più importante dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: trasformare una crisi esistenziale in un’opportunità di rinnovamento strategico. La costruzione di una vera autonomia strategica europea, per quanto costosa e complessa, appare come l’unica via per preservare i valori e gli interessi del continente. Questo significa non solo aumentare le spese militari e sviluppare capacità di difesa comune, ma anche ripensare fondamentalmente il ruolo dell’Europa in un mondo multipolare. La posta in gioco è altissima: o l’Europa trova la forza di diventare un attore geopolitico autonomo e credibile, o rischia di essere relegata a teatro di competizione tra potenze globali.