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L’intelligence bene universale e forma più raffinata di intelligenza umana. L’intervento di Caligiuri

Ricordare oggi Francesco Cossiga non significa affatto revocare il passato, ma proiettarsi nel futuro, ribadendo l’importanza della qualità delle classi dirigenti e la circostanza che un uomo di Stato non può che essere un uomo di Intelligence. L’intervento di Mario Caligiuri, presidente della Socint, alla consegna del premio conferito a Gianni De Gennaro

Il Premio “Francesco Cossiga per l’Intelligence” è ormai diventato un appuntamento nazionale per diffondere la cultura della sicurezza, ampliando gli spazi del dibattito pubblico e culturale nel nostro paese.

Mai come in questi ultimi anni si sta parlando di intelligence a livello internazionale.

Secondo me, l’intelligence è una risorsa della democrazia perché rappresenta il cuore dello Stato che va collocato in alto, dove sono gli interessi dei cittadini, con i loro meriti e bisogni.

Nel periodo di Natale mi hanno incaricato di scrivere un lessico sull’intelligence in dieci termini. Per selezionarli ho svolto una ricerca sulle riviste internazionali del settore, individuando le parole più ricorrenti.

Tra queste una delle più citate è “politicizzazione”.

Mi è stato chiesto inoltre di collegare ogni parola con un’immagine. Per tutte ho individuato dei quadri famosi.

E per “politicizzazione” ho scelto gli “Effetti del buongoverno” di Ambrogio Lorenzetti che dal Trecento campeggia nel Palazzo pubblico di Siena dove, a metà tra le raffigurazioni della città e della campagna, si staglia la figura alata della sicurezza, che reca un cartiglio con cui spiega che dove regna la sicurezza ogni persona può vivere e lavorare in piena libertà.

La figura di Francesco Cossiga

Francesco Cossiga è l’uomo politico che ha sempre dichiarato espressamente la sua attenzione per l’Intelligence.

Protagonista della vita politica italiana, da Ministro dell’Interno affrontò il terremoto del Friuli, l’emergenza terrorismo e l’assassinio di Aldo Moro; da Presidente del consiglio creò le premesse per l’istallazione dei missili Cruise; da Capo dello Stato riuscì a guardare oltre il muro e a ipotizzare una pacificazione nazionale per gli anni di piombo, proponendo la grazia senza condizioni a Renato Curcio.

Anni dopo avrebbe detto: “Questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che l’incendio divampi”.

Dopo aver creato nel 1998, le condizioni per rendere compiuta la democrazia italiana, finita la missione politica si dedicò alle sue memorie e a diffondere la cultura dell’Intelligence nel nostro Paese.

La diffusione della cultura dell’intelligence in Italia

L’ “annus mirabilis” è stato il 2007, quando, su suo esplicito impulso, venne organizzato all’Università della Calabria il primo Master in Intelligence negli atenei pubblici italiani, suscitando l’attenzione di tutto il Paese.

Da questo, prese spunto nel 2010 la collana sugli studi di Intelligence con la Rubbettino Editore che finora ha pubblicato circa 50 volumi e che, durante il Salone del Libro di Torino del 2023, ha avuto il plauso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Nel 2018, da un’idea dell’indimenticato Carlo Mosca, venne istituita la Società Italiana di Intelligence, con l’obiettivo preciso di fare diventare l’intelligence una materia di studio nelle scuole e nelle università del nostro Paese.

Attualmente, la Società Italiana di Intelligence è presente in tutte le regioni italiane con le relative sezioni presiedute da un professore universitario.

È stato dato avvio al portale editoriale scientifico Socint Press, che finora ha pubblicato 65 testi dei quali 11 solo nell’ultimo anno.

La presenza sui social è molto significativa, tanto che su LinkedIn è seguita da più di 16 mila followers, attestandosi tra i leader del settore a livello nazionale.

Sono stati istituiti tre premi di grandissimo significato: il premio sulle tesi post-laurea in intelligence dedicato a Carlo Mosca; il premio G-Research sulle tesi di dottorato in materie quantitative che quest’anno per i tre premi messi in palio ha registrato oltre 100 partecipanti, pari a quasi l’80% di tutte le tesi di dottorato in materia prodotte dagli atenei italiani; e il Premio “Francesco Cossiga per l’intelligence”.

Premio “Francesco Cossiga per Intelligence”

Istituito nel 2020, viene assegnato annualmente a una personalità che si è distinta per diffondere la cultura dell’intelligence in Italia.

La giuria è presieduta da Gianni Letta ed ha come vicepresidenti Giuseppe Cossiga e me.

Nel 2020 il premio è stato assegnato al Prefetto Carlo Mosca, nel 2021 al presidente della Consob Paolo Savona, nel 2022 all’ autorità delegata Franco Gabrielli e nel 2023 al Direttore del DIS Elisabetta Belloni.

Nel 2024 è la volta di Gianni De Gennaro, che ha ricoperto i ruoli di direttore del DIS e autorità delegata.

Così come l’anno scorso, l’esclusivo premio consiste in un’opera unica realizzata dal maestro orafo Gerardo Sacco.

Il 2025 sarà un anno particolare, perché il 24 giugno ricorrono i quarant’anni dalla elezione di Francesco Cossiga a Presidente della Repubblica e stiamo organizzando iniziative a riguardo.

L’insostenibile importanza dell’intelligence

C’è una data precisa: il 7 giugno del 2015. In quel giorno a Parigi avvenne l’assalto dei fondamentalisti islamici alla redazione della rivista satirica “Charlie Hebdo”.

Da allora, non trascorre giorno in cui in TV o sui quotidiani non si evochi la parola Intelligence, quasi come un’arma segreta per difendere le democrazie.

Oggi l’intelligence si può considerare una necessità sociale, quasi un bene universale per capire il mondo, circostanza sempre particolarmente difficile.

E per farlo bisogna utilizzare una delle sue tecniche più raffinate: “cogliere i segnali deboli”.

Già un secolo fa, infatti, le nostre credenze erano state messe a dura prova.

Ce lo ricorda lo scrittore cileno, Benjamin Labatut che nel 2020 ha pubblicato il libro “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”.

Nel volume viene ricordato il convegno di fisici “Elettroni e fotoni”, svoltosi a Bruxelles dal 24 al 27 ottobre del 1927.

Niels Bohr, premio Nobel per la fisica nel 1922, e Werner Karl Heisenberg, che lo diventerà nel 1932, presentarono la versione della meccanica quantistica, nota come “interpretazione di Copenaghen”.

Questa teoria sconfessava clamorosamente il metodo scientifico, ridotto a semplice “probabilità”, l’unico concetto che i greci non conoscevano rispetto a noi.

Albert Einstein si turbó molto e piccato affermò: “Dio non gioca a dadi con l’universo”. Al che Niels Bohr rispose: “Non spetta a noi dire a Dio come manovrare il mondo”.

La meccanica quantistica ha effetti sconvolgenti come quelli dell’altro salto tecnologico dell’intelligenza artificiale.

Infatti, oggi non siamo di fronte alla caduta dell’impero romano, alla scoperta dell’America, alla presa della Bastiglia ma al bruco che sta diventando farfalla, all’uomo di Neanderthal che sta diventando uomo Sapiens.

Siamo cioè di fronte a un salto di specie.

Il tema dell’intelligenza artificiale è nello stesso tempo controverso e aperto.

Controverso, perché ci sono posizioni totalmente opposte tra chi sostiene che l’intelligenza umana non potrà mai essere superata da quell’artificiale e chi afferma esattamente il contrario.

Contemporaneamente il tema è aperto, poiché del confronto tra intelligenze nessuno oggi e in grado di prevederne gli esiti.

Di sicuro non abbiamo maturato una coscienza dell’intelligenza artificiale, cioè le conseguenze del suo sviluppo.

A differenza di quella che Norberto Bobbio definiva “coscienza atomica” cioè la consapevolezza delle conseguenze dell’uso della bomba nucleare.

Con una diversità sostanziale: la bomba atomica è in mano agli Stati, mentre l’intelligenza artificiale è in mano soprattutto ai privati che operano con una logica totalmente diversa.

Inoltre, tutte le professioni saranno profondamente investite da questi sconvolgimenti, a cominciare da quelle di maggiore successo, come i medici e gli informatici.

Inoltre, l’intelligenza artificiale modifica il modo di pensare, in quanto, a causa della continua esposizione ai dispositivi digitali, noi umani stiamo cominciando a pensare con la logica binaria degli algoritmi.

Dobbiamo quindi “capire il mondo”, che è immerso nella disinformazione dove la verità sta da una parte e la percezione pubblica della verità esattamente dall’altra, con l’obiettivo finale della conquista della mente delle persone, che rappresenta il campo di battaglia definitivo, oltre il quale non può esserci altro .

L’intelligence quindi diventa il punto d’incontro dell’intelligenza umana, propria della nostra specie; di quella collettiva, che viene generata nella Rete; e di quell’artificiale, prodotta dagli algoritmi, in vista di quell’algoritmo definitivo, che programma se stesso senza l’aiuto umano.

Di questo già scriveva nel 2016 Pedro Domingos e proprio nelle ultime settimane ha trovato puntuale riscontro.

L’intelligence, quindi, è una forma di resistenza dell’umano, da preservare con cura.

Ci sono possibili strategie di resistenza. Tra queste l’ibridazione tra intelligenza umana e artificiale, che secondo lo studioso americano Kevin Kelly diventerà “ inevitabile”.

Oppure il rinnovato studio sui poteri nascosti della mente, quelli che venivano coltivati durante la guerra fredda dalla CIA e dal KGB .

Inoltre, la stimolazione della mente attraverso sostanze naturali o artificiali, che secondo alcuni, hanno contribuito allo sviluppo della società digitale.

Non a caso le ha descritte Steve Jobs, che nel 2007 ha cambiato il mondo inventando l’iPhone.

Infine, come ho argomentato a gennaio del 2025 su “Wired”, bisogna difendersi dagli effetti negativi dell’intelligenza artificiale con la stessa intelligenza artificiale.

Pertanto, agli algoritmi commerciali bisogna contrapporre algoritmi educativi, in modo da indurre alla riflessione e al pensiero critico, invece che all’emozione e al consumo.

Sull’educazione si gioca una partita molto importante. Un recente progetto sperimentale, i cui risultati sono di prossima pubblicazione, condotto in Nigeria per conto della Banca Mondiale da un gruppo di ricercatori guidati da Martin Elias De Simone, ha evidenziato che sei settimane di un tutor di intelligenza artificiale corrispondono a due anni di educazione tradizionale.

L’intelligence che verrà

L’Intelligence deve necessariamente occuparsi di nuove dimensioni. Oltre all’intelligenza artificiale, che rappresenta la priorità, bisogna interessarsi del disagio sociale che nei paesi occidentali potrebbe raggiungere livelli di guardia, compromettendo la stabilità delle istituzioni pubbliche.

Inoltre, la disinformazione stravolge i processi democratici e occorre contrastarla con l’educazione. Non a caso l’Eurispes, presieduta da Gian Maria Fara, l’anno scorso ha promosso il 2 Rapporto sulla scuola e l’università per porre il tema dell’educazione al centro del dibattito pubblico e culturale del nostro Paese.

Infine il sempre più assorbente dominio Cyber, che rende ancora più importanti le dimensioni sia del mare che dello spazio.

La dimensione marittima investe le nuove rotte artiche, che potrebbero rendere marginale anche il Mediterraneo, e la sicurezza dei cavi sottomarini che consentono di fare funzionare il mondo.

La dimensione dello spazio sta prefigurando un ritorno alla guerra fredda, dove agli Stati si sostituiscono e affiancano privati come Elon Musk, con Space X, e Jeff Bezos, con Blue Origin.

L’idea di Musk si può non condividere ma è estremamente chiara: l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare un pericolo mortale per l’umanità e la terra potrà essere destinata a implodere.

Pertanto, la colonizzazione di Marte potrebbe essere un’opportunità di sopravvivenza per il genere umano.

Teniamo conto che, con le attuali tecnologie, dalla terra si arriva su Marte in otto mesi.

E in prospettiva, potrebbe svilupparsi anche il teletrasporto, del resto le frontiere dell’impossibile oggi si spostano sempre più in là.

In definitiva, l’intelligence è un concetto che si allarga, come la sicurezza che rappresenta il paradigma della contemporaneità.

Il significato di un Premio

Ricordare oggi Francesco Cossiga non significa affatto revocare il passato, ma proiettarsi nel futuro, ribadendo l’importanza della qualità delle classi dirigenti e la circostanza che un uomo di Stato non può che essere un uomo di Intelligence.

Pertanto, l’intelligence andrebbe studiata nelle scuole, dove piuttosto che trasferire nozioni occorrerebbe abituare a organizzare la conoscenza, e nelle università, che non possono più essere impostate per discipline ma in relazione alla soluzione dei problemi.

Vanno quindi ribaltati i paradigmi, come si sta cercando di fare con il protocollo di intesa tra il Ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato da Giuseppe Valditara, e l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, diretta da Bruno Frattasi, in cui la conoscenza dei rischi informatici diventa la premessa per poter utilizzare le straordinarie opportunità di conoscenza che la Rete consente.

La settimana scorsa, sono stato a Napoli al “Collegio Monterone” per confrontarmi con alcuni studenti universitari.

L’ultima domanda che mi hanno posto riguardava quale consiglio dare alle future classi dirigenti.

“Studiare il futuro” mi è sembrata la risposta più utile, perché certamente il futuro non si può prevedere ma si può anticipare tenendo conto della profonda trasformazione del termine cultura, che da conoscenza del passato sta diventando la capacità di prevedere l’avvenire.

Conclusioni

Il futuro è il tempo per eccellenza dell’intelligence e si costruisce attraverso l’apprendimento e la conoscenza.

Il Premio Nobel Joseph Stiglitz ha affermato che negli ultimi due secoli la società è progredita in base all’aumento della propria capacità di apprendimento.

La conoscenza è una caratteristica umana fondamentale e per descriverla mi sembra opportuno fare riferimento a un capolavoro dell’umanità come la “Scuola di Atene”.

Nel 1508, Giulio II della Rovere, un Papa più avvezzo alla spada che all’aspersorio, chiamò in Vaticano il giovanissimo Raffaello per affrescare la sua biblioteca privata.

L’opera più nota è quella poi definita la “Scuola di Atene”, considerata un Manifesto del Rinascimento, con l’uomo al centro dell’universo.

Nell’opera ci sono decine di filosofi che dibattono e riflettono mettendo in luce l’importanza della conoscenza.

L’uomo ha il dovere di conoscere il sapere prodotto nel corso del tempo, anche le idee dell’ateo Epicuro, dello scettico Diogene, del musulmano Averroè.

L’affresco è sormontato da un cartiglio con l’iscrizione “causarum cognitio”, “conoscenza delle cause”.

Infatti l’uomo deve conoscere tutto quello che lo circonda e tutto quello che lo riguarda: come scorre il sangue nelle vene, come si muovono gli astri nel cielo.

Quindi, c’è il dovere della conoscenza, dell’intelligenza .

E l’intelligence è la forma più raffinata di intelligenza umana, perché consente di andare oltre le apparenze.


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