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Malattia e dimissioni di Papa Francesco sono cose diverse. Giovagnoli spiega perché

Se il papa reagisce al trattamento sanitario – come sembra di capire – ne conseguirà la sua guarigione (che, ovviamente, in tanti speriamo di tutto cuore). E se guarisce – come appare sempre più probabile – perché dimettersi? Il commento di Agostino Giovagnoli

Le notizie che riguardano la salute del papa sono indubbiamente importanti. Lo sono per chi vuole bene a Jose Mario Bergoglio come per i suoi nemici, per tutti i fedeli cattolici ma anche per chi non è né cattolico né cristiano. Non a caso, suscitano grande interesse anche da parte delle diplomazie e dei servizi segreti di tutto il mondo, compresi Paesi molto lontani. È un interesse acuito dal rilievo che assume oggi la figura di papa Francesco, in un momento turbolento per gli equilibri internazionali. Bene hanno fatto perciò i responsabili della comunicazione della S. Sede ad essere molto trasparenti e puntuali. Ma ad ogni notizia di malattia del papa si torna a parlare delle sue dimissioni (più esattamente: di una sua possibile rinuncia al ministero petrino). Ma a me pare un accostamento sbagliato.

Eventuali peggioramenti della sua salute che facciano temere per la sua vita – ma non è questo il caso – e dimissioni sono infatti due cose diverse. In questi giorni, i medici sono stati molto chiari: la polmonite bilaterale è certamente in sé una malattia grave, anche in considerazione dell’età del paziente; si temono inoltre – oggi un po’ meno – complicazioni che possono interessare altri organi (infezioni) o conseguenze sul cuore. Ma se queste non si verificano e se il papa reagisce al trattamento sanitario – come sembra di capire – ne conseguirà la sua guarigione (che, ovviamente, in tanti speriamo di tutto cuore). E se guarisce – come appare sempre più probabile – perché dimettersi?

Tra malattia e dimissioni ci sarebbe un legame plausibile nel caso di eventuali conseguenze inabilitanti per papa Francesco che impediscano del tutto o ostacolino fortemente l’esercizio del suo ministero. È infatti ciò che ipotizza il card. Gianfranco Ravasi, che in questi giorni ha molto insistito sull’ipotesi dimissioni del Papa, legandole a una “difficoltà strutturale che riguarda una funzione vitale fondamentale come il respiro”. Che il papa abbia avuto difficoltà a parlare si spiega con la bronchite e con la polmonite, ma se la malattia più grave di cui sta soffrendo è la polmonite bilaterale, perché in caso di guarigione dovrebbe restare comunque compromessa la funzione vitale del respiro? Non a caso, da parte dei medici non è stata finora avanzata alcuna ipotesi in questo senso.

Il card. Ravasi propone inoltre un paragone con Benedetto XVI di cui scrive: “Una decina di giorni prima di dare l’annuncio [delle sue dimissioni] mi disse che la mente andava bene ma era il corpo a non farcela più”. E aggiunge che la motivazione per continuare tante volte ripetuta da Francesco – “si governa con la testa e non con le gambe” – non basterebbe più: un conto è un problema al ginocchio, “ma se uno sente che il corpo intero è in difficoltà è diverso”. Non sembra però questo il caso: in questi giorni, tutti coloro che hanno avuto contatti con lui, testimoniano che l’umore di papa Francesco è buono e riportano frasi ironiche su chi lo dipinge in gravi condizioni. Mentre Benedetto XVI, stando a quanto riporta proprio il card. Ravasi, “sentiva di non essere più in grado” di “sostenere un’agenda fitta di incontri, di viaggi”. Dimissioni del papa sono, alla breve, improbabili. E non solo perché questo è l’anno del Giubileo, per cui a un papa esausto – come non sembra oggi Francesco – sarebbe più facile farsi da parte solo dopo la conclusione di questo anno speciale.

C’è molto di irrazionale nelle emozioni che suscitano sempre le notizie sulla malattia del papa. Sono emozioni che spesso si diffondono tra chi è estraneo alle vicende della Chiesa e le guarda da lontano: secoli di storia, infatti, hanno depositato sulla figura del papa l’immagine di un’autorità superiore a tutte le altre e l’ipotesi di “sede vacante” – qualunque ne sia la ragione – può trasmettere a chiunque incertezza e inquietudine. Naturalmente, a queste emozioni si mischiano anche attenzioni molto più interessate. C’è chi sottolinea quelle degli avversari di Francesco all’interno della Chiesa. L’epicentro del fronte a lui contrario viene collocato nella Chiesa degli Stati Uniti. Più che un’avversione ecclesiale, però, sembra trattarsi di un’ostilità politica che – come sempre – ha anche influenze all’interno della Chiesa. Oggi, dopo l’elezione di Trump, negli Stati Uniti tutte le polarizzazioni si sono molto acuite e anche tra i vescovi cattolici non tutti condividono talune posizioni dell’attuale pontefice. Al tempo stesso, però, i vescovi americani hanno preso le distanze dalla “deportazioni” di immigrati annunciate dal presidente e una recente inchiesta attribuisce a molti fedeli cattolici di questo Paese grande ammirazione verso papa Francesco.


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