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La sveglia per l’Europa è già suonata, ora bisogna alzarsi. Scrive Shekhovtsov

Di Anton Shekhovtsov

Se l’Europa vuole affermarsi nella nuova era, deve evolversi in una vera unità politica, una Federazione Europea, capace di stare al passo con la velocità e la connettività dell’era digitale. L’intervento del politologo Anton Shekhovtsov, fondatore del Centre for Democratic Integrity a Vienna e docente alla Central European University

Negli ultimi anni, l’Europa è stata invitata a “svegliarsi” per una serie di motivi: cambiamenti climatici, stagnazione economica, dipendenza energetica, populismi di destra, scarsa innovazione, incapacità di difendersi autonomamente.

Eppure, pochi di questi richiami hanno portato ad azioni concrete. La colpa? Forse della tecnologia moderna. Un tempo, una sola sveglia decideva il nostro destino: alzarsi o restare a letto. Oggi, con gli smartphone che offrono infinite possibilità di rimandare l’allarme, è diventato difficile capire quale suono significhi davvero che è ora di agire.

Un’Europa bloccata nel “rinvio”

Soprattutto in ambito sicurezza, l’Europa è rimasta intrappolata in un ciclo di rinvii sin dai tempi dell’amministrazione Obama. Ha ignorato il “pivot to Asia” degli Stati Uniti, che segnalava chiaramente lo spostamento del focus di Washington dalla sfera europea a quella cinese.

Ha accettato di essere marginalizzata nella guerra civile siriana – un conflitto esploso alle sue porte – contribuendo così alla crisi migratoria e all’ascesa dell’Isis.

La sua risposta all’annessione della Crimea e all’invasione del Donbass da parte della Russia è stata talmente debole da incoraggiare ulteriori aggressioni. E persino dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina, alcuni Stati europei – in primis la Germania – hanno aumentato invece di ridurre la loro dipendenza dall’energia russa con il Nord Stream 2.

Nonostante i segnali già ai tempi di Barack Obama, l’Europa ha visto l’isolazionismo americano della presidenza Trump come un’anomalia passeggera, senza cogliere che il successivo mandato di Biden non ha invertito la tendenza al disimpegno globale degli Stati Uniti.

E per anni – fino all’aggressione russa all’Ucraina tre anni fa – solo una manciata di membri della NATO rispettava il requisito del 2% del PIL per la spesa in difesa.

Dall’ansia al panico

In vista della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2025 – un evento che ha diffuso apprensione in tutta Europa – il presidente francese Emmanuel Macron ha definito il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca come un vero e proprio “elettroshock”, esortando l’Europa a prendere in mano il proprio destino e quello dell’Ucraina.

Il passaggio retorico da un semplice “richiamo al risveglio” a uno “shock elettrico” è significativo: forse l’Europa non ha più bisogno di una sveglia, ma di una defibrillazione metaforica o persino di una terapia d’urto radicale.

Ma mentre Macron e altri leader europei attendevano gli interventi dei rappresentanti statunitensi, il timore non era tanto il solito discorso incendiario del vicepresidente americano JD Vance. La vera minaccia – come paventava il direttore della conferenza, Christoph Heusgen – era l’annuncio di un massiccio ritiro delle truppe americane dall’Europa. Non più solo ansia, ma panico.

Eppure, ancora una volta, gli Stati Uniti hanno scelto di inviare – intenzionalmente o meno – un segnale più morbido sulla necessità urgente che l’Europa si assuma la propria sicurezza. Il tono del messaggio, condito di lamentele, aneddoti e offese, non deve però distrarre i leader europei dal suo significato sostanziale.

C’è speranza che l’Europa compia passi decisivi verso il suo “risveglio”: espandere le forze armate, modernizzare le basi militari, rilanciare il settore della difesa, potenziare le infrastrutture logistiche e sviluppare alternative europee ai sistemi GPS.

Le lezioni di un passato diviso

Ma il problema dell’Europa non è solo il mutamento della politica estera statunitense o la crescente minaccia russa. Siamo in un interregno: un’epoca di transizione tra il crollo del vecchio ordine e l’emergere di uno nuovo. Affrontare questa fase non significa solo aumentare la spesa militare, ma sviluppare una visione strategica su quale debba essere il ruolo dell’Europa in un mondo in rapido cambiamento.

Scrivendo a Vienna un secolo fa, durante uno dei grandi interregni del Novecento, Richard von Coudenhove-Kalergi – tra i pionieri dell’integrazione europea – osservava che un’Europa insicura cercava la propria salvezza nella Russia o nell’America: la prima voleva conquistarla, la seconda comprarla. L’unica via per un futuro sicuro, insisteva, era il progetto di una “Pan-Europa”, un’unione politica ed economica fondata sull’autosufficienza.

Oggi, quell’alleanza esiste sotto forma di Unione Europea, ma le sfide restano le stesse.

E c’è un punto da considerare: nella storia, ogni processo di unificazione politica è stato plasmato dai mezzi di comunicazione dominanti dell’epoca. L’Impero Romano si fondava sulle strade; gli Stati nazionali europei sulla stampa; il telegrafo e le ferrovie furono cruciali per l’unificazione italiana e tedesca. L’Unione europea attuale è nata nell’era del telegrafo, del telefono e della radio – tecnologie del secolo scorso.

Se l’Europa vuole affermarsi nella nuova era, deve evolversi in una vera unità politica, una Federazione Europea, capace di stare al passo con la velocità e la connettività dell’era digitale. Senza questa trasformazione, rischia di rimanere ancorata al passato e di essere sempre più marginalizzata sulla scena globale, indipendentemente da quanti “elettroshock” riceverà.


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