L’annuncio di un vertice straordinario da parte della presidenza del Kenya al momento fissato per l’8 febbraio che vedrà l’incontro della Comunità dell’Africa orientale (Eac) e della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc) a Dar es Salaam, in Tanzania, è un ulteriore e piccolo passo verso una possibile stabilizzazione. L’intervento di Salvatore Latino, prorettore vicario dell’Université Catholique du Graben (RDC)
La notizia del cessate il fuoco “per motivi umanitari” nel nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo fa ben sperare. Nonostante la breve e fragile tregua si potrebbero aprire ulteriori vie diplomatiche e spiragli di pace più duraturi nella già martoriata regione.
L’annuncio di un vertice straordinario da parte della presidenza del Kenya al momento fissato per l’8 febbraio che vedrà l’incontro della Comunità dell’Africa orientale (Eac) e della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc) a Dar es Salaam, in Tanzania, è un ulteriore e piccolo passo verso una possibile stabilizzazione. I continui appelli di Papa Francesco, dei vescovi congolesi e della presidenza della Conferenza Episcopale Italiana e delle organizzazioni internazionali ed umanitarie rafforzano la voglia e la volontà di pace che alberga nella mente e nei cuori della gente di questo Paese ricco di risorse nel cuore dell’Africa.
La comunità universitaria di Butembo-Beni guarda con apprensione gli eventi che si susseguono. Sono tanti e diversi gli studi e le ricerche condotte in questi anni dagli studenti dell’Université Catholique du Graben tese ad accendere i riflettori su un territorio che può trovare una via allo sviluppo che passa proprio dalla formazione universitaria in loco, ma anche dai progetti di cooperazione interuniversitaria che abbiamo già posto in essere con gli atenei italiani, europei e africani e su cui concentreremo la nostra attenzione.
La pace e la sicurezza si costruisce a vari livelli: esiste una via politico-diplomatica, ma anche culturale e sociale che passa per la costruzione di una classe dirigente in tutti i settori del vivere civile. Ogni anno le facoltà di Medicina, di Ingegneria, di Economia, di Farmacia, di Agraria, di Veterinaria, di Scienze Politiche e Sociali e di Diritto sviluppano progetti di ricerca con l’obiettivo di far emergere le necessità di un territorio che è anche espressione di una Regione e di un Paese. Qui si tratta di valutare l’impatto dei conflitti armati sullo sviluppo economico delle aree rurali del Nord Kivu, comprendere le dinamiche agricole dei mercati locali e dare risposte sulla stessa scia dei grandi personaggi, imprenditori e politici, che hanno fatto l’Italia. Penso a Enrico Mattei, Giorgio La Pira, Adriano Olivetti.
I conflitti armati rallentano la produzione agraria e il commercio locale ne risente. La già fragile micro-economia congolese viene letteralmente sconvolta da queste situazioni di conflitto continuo. Senza dubbio la geopolitica è importante e tutto deve essere inquadrato in un mondo dove gli scenari, anche di conflitto, sono interconnessi. L’influenza cinese nel continente africano e gli interessi esterni e interni che ruotano dentro e fuori a questo Paese sono sicuramente molteplici e variegati, ma è alla popolazione che occorre guardare: alla situazione sanitaria che chiede di arginare i rischi di epidemie di vario genere fino a quelle più elementari che vanno dalla profilassi antibiotica alle malattie cardiache. Le problematiche legate all’alimentazione nei bambini, ma semplicemente offrire informazioni e formazione utile a medici e personale infermieristico alla pratica quotidiana della professione, l’assistenza sanitaria e psicologica per i bambini rimasti orfani per via della guerra.
La lista potrebbe essere lunga e alla sanità, all’agricoltura, all’istruzione e alla mancanza di infrastrutture va aggiunta l’attenzione a quelle professionalità tecniche che vanno accompagnate proprio per stimolare, quelli che potremmo definire micro-mercati localizzati. In questo la cooperazione internazionale interuniversitaria potrebbe essere d’aiuto nel solco di una reciprocità e di uno scambio di professionalità concrete con ricadute per tutti i soggetti coinvolti, compresi atenei europei e italiani senza dimenticare la cooperazione anche con atenei del continente africano. Per questo occorre inserire la Repubblica Democratica del Congo tra i paesi prioritari per l’Italia, pensare a una “Scuola delle professioni tecniche” come geometri, ragionieri e periti tecnici e una “Scuola delle arti e dei mestieri” come ad esempio meccanici, elettricisti, termoidraulici, operatori agricoli che sappiano lavorare con prodotti italiani ed europei per favorire condizioni di sviluppo economico e sociale utile anche ad aprire mercati alle aziende europee e per bilanciare un monopolio di fatto cinese.
La Repubblica Democratica del Congo e il Nord Kivu non chiedono di scommettere su quel territorio lacerato e sulla gente sofferente. Da noi europei e italiani non vogliono aiuti a pioggia, ma vogliono essere messi in condizione di potersi aiutare da soli affinché i loro progetti possano essere supportati con le competenze adeguate, non con una logica predatoria o neocolonialista, ma con l’arricchimento reciproco ovvero con la condivisione di quel cum patire, quel saper soffrire insieme che non è commiserazione, ma vuol dire chinarsi su chi è in difficoltà per sostenerlo ad andare avanti.