A pochi giorni dall’insediamento di Trump, la sua politica verso Pechino appare chiara: un approccio nazionalista per proteggere gli interessi americani con misure come dazi e restrizioni sui semiconduttori. Bruxelles cerca di mantenere aperti i canali di cooperazione. Ma la strategia di Washington e il focus sulle dinamiche bilaterali rendono difficile un’agenda transatlantica condivisa, spiega Stec
A pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, stanno emergendo segnali chiari sulla sua politica verso la Cina: un approccio unilaterale e nazionalista, con scarso riguardo per l’Europa. Proprio come accaduto durante la prima amministrazione. Sembra questa la principale differenza tra il nuovo governo di Washington e quello dell’ex presidente Joe Biden che aveva come strategia il coinvolgimento degli alleati e dei partner like-minded per contenere l’espansionismo cinese.
In una telefonata con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, Marco Rubio, nuovo segretario di Stato americano, ha ribadito l’impegno dell’amministrazione nei confronti degli alleati indo-pacifici, sottolineando al contempo che le relazioni con Pechino saranno guidate dal principio di mettere “gli interessi americani al primo posto”. Le prime mosse di Trump confermano questa linea: il rinvio del divieto su TikTok per consentire una vendita a società statunitensi, la minaccia di nuovi dazi contro la Cina a partire dal 1° febbraio, e possibili restrizioni sui semiconduttori che colpirebbero Taiwan e altri alleati americani. Inoltre, ha giustificato le sue rivendicazioni su aree strategiche come il Canale di Panama e la Groenlandia con la necessità di contrastare l’influenza cinese ma dando di fatto un’altra ragione a Pechino per le sue rivendicazioni su Taiwan (così come a Mosca per l’Ucraina).
Nessuna di queste iniziative lascia presagire un rafforzamento della cooperazione transatlantica, pur auspicata dalla Commissione europea. Quest’ultima ha preparato proposte per una collaborazione con gli Stati Uniti su questioni legate alla Cina, come il contrasto alle distorsioni di mercato, ma finora l’amministrazione Trump non ha mostrato alcun interesse. Le priorità dell’Unione europea quando si tratta di Cina – dalla difesa dell’ordine internazionale basato sulle regole alle iniziative ambientali e alla lotta alla disinformazione – sembrano destinate a passare in secondo piano di fronte alla politica transazionale e personalistica di Trump. Emblematico è il suo recente colloquio con Xi Jinping, in cui ha chiesto il supporto di Pechino per porre fine all’invasione russa in Ucraina.
Secondo Grzegorz Stec, direttore dell’ufficio di Bruxelles del think tank tedesco Merics, “l’agenda transatlantica sulla Cina probabilmente si restringerà, ma resta cruciale”. Con la definizione delle priorità di Trump nei confronti di Pechino, l’Unione europea dovrà ridefinire le modalità di coordinamento possibili. Per Stec, l’obiettivo immediato dovrebbe essere quello di rafforzare il dialogo a livello tecnico con gli Stati Uniti, soprattutto su temi come le distorsioni di mercato e i controlli sulle esportazioni, ambiti in cui una collaborazione concreta resta ancora fattibile.