Il 2025 si apre con una Cina in difficoltà economica, mentre gli Stati Uniti intensificano la loro strategia di contenimento. Washington, consapevole della vulnerabilità di Pechino, rafforza il controllo sulle catene di approvvigionamento tecnologico, aumenta la pressione nel Mar Cinese Meridionale e consolida le alleanze nell’Indo-Pacifico. L’analisi del generale Pasquale Preziosa
Il 2025 si apre con una Cina in difficoltà, proprio nell’anno previsto per celebrare il made in China. L’onda lunga della crisi economica, iniziata con il crollo del settore immobiliare e la fuga degli investimenti esteri, ha minato le certezze sulla sostenibilità economica del Partito comunista cinese. La disoccupazione giovanile è in crescita e le tensioni sociali si fanno più evidenti.
L’amministrazione cinese dovrà mitigare il rischio di malcontento nella popolazione, impiegando i soliti strumenti di censura e repressione e incentiverà un nazionalismo più aggressivo. Pertanto, nelle province interne aumentano i controlli e le purghe anticorruzione, mentre, sul piano geopolitico, Pechino intensificherà le operazioni nel mar Cinese Meridionale, con pressioni su Taiwan e rafforzerà la sua presenza navale nell’Artico e nell’oceano Indiano.
La partita con gli Stati Uniti è più aperta che mai, e Washington è consapevole che il momento è favorevole per perseguire i suoi obiettivi strategici. Gli Usa, consapevoli della vulnerabilità attuale della Cina, si stanno muovendo su più fronti, evitando però di oltrepassare la linea rossa che potrebbe condurre a un conflitto diretto.
Il 2025 rappresenta un anno simbolico per la Cina: dieci anni prima, Pechino aveva lanciato il programma Made in China 2025, con l’obiettivo di trasformare il Paese da una grande manifattura a una potenza industriale avanzata. Il piano mirava a raggiungere l’autosufficienza in settori strategici come la robotica, l’intelligenza artificiale e i veicoli elettrici, riducendo la dipendenza dalla tecnologia occidentale.
Tuttavia, l’attuale situazione economica sta mettendo a rischio il pieno raggiungimento di questi obiettivi. L’indice Pmi manifatturiero ufficiale è sceso a 49,1 a gennaio 2025, segnalando una contrazione dell’attività industriale. Inoltre, i profitti industriali hanno registrato un calo del 10% su base annua, evidenziando una stagnazione che Pechino non aveva previsto.
Queste difficoltà sono aggravate dalla crisi immobiliare persistente, dalle pressioni deflazionistiche e dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti, che imporranno nuovi dazi sulle importazioni cinesi. Nonostante ciò, alcuni settori hanno registrato progressi significativi: i veicoli elettrici e le energie rinnovabili hanno superato le aspettative, consolidando il vantaggio cinese in queste aree.
Sebbene la Cina abbia ottenuto risultati importanti in alcuni comparti, le attuali sfide economiche potrebbero influenzare la piena realizzazione degli obiettivi del Made in China 2025, lasciando il Paese in una posizione più vulnerabile rispetto alle aspettative iniziali.
Gli USA stanno sviluppando le loro mosse su almeno due piani: economico e militare.
Sul piano economico, gli Stati Uniti restringeranno ulteriormente le esportazioni di tecnologie chiave, in particolare semiconduttori avanzati e strumenti industriali necessari per la loro produzione, impedendo così alla Cina di accedere a componenti essenziali per la sua industria dell’intelligenza artificiale e della difesa. Parallelamente, Washington incentiverà il trasferimento delle catene di approvvigionamento fuori dalla Cina, favorendo India, Vietnam e Messico.
Sul fronte delle materie prime critiche, in particolare le terre rare, risorsa vitale per l’industria tecnologica globale, gli Stati Uniti, insieme ad Australia e Canada, aumenteranno la produzione di questi materiali, riducendo la dipendenza occidentale dal monopolio cinese e privando Pechino di un’arma geopolitica che ha spesso utilizzato nel recente passato.
Sul piano militare, Washington rafforzerà ulteriormente la sua presenza nel Pacifico. Le portaerei americane intensificheranno i pattugliamenti nelle acque contese del mar Cinese Meridionale, affiancate dalle forze navali di Giappone, Australia e Filippine. In risposta all’aumento delle esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan, gli Stati Uniti incrementeranno la fornitura di armamenti avanzati a Taipei, mantenendo però un equilibrio tale da non provocare un’invasione cinese. La strategia di Washington sarà ancora più chiara: fornire a Taiwan gli strumenti per difendersi senza superare la soglia critica che potrebbe scatenare una guerra.
Nel XXI secolo, le guerre si combattono sempre più nell’infosfera e nel cyberspazio. L’intelligence americana potrà intensificare le operazioni di infiltrazione nelle reti sociali cinesi, amplificando il malcontento della popolazione per la crisi economica e le proteste per i salari non pagati. Le violazioni dei diritti umani in Xinjiang e Tibet torneranno al centro del dibattito internazionale, alimentando pressioni diplomatiche su Pechino e rafforzando la narrativa occidentale contro il regime cinese.
L’India, consapevole della situazione, potrà rafforzare le sue posizioni lungo il confine himalayano, mentre il Quad (USA, India, Giappone, Australia) diventerà una piattaforma sempre più attiva di contenimento della Cina.
Nel Sud-Est asiatico, Washington ha trova un nuovo alleato: il Vietnam. Hanoi, da sempre diffidente nei confronti di Pechino, intensifica la cooperazione con gli Stati Uniti, vedendo in loro una protezione contro le pressioni cinesi nel Mar Cinese Meridionale. Anche Indonesia e Malesia si stanno avvicinano alla sfera americana, spinte dalla necessità di bilanciare il potere cinese nella regione.
Nel frattempo, gli Stati Uniti continueranno a esercitare pressione sia sulla Russia che sull’Iran. Sul fronte russo, prolungare la guerra in Ucraina obbliga Mosca a dipendere sempre più da Pechino, riducendone quindi l’autonomia strategica. Sul fronte iraniano invece, Washington potrà intensificare le sanzioni per evitare che Teheran possa fornire alla Cina un accesso privilegiato alle sue risorse energetiche, fondamentali per sostenere la sua economia in crisi.
Il 2024 si è chiuso con una Cina ancora in difficoltà, costretta a modernizzare le sue forze armate e a rafforzare la repressione interna senza scatenare rivolte con un supporto più contenuto da parte dell’Occidente.
Gli Stati Uniti, nel frattempo, continueranno a perseguire la loro strategia di contenimento della Cina senza dover ricorrere a un confronto militare diretto.
Il Pacifico rimane il teatro del più grande scontro geopolitico del secolo, ma la guerra resta fredda. Per Washington, ogni anno in cui la Cina è costretta sulla difensiva è un anno di vantaggio nella competizione per la supremazia globale.