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De Gasperi e la lezione della storia per l’Europa di oggi. L’analisi di Caruso

Di Ivan Caruso

In queste settimane, mentre i titoli di giornale riportano le tensioni fra Stati Uniti e Russia, e il governo italiano appare diviso sulla direzione da prendere tra autonomia europea e fedeltà atlantica, vale la pena guardare al passato per trovare una bussola. Nel 1948, l’Italia affrontò un dilemma sorprendentemente simile: aderire al nascente Patto Atlantico o perseguire una via neutrale. Alcide De Gasperi, contro un’opinione pubblica spesso scettica e una classe politica divisa, fece una scelta che avrebbe definito il destino dell’Italia per i decenni successivi. L’analisi del gen. Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi

Quando si parla di decisioni storiche che definiscono il destino di una nazione, il confronto tra l’adesione dell’Italia alla Nato nel 1949 e l’attuale dibattito sull’autonomia strategica europea rivela sorprendenti parallelismi. In entrambi i casi, l’Italia si è trovata a un bivio, con una classe politica divisa e un’opinione pubblica scettica.

Nel 1948-49, Alcide De Gasperi e Carlo Sforza dovettero affrontare un’Italia prostrata dal dopoguerra e una situazione internazionale sempre più polarizzata. All’interno del loro stesso partito, la Democrazia Cristiana, figure come Dossetti, Gui e Del Bo esprimevano forti dubbi sull’adesione al Patto Atlantico. I partiti di sinistra erano fermamente contrari, organizzando manifestazioni di massa contro quello che vedevano come un allineamento con l’imperialismo americano. Persino il Vaticano, inizialmente, aveva espresso preferenza per una posizione di neutralità.

Eppure, De Gasperi capì che l’isolamento avrebbe significato marginalità. Come ebbe a dire lui stesso: “Ma chi ci aiuterebbe mai se posti innanzi all’invito di accedere a una solidarietà collettiva ci fossimo rifiutati egoisticamente di respingere ogni rischio comune?” La sua visione andava oltre il consenso immediato; guardava alla collocazione dell’Italia nel nuovo ordine mondiale che si stava delineando.

È significativo notare come, nel corso degli anni, anche chi si era opposto alla Nato finì per riconoscerne il valore. Emblematico fu il caso di Enrico Berlinguer che, in una celebre intervista a Giampaolo Pansa, dichiarò di sentirsi “più garantito sotto l’ombrello del Patto Atlantico”. Una testimonianza di come, al di là delle posizioni ideologiche, la sicurezza nazionale rappresenti un valore fondamentale per qualsiasi forza politica responsabile.

Oggi, il governo Meloni si trova davanti a un dilemma simile. L’amministrazione Trump ha ridefinito apertamente le priorità strategiche americane, privilegiando l’Indo-Pacifico e lasciando all’Europa maggiori responsabilità per la propria difesa. La telefonata tra Trump e Putin e il controverso discorso del vicepresidente Vance alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco indicano un cambiamento epocale nelle relazioni transatlantiche.

Come nel dopoguerra, l’opinione pubblica italiana sembra divisa e confusa. Secondo i sondaggi Ipsos citati da Fubini, il 57% degli italiani non si sente schierato né con la Russia né con l’Ucraina, mentre una maggioranza relativa si dice contraria al piano ReArm Europe. Gli italiani temono che il rafforzamento della difesa europea avvenga a spese delle pensioni o della sanità, proprio come nel 1949 temevano che l’adesione alla Nato avrebbe significato un coinvolgimento in nuovi conflitti.

Ma proprio come allora, la realtà geopolitica non aspetta il consenso popolare. L’Europa si trova di fronte alla sfida più importante dalla fine della Seconda guerra mondiale: trasformare una crisi esistenziale in un’opportunità di rinnovamento strategico.

Il costo della neutralità oggi, come nel 1949, sarebbe l’irrilevanza. O l’Europa trova la forza di diventare un attore geopolitico autonomo e credibile, o rischia di essere relegata a teatro di competizione tra potenze globali.

La lezione della storia è chiara: ci sono momenti in cui la leadership politica deve trascendere il calcolo elettorale. De Gasperi ebbe il coraggio di guardare oltre l’orizzonte immediato, nonostante le forti resistenze interne. La sua decisione posizionò l’Italia come membro fondatore del Patto Atlantico, aprendo la strada alla partecipazione italiana a tutte le successive iniziative occidentali, compreso il processo di integrazione europea.

Oggi, come allora, la vera sfida per la classe politica italiana non è seguire i sondaggi, ma plasmare il futuro della nazione con decisioni coraggiose. L’autonomia strategica europea non è solo una questione di spesa militare, ma di visione e determinazione, come l’Alleanza Atlantica non è mai stata solo un’organizzazione militare, ma una comunità di valori fondata sui “principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto”.

Nella storia delle nazioni, i veri statisti si distinguono per la capacità di prendere decisioni difficili quando sono necessarie, anche contro il sentimento popolare del momento. La sfida per i leader di oggi è la stessa che affrontò De Gasperi: trasformare l’incertezza in opportunità, garantendo all’Italia un posto di rilievo nel futuro dell’Europa e dell’Occidente.

Non sono momenti facili, ma non lo era neanche il 1948. La differenza la farà, come sempre, il coraggio della leadership.


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