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Il vicepresidente Vance traccia la via del rilancio industriale americano

All’American Dynamism Summit organizzato da Andreessen Horowitz, il vicepresidente JD Vance ha tenuto un discorso che ogni innovatore, investitore e imprenditore dovrebbe ascoltare con attenzione

Il messaggio centrale del vicepresidente statunitense, JD Vance, è chiaro: il futuro della forza americana dipende dalla capacità di innovare, produrre e costruire tecnologie avanzate all’interno dei confini nazionali.

Vance ha sfatato il mito secondo cui manifattura e innovazione sarebbero in conflitto, sostenendo invece che il declino industriale degli Stati Uniti è frutto di scelte politiche sbagliate, non del progresso tecnologico. Ha rilanciato la necessità di investire in automazione, robotica e intelligenza artificiale per rafforzare la competitività manifatturiera.

Il vicepresidente ha inoltre sottolineato l’urgenza di ricostruire industrie strategiche come semiconduttori e biotecnologie, rafforzando le filiere interne. E ha indicato una nuova fase di politica industriale attiva, dove dazi, incentivi fiscali e deregolamentazione diventano strumenti per rilanciare l’economia produttiva.

Per il venture capital, non si tratta di retorica: è un cambiamento strutturale che apre opportunità concrete. L’American Dynamism è tornato — e rappresenta un orizzonte d’investimento per chiunque nel mondo. Di seguito pubblichiamo l’intero intervento.

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È fantastico parlare dell’importanza del dinamismo americano e di ciò che la nostra amministrazione farà per sostenere molte delle aziende più innovative e affascinanti del Paese. So che voi lavorate sodo ogni singolo giorno. E credo che ci siano buone notizie, giusto? Da un paio di mesi avete un’amministrazione che collabora con voi e agevola il vostro duro lavoro, invece di rendere più difficile innovare, che è, credo, ciò che ha fatto l’amministrazione precedente. Anche se, in difesa di Joe Biden, dormiva per la maggior parte del tempo. Non penso si rendesse davvero conto di ciò che stava facendo, ma di certo non ha facilitato il lavoro dei nostri innovatori.

Abbracciare tecnologia e innovazione
Ora, come alcuni di voi avranno visto, e come dicevo a Ben dietro le quinte, ho parlato a una conferenza a Parigi il mese scorso, dove ho rivolto il mio messaggio a un gruppo di CEO e leader stranieri: dobbiamo affrontare il futuro a testa alta. Non dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale. E in particolare per chi, come noi, ha la fortuna di essere americano, non dobbiamo temere le nuove tecnologie produttive. Anzi, dovremmo puntare a dominarle.

Ed è esattamente ciò che questa amministrazione vuole ottenere. Presumo che la maggior parte di voi qui dentro la pensi allo stesso modo. E se non è così, non capisco perché siate alla conferenza sul dinamismo americano.

Ho ricevuto qualche critica da chi è preoccupato per gli effetti dirompenti dell’IA. Un giornalista ha detto che il mio discorso metteva in evidenza la tensione tra i “tecno-ottimisti” e la destra populista della coalizione del Presidente Trump. Oggi voglio affrontare queste tensioni come membro orgoglioso di entrambe le tribù.

Riconciliare tecnologia e populismo
Detto semplicemente, anche se si tratta di una preoccupazione benintenzionata, penso si basi su un presupposto errato. L’idea che chi sostiene l’innovazione tecnologica e i populisti siano destinati a scontrarsi è sbagliata. In una società dinamica, la tecnologia avanzerà, è naturale.

Parlando da cattolico, penso alle parole iniziali dell’enciclica Laborem Exercens di Giovanni Paolo II:
Attraverso il lavoro, l’uomo deve guadagnarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso della scienza e della tecnica, e soprattutto all’elevazione costante del livello culturale e morale della società in cui vive.

Cito il Santo Padre non solo perché lo ammiro, ma anche perché aveva capito che, in un’economia sana, la tecnologia deve valorizzare il lavoro umano, non sostituirlo. Oggi si ha troppa paura che l’IA elimini i posti di lavoro, invece di potenziare ciò che facciamo.

La tecnologia valorizza il lavoro
Negli anni ’70, molti temevano che il bancomat avrebbe sostituito i cassieri. In realtà, il bancomat li ha resi più produttivi. Oggi nel settore dei servizi finanziari lavorano più persone rispetto al momento dell’introduzione del bancomat. Certo, fanno lavori diversi. Ma sono più interessanti e meglio pagati rispetto agli anni ’70.

Quando innoviamo, sì, a volte disturbiamo il mercato del lavoro. Succede. Ma la storia dell’innovazione americana mostra che tendiamo a rendere le persone più produttive e ad aumentare i loro salari. E tutti noi consideriamo questo un bene.

Chi potrebbe dire che l’invenzione del transistor, del tornio in metallo o della macchina a vapore ha reso l’uomo meno produttivo? La vera innovazione ci rende più produttivi, ma dà anche dignità ai lavoratori, alza il nostro tenore di vita, rafforza il valore del lavoro. E come americani, dobbiamo essere fieri di questo straordinario patrimonio: l’eredità di essere inventori e, ancora oggi, i principali protagonisti della ricerca e dello sviluppo mondiale.

Il ruolo che la tecnologia gioca nel mercato del lavoro, e il modo in cui accogliamo le innovazioni con entusiasmo o con timore, dipende dallo scopo stesso del nostro sistema economico. Ed è qui che i populisti hanno un punto importante.

Non dovrebbe sorprendere che, quando delocalizziamo gran parte della nostra base industriale, smettiamo anche di creare cose interessanti qui in patria. Guardiamo, ad esempio, alla cantieristica navale. Durante la Seconda guerra mondiale, l’America costruì migliaia di cosiddette liberty ship per trasportare truppe, merci e altro, a un ritmo di tre navi ogni due giorni. Oggi, negli Stati Uniti, costruiamo circa cinque navi commerciali in un intero anno.

Il risultato è che gli Stati Uniti rappresentano oggi lo 0,1%, cioè un decimo dell’1%, della cantieristica navale globale. La Cina, invece, produce più navi commerciali di tutto il resto del mondo messo insieme. Una delle aziende statali di Pechino ha costruito, solo lo scorso anno, più navi commerciali di quante l’America abbia prodotto dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi.

Dunque, anche se restiamo i leader in tecnologia e innovazione, ci sono segnali preoccupanti all’orizzonte. E sollevo questo tema per chiedere: sembra forse che la Cina, parlo del regime cinese, rinuncerà all’opportunità di usare l’intelligenza artificiale o qualsiasi altra tecnologia per promuovere i propri interessi e danneggiare quelli dei suoi rivali? Mi sembra che la risposta sia ovvia.

Ed è per questo che l’America deve essere all’avanguardia nella tecnologia. Sì, ci sono preoccupazioni. Sì, ci sono rischi. Ma dobbiamo affrontare il futuro dell’intelligenza artificiale con ottimismo e speranza, perché credo che la vera innovazione tecnologica renderà il nostro Paese più forte.

La deindustrializzazione comporta rischi sia per la nostra sicurezza nazionale che per la nostra forza lavoro. È importante perché riguarda entrambe le cose. E il risultato netto è la privazione, per molti americani, di ogni ruolo nel processo produttivo. Quando le nostre fabbriche scompaiono e i lavori vanno all’estero, i lavoratori americani si ritrovano non solo con un’insicurezza economica, ma anche con una profonda perdita di identità personale e collettiva.

E quindi, per tornare alla presunta tensione tra populisti e tecno-ottimisti, posso capire una certa diffidenza quando si parla del potenziale rivoluzionario di nuove invenzioni, intelligenza artificiale e tutte le incredibili tecnologie su cui lavorate.

Ma penso che questa tensione sia un po’ esagerata. E allora torno a ciò che divide, in parte, alcuni dei tecno-ottimisti e dei populisti nella nostra coalizione. Credo che i populisti, guardando al futuro e paragonandolo al passato, vedano l’alienazione dei lavoratori dai propri mestieri, dalle proprie comunità, dal senso di solidarietà. Vedano l’alienazione delle persone dal proprio scopo nella vita. E, cosa importante, vedano una classe dirigente convinta che un sussidio possa sostituire un lavoro e che un’applicazione sul telefono possa rimpiazzare il senso del dovere.

Mi ricordo una cena nella Silicon Valley, in particolare, ai tempi in cui lavoravo nel settore tecnologico, io e mia moglie eravamo seduti con alcuni dirigenti delle principali aziende tech americane. Era il 2016 o il 2017, più o meno. Stavo parlando della mia preoccupazione reale che l’America stesse andando verso un modello in cui non si riusciva più a sostenere una famiglia di classe media con salari di classe media. E anche nel caso in cui si riuscisse a sostituire l’aspetto finanziario del lavoro, si rischiava di distruggere qualcosa di dignitoso e significativo che il lavoro rappresentava.

E mi ricordo che uno dei CEO presenti, un nome che tutti conoscete, a capo di un’azienda multimiliardaria, disse: “In realtà non mi preoccupa la perdita di senso quando le persone perdono il lavoro.” E io risposi: “Ok, e cosa pensi possa sostituire quel senso di scopo?” E lui: “Giochi digitali completamente immersivi.” Mia moglie mi mandò un messaggio sotto il tavolo: “Dobbiamo andarcene subito. Questi sono fuori di testa.”

Ora, non credo che le opinioni di quel CEO rappresentino quelle della maggior parte di voi qui presenti. Ma se penso a tanti lavoratori, posso capire che guardando al passato siano preoccupati per il futuro, perché, francamente, la leadership li ha delusi.

Poi considero la prospettiva dei tecno-ottimisti. Molti di loro vedono un eccesso di regolamentazione, vedono l’innovazione soffocata. Voi siete costruttori. Loro sono costruttori. E, pur potendo simpatizzare con chi ha perso un lavoro, sono molto più frustrati dal fatto che il governo non li lasci costruire i lavori del futuro.

Sanno che, per quanto sia difficile avviare un’impresa nel mondo dei media digitali, è ancora più difficile farlo nella robotica, nelle scienze della vita, nell’energia, in quello che chiamiamo il mondo degli atomi. Vedono un governo che complica la loro vita, e quindi diffidano di chiunque guardi a quel governo come a una possibile salvezza.

Quello che propongo è che entrambi i gruppi – i nostri lavoratori, i populisti da un lato, e i tecno-ottimisti dall’altro – siano stati traditi da questo governo. Non solo dall’ultimo governo, ma, in un certo senso, da quello degli ultimi quarant’anni.

Perché c’erano due presunzioni fondamentali che la nostra classe dirigente aveva nei confronti della globalizzazione. La prima era l’idea che si potesse separare il “fare le cose” dal “progettare le cose”. L’idea della globalizzazione era che i Paesi ricchi salissero nella catena del valore, mentre quelli poveri si occupavano delle lavorazioni più semplici.

Aprivi una scatola di iPhone e leggevi: “progettato a Cupertino, California”. L’implicazione, ovviamente, era che fosse stato assemblato a Shenzhen o altrove. Qualcuno magari avrebbe perso un lavoro nella manifattura, ma avrebbe potuto imparare a progettare. O, per usare una frase diventata popolare: imparare a programmare.

Ma penso che abbiamo sbagliato. Si è scoperto che le aree geografiche dove si produce cominciano a diventare molto brave anche a progettare. Ci sono effetti di rete, come ben sapete. Le aziende che progettano prodotti lavorano con quelle che li producono. Condividono proprietà intellettuale, pratiche migliori e talvolta anche dipendenti chiave. Abbiamo dato per scontato che le altre nazioni sarebbero rimaste indietro nella catena del valore, ma quando sono migliorate nel segmento più basso, hanno cominciato a raggiungerci anche in quello più alto. Siamo stati schiacciati da entrambi i lati.

Questa era la prima illusione della globalizzazione. La seconda è che il lavoro a basso costo sia fondamentalmente una stampella, e una stampella che inibisce l’innovazione. Direi persino che è una droga a cui troppe aziende americane sono diventate dipendenti. Quando puoi produrre a costi più bassi, è troppo facile farlo, invece di innovare. E che si trattasse di delocalizzare fabbriche verso Paesi con manodopera a basso costo, o di importarla attraverso il nostro sistema di immigrazione, il lavoro a basso costo è diventato la droga delle economie occidentali.

E direi che se guardate a quasi ogni Paese – dal Canada al Regno Unito – che ha importato grandi quantità di manodopera a basso costo, vedrete una stagnazione della produttività. E non credo sia un caso. Penso che la connessione sia diretta.

Uno dei dibattiti che si sente sul salario minimo è che un suo aumento costringe le aziende ad automatizzare. Quindi un salario più alto per McDonald’s significa più chioschi. E qualunque sia la vostra opinione sul salario minimo – non voglio commentare su questo – l’idea che le aziende innovino in assenza di manodopera a basso costo è positiva.

Penso che la maggior parte di voi non sia preoccupata di ottenere manodopera sempre più economica. Siete preoccupati di innovare, di costruire cose nuove, di perseguire quella vecchia formula della tecnologia: fare di più con meno. E tutti voi cercate di fare di più con meno ogni giorno.

Quindi chiedo ai miei amici, sia dal lato dei tecno-ottimisti sia da quello dei populisti, di non vedere il fallimento della logica della globalizzazione come un fallimento dell’innovazione. Anzi, direi che la fame di manodopera a basso costo insita nella globalizzazione è un problema proprio perché ha danneggiato l’innovazione.

Sia i nostri lavoratori, sia i nostri innovatori riuniti qui oggi, hanno lo stesso nemico. E la soluzione, a mio avviso, è l’innovazione americana. Perché, nel lungo periodo, è la tecnologia che aumenta il valore del lavoro.

Innovazioni come il sistema americano e la rivoluzione delle parti intercambiabili che ha ispirato, oppure la catena di montaggio mobile di Ford, che ha fatto schizzare in alto la produttività dei nostri lavoratori. È così che l’industria americana è diventata l’invidia del mondo. Ed è di questo che voglio davvero parlare oggi: di come l’innovazione sia la chiave per vincere la competizione manifatturiera globale, per garantire un trattamento equo ai nostri lavoratori e per recuperare la nostra eredità attraverso il grande ritorno industriale dell’America.

E io credo davvero che siamo sull’orlo di questo grande ritorno industriale americano. Perché è l’innovazione che fa aumentare i salari. È ciò che protegge la nostra patria. E so che qui ci sono molte aziende della difesa: è ciò che salva la vita dei soldati sul campo di battaglia. E credo che tutti qui oggi, in larga parte, la pensiamo allo stesso modo.

È per questo che abbiamo alcuni dei più grandi inventori e pensatori nel campo dell’energia, della meccanica di precisione, in tantissimi settori industriali ad alto valore aggiunto – proprio in questa stanza. E credo che un’altra cosa che vi accomuna tutti è che siete costruttori. E uso quel termine deliberatamente.

Sono stato molto colpito dal manifesto di Mark di qualche anno fa sull’America. Siamo una nazione di costruttori. Facciamo cose. Creiamo cose. Ognuno di voi è venuto a questo summit non perché ha creato un’applicazione effimera, ma perché sta costruendo qualcosa di reale. State alzando nuovi stabilimenti. State reinvestendo i profitti in ricerca e sviluppo. State creando nuovi posti di lavoro ben retribuiti per altri americani.

È per questo che sono un vostro grande ammiratore, di Ben, di Mark e dell’intero progetto. E ora, nella nostra amministrazione, riconosciamo che è il momento di allineare gli interessi del nostro lavoro con i vostri. È il momento di allineare gli interessi delle nostre aziende tecnologiche con quelli degli Stati Uniti d’America nel senso più ampio. E tutti voi, ciascuno a suo modo, avete risposto a questa chiamata.

In fondo, nessuno vi obbliga a essere qui oggi. Ognuno di voi avrebbe potuto trasferire il proprio quartier generale nel sud-est asiatico o in Cina, e sono sicuro che avreste fatto fortuna. Ma siete qui, spero, perché amate il vostro Paese. Amate il suo popolo e le opportunità che vi ha dato, e riconoscete che costruire cose, la nostra capacità di generare nuova innovazione nell’economia, non può diventare una corsa al ribasso.

L’America non vincerà il futuro abolendo le leggi sul lavoro minorile o pagando i propri lavoratori meno dei cinesi o dei vietnamiti. Non vogliamo questo, e non è un’opzione. Possiamo vincere solo facendo ciò che abbiamo sempre fatto: proteggere i nostri lavoratori e sostenere i nostri innovatori – e fare entrambe le cose allo stesso tempo.

Vorrei ora entrare un po’ più nello specifico. Il grande piano dell’amministrazione Trump per il rilancio dell’industria americana è semplice: state producendo cose nuove e interessanti qui in America? Perfetto. Allora vi taglieremo le tasse. Ridurremo la burocrazia. Abbasseremo il costo dell’energia, così che possiate costruire, costruire, costruire.

Il nostro obiettivo è incentivare gli investimenti entro i nostri confini, nelle nostre imprese, nei nostri lavoratori e nella nostra innovazione. Non vogliamo che la gente vada a cercare manodopera a basso costo. Vogliamo che investano e costruiscano qui, negli Stati Uniti d’America.

Se me lo permettete, vorrei parlarvi di alcune misure che l’amministrazione Trump sta già adottando per promuovere un’economia favorevole all’innovazione, che permetta ai nostri lavoratori di prosperare e alle nostre imprese di competere con successo con i loro omologhi stranieri. In sintesi, un’economia pienamente America First, al servizio degli americani di ogni ceto e provenienza.

Per prima cosa, il Presidente Trump sta iniziando – ed è assolutamente determinato – a ristrutturare il nostro regime commerciale e tariffario a livello internazionale. Crediamo che i dazi siano uno strumento necessario per proteggere i nostri posti di lavoro e le nostre industrie da altri Paesi, così come per difendere il valore del lavoro americano in un mercato globalizzato. Infatti, combinati con la giusta tecnologia, i dazi ci permettono di riportare posti di lavoro negli Stati Uniti e di creare quelli del futuro.

Guardate a ciò che è successo nell’industria automobilistica negli ultimi mesi. Quando si erige una barriera tariffaria attorno a un settore critico come quello dell’auto, e la si combina con robotica avanzata, costi energetici più bassi e altri strumenti che aumentano la produttività del lavoro americano, si offre ai nostri lavoratori un effetto moltiplicatore. Questo consente alle aziende di produrre a prezzi competitivi direttamente qui.

Il nostro Presidente lo ha capito, ed è per questo che il mese scorso abbiamo registrato 9.000 nuovi posti di lavoro nell’auto, dopo anni e anni di stagnazione o addirittura declino nel settore. È anche per questo che, a poche settimane dall’inizio del nuovo mandato, abbiamo già ricevuto nuovi annunci di piani produttivi da Honda, Hyundai e Stellantis, per miliardi di dollari e migliaia di posti di lavoro in più, oltre a quelli già creati.

Questo richiede impegno. Durante il primo mandato, il Presidente ha dovuto stracciare il NAFTA e costruire un nuovo accordo per i produttori americani in Nord America. Ma è un lavoro importante, e lo faremo.

In secondo luogo, tutto questo spiega anche perché il Presidente sta affrontando il tema dell’immigrazione illegale in modo così deciso: perché sa che la manodopera a basso costo non può sostituire i guadagni in produttività che derivano dall’innovazione economica.

Abbiamo rafforzato i controlli al confine e i risultati parlano da soli. Il mese scorso, gli attraversamenti irregolari sono diminuiti del 94%, il numero più basso di sempre, ottenuto in soli due mesi di reale applicazione delle regole. Grazie alla leadership del Presidente Trump, il mese scorso – per la prima volta da oltre un anno – la maggioranza dei nuovi posti di lavoro è andata a cittadini americani nati sul suolo statunitense.

Ed è importante. Per la prima volta da oltre un anno, la maggior parte della nuova occupazione è andata a cittadini americani.

Terzo punto: questa amministrazione è concentrata sulla riduzione dei costi per i nostri produttori e per tutti gli altri. L’obiettivo è abbondanza energetica – e so che Doug Burgum era qui prima o lo sarà a breve – perché quando guardiamo ad alcune delle applicazioni più interessanti delle nuove tecnologie, ci rendiamo conto che servirà molta energia per farle funzionare.

Siamo molto felici di avere in questi giorni in città i nostri amici degli Emirati Arabi Uniti, sia rappresentanti del mondo imprenditoriale che del governo, per incontri con la nostra amministrazione. Una delle cose che sottolineano costantemente – e che purtroppo troppi dei nostri alleati europei ancora non capiscono – è che se vuoi guidare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, devi guidare anche nella produzione di energia. E quindi noi saremo in prima linea.

Le buone notizie sono che stiamo già vedendo dei segnali di progresso, anche a pochi mesi dall’insediamento. I prezzi della benzina e del diesel stanno scendendo, il costo di un barile di petrolio statunitense è in netto calo, e mercoledì scorso l’amministrazione ha adottato misure importanti per rendere l’energia ancora più economica e liberare le nostre aziende da regolamenti ambientali soffocanti.

È un grande passo avanti, ma naturalmente c’è ancora molto da fare nei prossimi quattro anni. Approvare una legge fiscale efficace è cruciale, per voi e per i vostri lavoratori. Sappiamo quanto sia importante ripristinare l’ammortamento del 100% per gli investimenti in capitale, così come la deducibilità totale per le spese in ricerca e sviluppo. Ancora una volta: vogliamo che le persone investano in America, e faremo in modo che il codice fiscale rifletta questa priorità.

Per costruire sul successo della prima riforma fiscale del Presidente, la nostra amministrazione sta lavorando per ampliare alcune misure fondamentali per la base industriale, come estendere la piena deducibilità alla costruzione di stabilimenti. Per gli imprenditori, inclusi i produttori, rendere permanenti i tagli fiscali del 2017 garantirà maggiore fiducia e prevedibilità negli investimenti in nuove tecnologie e attrezzature, nelle assunzioni di lavoratori americani e nella crescita delle imprese.

Abbiamo ancora molto da fare, ma il Paese sta già iniziando a vedere i frutti dell’agenda economica audace di questa amministrazione. Per produttori e consumatori, l’inflazione sta finalmente scendendo. La scorsa settimana l’indice core CPI è sceso al livello più basso dall’aprile 2021.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il rapporto mensile ha mostrato una netta inversione di tendenza: 10.000 nuovi posti di lavoro nella manifattura, dopo che nell’anno precedente ne avevamo persi oltre 100.000. E come forse avete sentito dire dal Presidente, in meno di due mesi dal suo insediamento sono già stati assicurati oltre 1,7 trilioni di dollari di nuovi investimenti negli Stati Uniti. Parliamo di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro nella manifattura, nell’IA, in altri settori tecnologici avanzati e oltre.

Crediamo che ci sia molto di cui essere entusiasti. E speriamo davvero che anche voi lo siate. Ma il fondamento della politica economica del Presidente Trump è, a mio avviso, quello di porre fine a quarant’anni di politiche economiche fallimentari in questo Paese.

Per troppo tempo ci siamo affidati alla manodopera a basso costo, sia all’estero sia importandola. Ci siamo adagiati. Abbiamo iper-regolamentato le nostre industrie invece di sostenerle. Abbiamo tassato eccessivamente i nostri innovatori, invece di metterli in condizione di costruire grandi aziende. Abbiamo reso troppo difficile costruire e investire qui, negli Stati Uniti d’America.

Questo è cambiato due mesi fa, e continuerà a cambiare. Continueremo a lottare per i lavoratori americani e per le imprese americane che li assumono e li sostengono.

Voglio ringraziarvi tutti per due motivi. Primo, per quello che fate. Avreste potuto scegliere la strada facile. Ognuno di voi, come direbbe il Presidente, ha un QI elevato. Siete tra le persone più talentuose degli Stati Uniti. Avete scelto di costruire un’azienda proprio qui, in America, e per questo vi sono grato.

Secondo, credo che non stiate solo costruendo la vostra azienda. Credo che siate parte di una grande rinascita industriale americana. Che si tratti della guerra del futuro, dei lavori del futuro, della prosperità economica del futuro, noi crediamo che tutto questo debba essere costruito proprio qui, negli Stati Uniti d’America.

Quindi grazie per costruire. Grazie per costruire in America. E grazie per costruire il tipo di società in cui voglio crescere i miei figli.


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