“Si potrebbe pensare a un’agenzia di intelligence europea dedicata esclusivamente all’analisi”, dice il già capocentro a Roma. No a un servizio comunitario di raccolta: “Indebolirebbe le capacità dei Paesi forti, come l’Italia”
“Non siamo ancora sicuri della direzione in cui stanno andando gli Stati Uniti”, dice Robert Gorelick, capocentro della Central Intelligence Agency in Italia dal 2003 al 2008, a Formiche.net.
“Sebbene Donald Trump stesso non sia indubbiamente un amico dell’Europa, la maggior parte degli americani lo ha votato per ragioni che non hanno nulla a che fare con la politica estera, quindi non rappresenta necessariamente una svolta storica rispetto alla tradizionale politica estera americana”, spiega. E ancora: “Nonostante l’umiliazione inflitta al presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca, le minacce e l’effettiva imposizione di dazi, nonché la sua visione transazionale delle relazioni internazionali, non è ancora chiaro se queste siano semplici tattiche negoziali per raggiungere obiettivi a breve termine o se rappresentino un cambiamento storico nella politica estera americana, allontanandosi dal ruolo di principale difensore del mondo democratico. Tuttavia, i segnali non sono incoraggianti”.
Come mai?
L’Europa deve iniziare a pianificare un ruolo maggiore nella propria difesa, con o senza gli Stati Uniti. D’altronde, questo è ciò che tutti i presidenti americani hanno chiesto all’Europa fin dai tempi del “dividendo della pace” degli anni Novanta e non dovrebbe essere interpretato come un cambiamento antiamericano. Al contrario, una maggiore responsabilità europea per la propria difesa è sia un passo in favore dell’Europa stessa sia un’opportunità per gli Stati Uniti di dedicare più risorse alla loro prima priorità: l’Asia. Sebbene l’aumento della spesa per la difesa possa gravare sui bilanci di molti Paesi europei, in particolare sull’Italia, che è fortemente indebitata e spende relativamente poco per la difesa rispetto alla maggior parte degli altri alleati della Nato, un maggiore ruolo europeo nella difesa non farà che accrescere la capacità dell’Europa di difendersi, con o senza gli Stati Uniti.
Una maggiore integrazione europea è davvero realizzabile nella difesa e nell’intelligence?
Sono un forte sostenitore dell’integrazione europea e ritengo che sia importante che l’Europa attui le raccomandazioni del rapporto Draghi, che non faranno altro che rafforzarla. Tuttavia, nel settore della difesa e dell’intelligence esistono limiti concreti all’integrazione europea. È difficile immaginare che l’Italia possa delegare decisioni sulla propria sicurezza nazionale a 27 Stati membri, che dovrebbero raggiungere una decisione unanime su questioni vitali per la sicurezza nazionale italiana. È altrettanto difficile immaginare una collaborazione sulla difesa che escluda il Regno Unito, che dispone di una delle forze armate più forti e del servizio di intelligence più capace d’Europa. D’altro canto, l’Unione europea dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel coordinare e razionalizzare la produzione e l’approvvigionamento dell’industria della difesa europea. Ritengo che l’attuale Commissione europea abbia adottato un approccio corretto in materia di cooperazione sulla difesa, fornendo finanziamenti agli Stati membri per aumentare i loro bilanci della difesa e cercando di razionalizzare l’industria della difesa europea.
L’intelligence è, se possibile, un settore in cui l’integrazione si presenta ancor più complessa.
Per quanto riguarda l’intelligence, che è una parte intrinseca della difesa nazionale, valgono le stesse considerazioni. I 27 Stati membri hanno priorità e obiettivi di politica estera differenti, il che rende difficile immaginare un servizio unico. Inoltre, le diverse culture di intelligence tra gli Stati membri – alcuni focalizzati sulle minacce interne, altri sulla raccolta di informazioni all’estero – rendono la collaborazione, e ancor più l’integrazione, inimmaginabile. L’intelligence riguarda i segreti più riservati di ogni nazione. Sebbene la cooperazione sia sempre possibile – e il gruppo Five Eyes del mondo anglofono ne è un modello – è inconcepibile che, finché esistono gli Stati nazionali, essi possano fondere i loro servizi di intelligence in uno solo, anche se rappresentasse l’Unione Europea, che rimane un’unione di Stati sovrani.
Che ruolo ha la fiducia nella cooperazione tra intelligence?
La fiducia è fondamentale nella cooperazione tra i servizi di intelligence. Ho menzionato il gruppo Five Eyes come un possibile modello, ma un progresso verso quel tipo di cooperazione non potrebbe coinvolgere tutti i 27 Stati membri, poiché il livello di fiducia necessario su questioni di sicurezza nazionale non potrebbe mai essere raggiunto. Questo vale in particolare per la raccolta di informazioni umane (human). Tuttavia, è concepibile che gruppi di Paesi affini, incluso il Regno Unito, possano rafforzare la loro cooperazione per migliorare le capacità di intelligence europee. Questo è già il caso di relazioni bilaterali e di piccoli gruppi di servizi di intelligence a cui partecipa anche l’Italia. Credo che una cooperazione più stretta potrebbe essere particolarmente efficace nella raccolta di informazioni tecniche, come l’intelligence dei segnali (Sigint) o l’intelligence delle immagini (Imint).
C’è, poi, il tema delle capacità di raccolta informativa.
Quando gli Stati Uniti hanno recentemente interrotto la loro cooperazione di intelligence con l’Ucraina, la Francia si è offerta di sostituire agli americani. Tuttavia, né la Francia né nessun altro Paese europeo ha le capacità tecniche per sostituire le capacità americane in Imint o Sigint. Un aumento della collaborazione in questo settore, con lo sviluppo congiunto di tecnologia europea tra Paesi affini, potrebbe rafforzare notevolmente la capacità di raccolta di intelligence dell’Europa nel medio termine.
Che legame c’è tra servizi europei e i servizi britannici e americani?
I servizi di intelligence dell’Unione europea dipendono ancora in larga misura dalle loro relazioni con servizi di intelligence stranieri, in particolare con quelli degli Stati Uniti, del Regno Unito e di altri attori regionali in tutto il mondo. È inimmaginabile che questi servizi esteri continuino a condividere informazioni allo stesso livello con un’agenzia di intelligence dell’Unione europea rispetto a quanto fanno nelle loro relazioni bilaterali con i singoli servizi europei. Le informazioni condivise tra tutti gli Stati membri potrebbero facilmente finire nelle mani di avversari dello Stato di origine attraverso uno dei 27 membri dell’Unione europea che potrebbe avere buone relazioni con quell’avversario o perseguire un determinato obiettivo di politica estera. Inoltre, una fuga di notizie di intelligence metterebbe a rischio sia la vita della fonte sia l’intero canale di raccolta delle informazioni.
Quindi, da dove iniziare?
Si potrebbe pensare a un’agenzia di intelligence europea dedicata esclusivamente all’analisi. Esistono già molti gruppi congiunti di analisi dell’intelligence, per esempio in ambito Nato e persino nell’Unione europea. Tuttavia, questi gruppi dipendono dalle informazioni che i membri accettano di condividere, che non sono mai le più sensibili e importanti, per le stesse ragioni di fiducia menzionate in precedenza. Di conseguenza, questi gruppi rappresentano un simbolo della volontà politica di collaborare, ma nella pratica risultano per lo più inefficaci.
L’ex presidente finlandese Sauli Niinistö, nel suo rapporto di ottobre alla Commissione europea, ha proposto la creazione di un organismo di intelligence in grado di aiutare a proteggere i Paesi membri dalle minacce esterne. È la strada giusta?
Sebbene l’ex presidente finlandese abbia invocato la creazione di un servizio di intelligence europeo, ritengo che la proposta di Konstantin von Notz, presidente della commissione di supervisione dell’intelligence del Bundestag tedesco (il Copasir tedesco), per un gruppo “Euro-eyes” modellato sul Five Eyes sia più realistica. Questo gruppo dovrebbe essere indipendente dall’Unione europea e composto da un numero ristretto di Stati membri, magari includendo il Regno Unito. Un simile raggruppamento renderebbe superflua l’integrazione dei vari servizi nazionali di intelligence. Del resto, nessuno chiede l’integrazione dei servizi Five Eyes in un’unica mega-agenzia. La cooperazione tra i servizi di intelligence accresce le capacità di tutti i partecipanti. Se la fiducia tra i membri di questo gruppo dovesse crescere, si potrebbe persino sviluppare una capacità tecnica congiunta, in particolare nel settore della tecnologia satellitare, che è molto costosa per i singoli Paesi europei. Potremmo persino immaginare la creazione di un servizio congiunto di intelligence delle immagini derivante da questa cooperazione.
Dunque, no a un servizio di intelligence europeo?
In generale, ritengo che la creazione di un servizio di intelligence europeo sarebbe una scelta sbagliata e indebolirebbe le capacità di intelligence dei Paesi con servizi forti, come l’Italia. Tuttavia, vi è spazio per una maggiore cooperazione europea per aumentare le capacità di intelligence indigene, che svolgeranno un ruolo chiave nella difesa dell’Italia e dell’Europa in futuro.