Le grandi imprese operanti in settori strategici come quello della difesa, dell’energia e delle infrastrutture critiche rappresentano nodi essenziali nell’architettura di sicurezza nazionale ed europea, e la loro comunicazione istituzionale contribuisce significativamente alla percezione complessiva di solidità del sistema. L’intervento di Lorenza Pigozzi, direttore comunicazione strategica del gruppo Fincantieri
“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. Questa celebre massima orwelliana risuona con inquietante attualità nel contesto geopolitico contemporaneo, dove la battaglia per la sicurezza si combatte non solo sul terreno delle armi ma, sempre più decisivamente, su quello delle narrazioni. Gli eventi recenti in Ucraina, nel Mar Rosso e nel Mediterraneo orientale ci mostrano come le crisi internazionali si sviluppino simultaneamente su due fronti: quello fisico e quello informativo.
La narrazione come campo di battaglia
Durante un recente dibattito, il professor Galimberti ha richiamato l’attenzione su un antico insegnamento che mantiene intatta la sua validità: il celebre dialogo tucidideo tra gli ambasciatori ateniesi e i cittadini dell’isola di Melos. Questi ultimi, forti delle proprie ragioni morali, rifiutavano di sottomettersi ad Atene, solo per scoprire che nella politica internazionale “i forti fanno ciò che possono e i deboli subiscono ciò che devono”. Questa lezione di realismo politico, che attraversa i secoli da Tucidide a Machiavelli fino a Kissinger, ci ricorda che la percezione della forza è essa stessa una componente essenziale della forza reale.
Nella stessa discussione, Galimberti ha sottolineato un punto cruciale: “Le bugie funzionano quando non hai cultura, quando non conosci la storia”. Questa osservazione illumina un aspetto fondamentale della sicurezza contemporanea: la vulnerabilità informativa di una società è direttamente proporzionale alla sua amnesia storica. Non si tratta di erudizione fine a se stessa, ma di una concreta capacità di resistenza alle manipolazioni narrative. Le grandi crisi del nostro tempo – dalla pandemia ai conflitti regionali, dalle tensioni economiche alle emergenze climatiche – hanno dimostrato quanto sia fragile il tessuto informativo delle democrazie quando manca un solido ancoraggio culturale.
L’asimmetria narrativa tra democrazie e autocrazie
Uno degli squilibri più preoccupanti nell’attuale panorama geopolitico riguarda proprio la capacità di gestire la narrazione pubblica della sicurezza. I regimi autoritari possono coordinare efficacemente i propri messaggi attraverso il controllo centralizzato dell’informazione, presentando all’esterno un fronte compatto e coerente. Le democrazie occidentali, per loro natura pluraliste, si trovano invece a gestire una molteplicità di voci che, pur rappresentando una ricchezza intrinseca del sistema, possono generare dissonanze strategiche in momenti critici.
Tale asimmetria narrativa si traduce in concreti vantaggi operativi per gli attori autoritari. Pensiamo alla rapidità con cui la Russia ha saputo costruire narrazioni alternative sui propri interventi militari, o alla modalità con cui la Cina ha gestito la comunicazione durante la crisi pandemica. In entrambi i casi, la capacità di controllare rigidamente il flusso informativo interno ha permesso di proiettare all’esterno messaggi univoci che, indipendentemente dalla loro veridicità, hanno influenzato significativamente la percezione globale degli eventi.
Le democrazie, al contrario, hanno spesso mostrato esitazioni e contraddizioni nel formulare risposte comunicative coordinate. La pluralità delle fonti informative, il dibattito parlamentare, il confronto tra governo e opposizione, la diversità di vedute tra Stati membri nelle organizzazioni sovranazionali come l’Unione Europea – tutti elementi vitali per il funzionamento democratico – possono trasformarsi in fattori di debolezza quando manca una strategia comunicativa condivisa.
La sicurezza come narrazione: dal controllo del territorio al controllo del racconto
La sicurezza nazionale ed internazionale non è più definibile esclusivamente in termini di controllo del territorio, delle risorse o delle infrastrutture critiche. Nell’era dell’informazione, la sicurezza dipende in misura crescente dalla capacità di influenzare la percezione pubblica degli eventi, di costruire narrazioni credibili e di mantenere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La recente esperienza della pandemia ha offerto una dimostrazione paradigmatica di questo principio. Gli Stati che hanno saputo gestire efficacemente la narrazione della crisi sanitaria – comunicando con trasparenza i rischi, spiegando le ragioni delle misure adottate, costruendo un racconto coerente dell’emergenza – hanno generalmente ottenuto maggiore adesione alle norme di sicurezza e, conseguentemente, risultati migliori nel contenimento del contagio. Al contrario, dove la comunicazione è stata frammentaria o contraddittoria, si sono registrati maggiori resistenze e minore efficacia delle misure di contenimento.
Lo stesso principio si applica alla sicurezza in senso più tradizionale. La percezione di un sistema difensivo solido e di una leadership competente rappresenta un fattore di deterrenza tanto quanto la concreta disponibilità di mezzi militari. Come sottolineato dagli analisti della guerra cognitiva, la capacità di proiettare un’immagine di determinazione e coesione può dissuadere potenziali avversari dall’intraprendere azioni ostili, anche in presenza di rapporti di forza materiali non favorevoli.
Verso una strategia europea integrata
Di fronte a queste sfide, l’Europa necessita di un approccio più sistematico alla comunicazione strategica sulla sicurezza. Non si tratta di imitare i metodi propagandistici dei regimi autoritari – una strada che contraddirebbe i valori fondanti dell’Unione – ma di sviluppare capacità comunicative che valorizzino la natura pluralistica delle democrazie europee trasformandola in un punto di forza anziché di debolezza.
Questa strategia dovrebbe articolarsi su più livelli interconnessi. A livello strutturale, è necessario rafforzare il coordinamento tra le istituzioni nazionali ed europee responsabili della comunicazione sulla sicurezza. Non un centro di controllo centralizzato dell’informazione, ma una rete collaborativa che garantisca coerenza strategica pur rispettando le specificità nazionali e istituzionali. Le recenti iniziative dell’Ue contro la disinformazione rappresentano un passo importante in questa direzione, ma necessitano di essere integrate in un disegno più ampio.
Sul piano tecnologico, l’intelligenza artificiale offre opportunità senza precedenti per monitorare e analizzare l’ecosistema informativo, identificare rapidamente campagne di disinformazione e sviluppare contromisure efficaci. I centri di eccellenza europei in ambito AI potrebbero svolgere un ruolo cruciale in questo contesto, sviluppando strumenti che combinino l’efficienza degli algoritmi con la supervisione umana e il rispetto dei diritti fondamentali.
La dimensione culturale rimane tuttavia la più importante nel lungo periodo. Solo una cittadinanza informata e dotata di solidi strumenti critici può costituire un baluardo efficace contro le manipolazioni narrative. È qui che emerge il ruolo cruciale del sistema educativo in tutte le sue articolazioni, dalla scuola primaria all’università. Non è un caso che i regimi autoritari tendano sistematicamente a ridurre la qualità dell’istruzione pubblica o a piegarla ai propri fini propagandistici: una popolazione con bassi livelli di scolarizzazione è intrinsecamente più vulnerabile a quelle “bugie” che, come ricordato in apertura, prosperano proprio nell’assenza di cultura.
Conoscere la Storia per elaborare la strategia
In un’epoca di “presentismo” cronico, in cui l’orizzonte temporale della politica e dell’opinione pubblica si riduce spesso al ciclo delle notizie di 24 ore, riaffermare la centralità della conoscenza storica diventa un atto di resistenza culturale e, al contempo, una scelta strategica. Abbiamo un disperato bisogno di storici, interpreti critici del presente alla luce delle esperienze passate.
La Storia, con la maiuscola, è la disciplina che più di ogni altra può immunizzare una società contro le narrazioni distorte. Essa ci insegna che i “fatti nuovi” raramente lo sono davvero, che i meccanismi della propaganda e della manipolazione seguono schemi ricorrenti, che le crisi geopolitiche odierne affondano le loro radici in dinamiche di lungo periodo. Senza questa profondità temporale, ogni analisi strategica rimane superficiale e vulnerabile.
La debolezza della consapevolezza storica nelle società contemporanee non è un fenomeno casuale, ma spesso il risultato di precise scelte politiche. La riduzione degli spazi dedicati all’insegnamento della storia nei curricula scolastici, la sua banalizzazione mediatica, la tendenza a ridurla a un repertorio di aneddoti senza connessioni strutturali, contribuiscono a creare quella condizione di amnesia collettiva che è il terreno ideale per la manipolazione narrativa. Come ha scritto lo storico Timothy Snyder: “La politica dell’eternità priva i cittadini della loro capacità di percepire la storia e quindi di agire su di essa”.
La storia, insegnata non come sequenza di date ed eventi ma come comprensione dei meccanismi profondi che governano le società umane, rappresenta il più potente antidoto contro la manipolazione. Essa fornisce gli strumenti per riconoscere gli schemi ricorrenti, per contestualizzare le crisi, per valutare criticamente le narrazioni proposte dalle diverse fonti di potere. Una società che conosce il proprio passato è una società che può immaginare consapevolmente il proprio futuro, resistendo ai tentativi di imporre visioni distorte del presente.
Investire nella formazione storica significa quindi investire direttamente nella sicurezza nazionale. I programmi di alfabetizzazione mediatica, l’educazione civica, la valorizzazione del pensiero critico dovrebbero essere priorità strategiche, non appendici marginali delle politiche educative. Come la storia stessa ci dimostra ripetutamente, le società con solide basi culturali e alti livelli di istruzione sono intrinsecamente più resilienti alle crisi e alle manipolazioni.
Il ruolo delle imprese strategiche nel rafforzamento della narrazione di sicurezza
In questo contesto non vanno poi dimenticati attori di primo piano: le grandi imprese operanti in settori strategici come quello della difesa, dell’energia e delle infrastrutture critiche assumono un ruolo che va oltre la dimensione puramente economica. Esse rappresentano nodi essenziali nell’architettura di sicurezza nazionale ed europea, e la loro comunicazione istituzionale contribuisce significativamente alla percezione complessiva di solidità del sistema.
Le imprese come Fincantieri, che operano all’intersezione tra sicurezza nazionale, proiezione internazionale e innovazione tecnologica, possono svolgere una funzione di raccordo tra diverse dimensioni della narrazione strategica: la continuità storica dell’eccellenza industriale italiana, la proiezione futura attraverso l’innovazione, l’integrazione nelle reti di sicurezza europee e atlantiche.
La comunicazione di queste realtà industriali non riguarda solo la performance economica o le caratteristiche tecniche dei prodotti, ma contribuisce a definire la percezione complessiva della capacità nazionale di affrontare le sfide della sicurezza contemporanea. In questo senso, la narrazione aziendale diventa parte integrante della più ampia narrazione sulla sicurezza nazionale ed europea.
Clausewitz delle percezioni
“La guerra è anche una questione di percezioni”, scriveva il teorico militare Carl von Clausewitz, intuendo con due secoli di anticipo una dinamica che oggi appare in tutta la sua evidenza. Nel mondo interconnesso e sovraccarico di informazioni del XXI secolo, la capacità di costruire e mantenere narrazioni credibili sulla sicurezza rappresenta un vantaggio strategico determinante.
Per l’Europa, affrontare questa sfida significa sviluppare un approccio che valorizzi i principi democratici di trasparenza e pluralismo, trasformandoli in punti di forza anziché di debolezza. Significa investire nelle capacità cognitive e critiche dei cittadini, nell’integrazione delle istituzioni comunicative, nell’innovazione tecnologica al servizio della verità.
In un’epoca in cui la linea di demarcazione tra pace e guerra, tra informazione e manipolazione, tra sicurezza e insicurezza diventa sempre più sfumata, governare la narrazione della sicurezza non è più un’opzione, ma una necessità strategica imprescindibile. È una sfida che richiede la collaborazione di tutti gli attori del sistema-Paese: istituzioni, imprese, media, accademia e società civile. Solo attraverso questa sinergia potremo costruire narrazioni che non siano propagandistiche ma autentiche, non impositive ma persuasive, non manipolatorie ma veritiere. Narrazioni che rafforzino la nostra sicurezza collettiva rispettando al contempo i valori fondanti della civiltà europea.